Da collettivo autoprodotto a etichetta, Pioggia Rossa Dischi ha come parole chiave “chitarre” e “originalità”.

Etichette361: Pioggia Rossa Dischi, il ritorno delle chitarre

La musica è un moto continuo, tra passato e futuro, rivoluzione e innovazione. Sono protagonisti in questo settore coloro che tramutano la propria esperienza in visione. È questa la forza di Pioggia Rossa Dischi: la ricerca dell’originalità. Una scommessa ardua, perché quando si decide di procedere controcorrente ci sono tanti ostacoli da saper evitare. Nonostante una struttura discografica ancora in divenire, l’etichetta nata da circa un anno (con l’intento di essere un collettivo) ha prodotto artisti che stuzzicano l’interesse dell’underground italiano, proiettati ai gradini più alti del podio, posto che l’identità culturale dell’ascoltatore medio continui ad espandersi come sta accadendo da circa due anni e mezzo in Italia. La solida base del progetto è Mattia Cominotto, abile produttore presso il Green Fog Studio di Genova. Come già preannunciato dall’intervista all’Ultimodeimieicani, il produttore si è affidato al gruppo indie rock per lo sviluppo del collettivo, insieme anche all’aiuto dei Lenin. Oggi il roster comprendere, oltre alle due band citate, anche SAAM, Banana Joe, Asino, Ace e Jesse The Faccio.

Alla batteria sono seduti gli artisti che si vedono meno durante i concerti, ma che si sentono di più. Rachid Bouchabla è l’uomo che si destreggia tra piatti e tamburi in due dei progetti più interessanti del panorama musicale italiano, gli Ex Otago e l’Ultimodeimieicani. La sua esperienza è preziosa e influente per il progetto Pioggia Rossa Dischi. Grazie a Rachid sarà possibile capire qual è l’orientamento dell’etichetta/collettivo all’interno del panorama musicale italiano.

Un progetto controcorrente, nato come collettivo di autoproduzione, ora sempre più un’etichetta a tutti gli effetti. Quanto è difficile fare qualcosa di diverso dalla massa e funzionare?

Molte delle produzioni uscite sono contro ogni “trend modaiolo” (vedi i SAAM con l’emocore in italiano, nda). Il nostro obiettivo non dichiarato è quello di riportare di moda le chitarre. Questo momento nella scena è atteso da due anni, ma, come sappiamo, l’ascoltatore medio non è andato verso quel filone. Guardando i lavori delle band emergenti come, ad esempio, Manitoba, Aurora Borale, Gomma, Voina e altri, si avverte quanto le chitarre vogliano (e debbano) tornare in auge, ma non abbiano ancora spazio nel mercato. Noi ci proviamo nel nostro piccolo, sperando di arrivare al mainstream.

A guidare Pioggia Rossa Dischi al momento siamo quattro persone, ma le decisioni si riportano al collettivo anche quando ci sono nuovi artisti da inserire. Il prossimo annuncio, per stuzzicare un po’ i lettori, è un gruppo molto interessante che siamo riusciti ad avere in etichetta. Tra un mese, invece, sfodereremo la maglia numero 10 del progetto PRD. Un aspetto sul quale dobbiamo lavorare ancora è la struttura dell’etichetta, per dare un servizio più ampio a quello che già diamo, indirizzato a diventare anche agenzia musicale. Soprattutto dopo le ultime news su Spotify, dove pare che prossimamente gli artisti potranno caricarsi i propri brani in autonomia, bypassando così la distribuzione digitale. Un passaggio che porta sempre di più il servizio di streaming a una similitudine con una major.

Non a caso l’ultimo tour di Calcutta aveva il logo di Spotify sul biglietto. Questa è un riflessione che avevamo già affrontato su Musica361 e che effettivamente sta prendendo piede. Tornando al modus operandi della vostra etichetta, in che modo gli artisti possono contattarvi per farvi ascoltare i loro nuovi lavori?

 In primis noi cerchiamo l’originalità e il suono accattivante. Ognuno ha il suo stile, l’importante è non copiare palesemente un altro artista. Sul nostro sito pioggiarossadischi.com c’è un form per inviarci tutto il materiale necessario. Oppure è possibile inviarci una mail a ascolti@pioggiarossadischi.com. In molti decidono di allegare un link Soundcloud direttamente su Instagram (@pioggiarossadischi) in direct. Ultimamente ce ne sono arrivati tantissimi e dobbiamo finire di ascoltare tutto.

La tua esperienza diretta è molto importante, perché sei uno dei pochi artisti che ha vissuto un momento storico in Italia. Gli Ex Otago fanno parte di quella “cerchia” (Calcutta, Thegiornalisti, Canova) di cui si parlerà tra vent’anni come coloro i quali hanno cambiato radicalmente la musica in Italia. Oltre a lavorare con Mattia Cominotto, lavori anche con Matteo Cantaluppi, uno dei produttori più influenti al momento. È vero che, ad oggi, per fare strada ed emergere bisogna passare da un determinato produttore?

Penso che sia una combinazione, come ci insegna la storia. Il produttore è il mestiere più difficile nel mondo musicale, perché deve riuscire ad accontentare le scelte artistiche, mantenendo la personalità dell’artista e lasciando la firma personale del lavoro svolto. Questa figura crea un trend, sono poi i mezzi di comunicazione, i canali d’ascolto e il mercato a creare il filone da seguire.

L’etichetta diretta artisticamente da Zibba ha portato novità interessanti nel mercato discografico.

Il primo passo verso un grande cambiamento nella musica digitale è stato il ritorno delle etichette indipendenti. In un periodo storico in cui le major dettavano con forza le uscite discografiche, ma allo stesso tempo venivano strozzate dalla pirateria, lo streaming ha liberalizzato il flusso artistico, mentre la nascita di nuove realtà, pronte a investire sugli emergenti, ha cambiato il mercato. Per questo, Musica361 ha deciso di indirizzare parte del proprio focus sulle etichette, per capire quale sia l’attuale direzione della discografia.

Platonica è un’etichetta nata da quasi un anno, che ha ottenuto buoni risultati. Il roster conta, al momento, 7 artisti: Seawards, Sem, Marpek, Luca Tudisca, Sonny Willa, Ties e, ultimo ma non meno importante, il direttore artistico, Zibba. È stato proprio il gusto del cantautore varazzino e il suo talento da produttore a dare il via a questo progetto. Sarà Zibba a farci da Virgilio in questo nostro primo viaggio alla scoperta di una nuova label indipendente, per capire nel dettaglio quale sia il ruolo di Platonica nella discografia odierna.

Platonica è nuovo capitolo della tua vita artistica. Come nasce un’etichetta?

Tutto è iniziato da me e Mirco Menna, cantautore bolognese che conosco da tanti anni. Lo stimo moltissimo e tra noi è nata una forte amicizia. Abbiamo deciso di intraprendere questo percorso insieme e di aprire un’etichetta, come si faceva una volta, anche se “una volta” non c’ero, ma so come funzionava. Investiamo su nuovi progetti e ci mettiamo in gioco in prima persona. Fare scouting seguendo una linea editoriale è una delle cose migliori che potessero capitarmi nella vita. Da questa amicizia è nata un’opportunità lavorativa per entrambi.

Parliamo, allora, della linea artistica che ha Platonica. Qual è il criterio che accomuna il vostro roster?

La linea coincide con i miei gusti musicali. Quando mi è stata affidata la direzione artistica, l’idea era proprio di procedere in questo verso. Chi seguirà l’etichetta troverà il cantautorato in tutte le sue forme, senza disdegnare tutto ciò che è black music, un meltin-pot tra la canzone d’autore e la musica nera. Siamo partiti anche con alcuni progetti in inglese, perché non ci limitiamo solo alla musica italiana. Non a caso una delle punte di diamante sono i Seawards. Nonostante ci venga detto che fare musica inglese in Italia sia difficile, sappiamo anche che gli artisti che stiamo seguendo hanno qualcosa da dire.

Per quanto riguarda lo scouting, in che modo vengono scelti i nuovi artisti? C’è un indirizzo specifico al quale gli emergenti possono contattarvi?

È un momento storico in cui tanti artisti ci provano e mettere il naso in mezzo alle novità è qualcosa che mi ha sempre fatto piacere. È un lavoro che faccio tutto l’anno, anche al di fuori dello scouting, perché mi piace scovare nuovi artisti dei quali innamorarmi. Mezzi come Instagram, Youtube o Spotify ti danno la possibilità, attraverso le ricerche correlate, di raggiungere piccole realtà interessanti. Proprio alcuni artisti con i quali sto lavorando li ho scoperti tramite i social, affascinato da un loro video o da una loro foto. È bello che ci siano davvero tanti ragazzi di talento, il livello si è alzato e questo fa ben sperare per la musica.

Su platonica.it si possono trovare tutti i nostri contatti. I social sono il mezzo attraverso il quale la maggior parte di artisti ci contatta. Siamo noi a gestire i nostri profili, quando qualcuno invia qualcosa non ci scappa.

Nelle interviste rilasciate a Musica361, gli artisti di Platonica hanno sempre parlato dell’etichetta come una famiglia. Un bel messaggio da riportare al direttore artistico. 

Sono contento che sia percepita così. A noi piace essere una famiglia per gli artisti che seguiamo. Ho avuto questo miraggio anche nelle mie situazioni musicali per tanti anni, ne ho sempre parlato in questo modo. Probabilmente è anche il mio modo di lavorare che porta a quello, se non mi trovo con una persona difficilmente ci collaboro. Credo che con gli artisti ci si scelga a vicenda, perché ci si assomiglia. Quando mi trovo a parlare con qualcuno di lavoro conta molto l’impressione che ho di questa persona, quanto sia bravo (umanamente, nda). Di conseguenza tutti i collaboratori di Platonica si assomigliano tra loro, sono belle persone che hanno voglia di fare bene il proprio lavoro.

Buttiamo l’amo verso l’imminente futuro, l’autunno, e verso il nuovo anno. Cosa bolle in pentola?

Abbiamo tre uscite molto importanti in poche settimane. Il 21 settembre uscirà il nuovo singolo dei Seawards, Fools, che anticiperà l’album in uscita il 14 dicembre. Il video sarà una mina e il pezzo è molto radiofonico. Dopo di loro, il 28 settembre uscirà il singolo di Francis Alina, un’artista con cui abbiamo appena iniziato a collaborare. Infine, il 5 ottobre uscirà il secondo singolo di Sem. Nel suo caso non siamo suoi discografici, ma lo distribuiamo, siamo il suo ufficio stampa.

Siamo tutti amici e cerchiamo di darci una mano a vicenda. Proprio in questi giorni è uscito un nuovo lavoro di Pnksand, un progetto che in qualche modo ha a che fare con noi, qualcosa che ho seguito dal suo embrione, anche se non ho fatto nulla, non ne faccio parte, ma è portato avanti da uno dei miei migliori amici e da un’artista con la quale ho collaborato nel mio ultimo disco, Chantal. È bello sapere che ci siano diversi artisti liguri forti. Facendo scouting ci sono progetti dei quali non posso parlare, ma che prossimamente si faranno sentire.

Il viaggio alla scoperta delle etichette discografiche è appena iniziato. Per tutti coloro che fossero interessati a seguire Platonica ecco alcuni contatti:

 

Al primo singolo, SEM, giovane emergente ligure, con una grande abilità alla chitarra, ha trovato un ritornello forte e una canzone giusta.

"Anche se" di SEM è un singolo fresco e forte

Ha solo vent’anni, ma gli occhi di chi ha già scelto la strada della musica. Un vero e proprio tuttofare, un artista “duepuntozero”, come si abusa dire. Oltre a essere il punto centrale della sua musica e dei suoi testi, è anche autore del proprio video e ha gusto nella creazione della propria immagine. Vale la pena sbilanciarsi. “Anche se” è uno dei singoli più forti tra gli emergenti in questa stagione di musica. Punto.

“Anche se” è un singolo molto fresco. La chitarra è nuovamente protagonista in un progetto indipendente. Cosa si nasconde dietro questa canzone?

Ho iniziato a suonare la chitarra quando avevo otto anni, più tardi mi sono avvicinato ai testi. Principalmente scrivo basandomi sugli accordi, sull’armonia. All’inizio scrivevo in inglese, solo un anno fa mi sono affacciato all’italiano. Ho voluto prendere spunto sia da ciò che piace a me, il mondo indie internazionale, sia dall’indie italiano, almeno per quanto riguarda i testi. A piccoli passi siamo arrivati a questa canzone.

Non è la prima volta in cui su Musica361 intervistiamo giovani artisti che sono passati dall’inglese all’italiano. Qual è stata la difficoltà più grande e cosa, invece, è diventato più semplice?

Non è stato facile accettare che tutti capissero ciò che stavo cantando. Quindi, la difficoltà è stata mostrarmi per quello che sono. Non scriverei cose che non penso e non sembrerei mai qualcun’altro. Bisogna superare quel blocco mentale, poi ci si abitua in poco tempo.

Il tuo singolo è un assaggio di un album o di un altro tipo di progettualità?

“Anche se” è stato un primo assaggio in generale. I singoli sono diventati più importanti degli album, almeno ad oggi. Ci sarà un altro singolo verso fine estate/inizio autunno. Molto probabilmente ci sarà un EP, ma ci sono ancora molte cose che dobbiamo valutare.

Parli al plurale ed è giusto, visto che hai iniziato a far parte di un roster, quello dell’etichetta Platonica, che quest’anno ha già sfornato diversi artisti. Come ti stai trovando? 

Benissimo. Ciò che mi piace di Platonica è il gruppo di persone che si aiuta a vicenda. Abbiamo fiducia l’uno nell’altro. Siamo una sorta di famiglia. Mi trovo molto bene anche con i ragazzi degli altri progetti.

Mi è arrivata voce che tu sia un artista tuttofare: curi persino i tuoi video e la tua immagine social. È vero?

Diciamo che mi sono sempre arrangiato con il computer e i video sono sempre stati una passione. Per diletto ho imparato i trucchi del mestiere per rappresentare quello che ho in testa. Anche questa volta ho pensato al video, l’ho montato. È stato faticoso, un lavoro lungo, ma sono contento del risultato.

Hai parlato di indie italiano e internazionale. Cosa stai ascoltando di specifico in questo periodo? 

Sull’italiano non sono ancora un super esperto, non ci sono entrato da tanto. Chi mi ha stupito maggiormente è stato Frah Quintale con il disco “Regardez Moi”. Sono anche andato a sentirlo a Genova e sono rimasto veramente colpito dai suoi testi, da come raccontasse le cose. Anche Giorgio Poi mi piace molto. Per quanto riguarda l’estero cito Rex Orange County, un ragazzo inglese che ha fatto il botto già da un po’, Boy Pablo e tutto un filone europeo/americano che sta andando forte.

Vista la tua passione per la chitarra, quale sarebbe quella dei tuoi sogni? Puoi anche fare una scaletta. 

Ci devo pensare (sospira). A me piacciono le chitarre particolari. Ho una Fender Mustang, ma mi piacerebbe averne una degli anni ’60. Sicuramente mi piacerebbe anche avere una Danelectro di quelle vecchie. E poi una Gibson ES 335.

 

 

 

“Bitten By The Devil” è il titolo del nuovo e interessante lavoro di Emma Morton.

Emma Morton: "La musica è stata la mia coperta di conforto" 1

Cantante e autrice scozzese, Emma Morton è pura classe. Il suo nuovo disco “Bitten By The Devil” è carico di significati e suona davvero bene. Lei si muove in tour in tutta Europa, con una musa d’eccezione al seguito, che verrà rivelata nel corso dell’intervista.

“Bitten By the Devil” è il titolo del tuo album. Chi è stato morso dal diavolo?

La protagonista di questo disco è una donna. Il morso del diavolo rappresenta tutto: i rapporti che lei ha avuto, i rapporti con la sua salute mentale, con la società. Ognuno viene contaminato dal disagio, ci si trova in trappola in determinate situazioni. Questa donna arriva al culmine del male e decide di sovvertire tutto per creare della bellezza. A livello personale scrivere questo disco è stato terapeutico, ho esternato tutto ciò di cui mi è difficile parlare. Attraverso la musica ci sono riuscita.

È un disco autobiografico quindi?

Sono tutte storie personali. Non riesco a dividere la vita privata da quella artistica. Sono autentica, parlo delle esperienze che ho vissuto di persona. Da quando ero piccola la musica mi ha aiutato a gestire le emozioni, è stata la mia coperta di conforto.

Un disco che suona molto bene, dove si sentono tanti strumenti nelle diverse tracce. Come e dove è stato prodotto?

Abbiamo registrato in uno studio analogico a Lari (Pisa) in Toscana con Mirco Mencacci e Andrea Cecchini. Il disco è registrato in presa diretta, quello che si sente è ciò che abbiamo suonato spontaneamente utilizzando voce, chitarra, batteria e contrabbasso. Dopodiché abbiamo fatto le sovraincisioni di ulteriori cori, trombe, pianoforte e altri strumenti.

La qualità del lavoro si sente dalla prima traccia, complimenti. Raphael Gualazzi è un ospite del tuo disco. Come è nato questo duetto?

Ho partecipato nel suo album “Love, Life, Peace”. Mentre lavoravamo abbiamo creato un legame musicale e umano. Era molto felice di partecipare alla realizzazione di “Dirty John” quando gliel’ho chiesto. Questa canzone è una denuncia sulla violenza contro i bambini. È qualcosa che conosco in prima persona. È la storia di una bambina che si ribella alla violenza senza ulteriore violenza, ma dimostrando con forza di potersi liberare, senza dire: “Te la faccio pagare”, ma con: “Non puoi più farmi del male”.

Come raccontato da te, il disco ha contenuti importanti, senza alcuna forma retorica. E anche “Dirty John” ne è una conferma. Cambiando argomento, chi ti visiterà su Spotify, vedrà che, tra le tue tracce, “Daddy Blues”, un tuo vecchio lavoro, possiede un’esplosione di visualizzazioni. Come mai?

La mia partecipazione a XFactor è stata accolta molto bene dall’Italia. Quando è uscito l’EP ho avuto un grande riscontro. Da quel progetto sono passati 3 anni e ora è uscito un lavoro che sento davvero mio. Sono contenta di aver fatto una grande ricerca musicale. Non seguo tendenze, porto “il cuore sulla manica” come si dice in inglese, non riesco a fare ciò che non sento vero. Il mio nuovo disco è diverso da ciò che facevo ad XFactor. Quando ero entrata nel programma avevo espresso chiaramente il mio interesse per la musica proveniente dalle radici afroamericane (jazz, blues, soul), ma mi dissero che non c’era interesse a presentare questi mondi musicali perché non andavano di moda. Ho affrontato comunque l’esperienza come uno stimolo per trovare un modo diverso di comunicare.

Qual è il pubblico ideale di Emma Morton?

Non saprei. A livello geografico, la musica è universale, mette a contatto le persone del mondo. Un pubblico ideale è aperto ad ascoltare, ad avere uno scambio di esperienze, di emozioni. Da quando ho iniziato questo progetto abbiamo girato l’Italia, la Gran Bretagna, la Francia in diversi jazz club, jazz festival, rock festival. Insomma, la musica è un meltinpot di diverse sfumature. Ci sono concerti in cui abbiamo giovani ragazzi e coppie di settanta anni.

Quali sono le differenze nella vita di tutti i giorni una volta lasciati i panni della cantante?

Sono molto concentrata sul lavoro. Sono esigente e severa. In Italia una cosa bellissima è che amicizia e rapporti lavorativi si intrecciano. Sono fortunata ad avere lo strumento dentro di me, quindi quando faccio i lavori di casa e canto alleno la mia voce. Allo stesso modo quando canto una ninna nanna.
A volte è molto difficile perché lavoro tanto, come in questo periodo in cui siamo in tour, quindi c’è poca stabilità. Ciò che rende tutto più facile è che cerchiamo di vivere la vita come un’avventura e abbiamo cercato di trasferire questo valore anche alla mia bambina (4 anni e mezzo) . L’abbiamo abituata a stare in mezzo alle persone, viene in tour con noi e adesso ci aiuta al tavolo del merchandise (sorride). Si sente molto parte del progetto, quando scendiamo dal palco ci dice sempre che siamo stati bravi. È la nostra musa, la nostra forza.

 

Lo show del cantante romano conclude l’edizione 2018 del festival musicale genovese.

Coez chiude il GoaBoa 2018 a Genova

Lunghe code per il ritiro del biglietto. Arena del Mare gremita come nelle migliori occasioni. L’ultima serata del GoaBoa di Genova ha visto sul mainstage Joe, Francesco De Leo, Coma Cose e, infine, Coez. In quella che è stata la notte più afosa di luglio, il cantante romano si è presentato sul palco con una camicia che ha dovuto cambiare dopo qualche pezzo. Uno show ben orchestrato, dove digitale e analogico hanno riprodotto le atmosfere di un disco, “Faccio un casino”, che gli ha permesso di uscire dalla nicchia underground e diventare apprezzato dal grande pubblico. Diversi gli strumenti impiegati sul palco: il suo storico dj Banana (whtrsh) con uno scratch old style, poi tastiera, sequenze, batteria, chitarra e basso. Non ci sono solo le tracce del nuovo album, anzi, il concerto è per chi conosce Coez dal giorno 0 o chi vuole scoprirlo davvero. “Faccio un casino” e “La musica non c’è” non sono state le ultime due canzoni di tutto lo show: chi è rimasto dopo “La musica non c’è”, citando proprio le parole di Coez sul palco, è chi ha voluto godersi fino in fondo lo spettacolo.

Lancia spezzata a favore di GoaBoa, un festival che ogni anno si rinnova sempre più importante. Quest’anno i nomi in ballo sono stati davvero big: Coez, Caparezza, Negrita, Tedua, Frah Quintale, Achille Lauro, Coma Cose, Myss Keta, Mudimbi, Ministri, Pinguini Tattici Nucleari, Viito e tanti altri. Il punto sul quale c’è margine da migliorare (critica costruttiva) è stimolare l’arrivo di turisti da fuori per il concerto, ma a quel punto la location potrebbe non bastare per la capienza. Si vedrà, in qualsiasi caso promossi a pieno titolo. Lo scenario estivo di Genova e la proposta ampliata nel corso degli anni ha permesso al festival di essere sempre più un punto di riferimento nell’estate italiana, per chi vuole sentire la musica del momento dal vivo, affacciati sul mare.

Fitness e musica nel lavoro di Barbara Capelli. Ma il sogno è una nuova televisione.

Barbara Capelli

Il fitness è il centro della vita di Barbara Capelli, personal trainer e istruttrice di kickboxing. La musica è un motore nel suo lavoro e nella sua vita. Ha scelto di collaborare con studi musicali professionali per dare ai propri clienti un’esperienza completa e la massima motivazione.

Qual è il tuo rapporto con la musica?

La musica è la mia colonna sonora da quando ero piccola. Sono cresciuta con una zia cantante soul, i miei genitori hanno sempre ascoltato la musica. Successivamente ho iniziato a fare danza. In questo momento, invece, ho portato nella kickboxing, sport di cui sono istruttrice, il mio gusto musicale attraverso alcuni CD che ho fatto con un mio amico dj. La musica che propongo ai miei allievi è studiata, anche in base al gradimento dei clienti. Non è musica che si sente comunemente in una palestra.

In che modo scegli le canzoni da proporre? Per emozione o per motivazione? 

Il criterio è sicuramente l’emozione. Mi vengono i brividi quando sento canzoni fatte bene. Conducendo un corso che fa sudare, un’arte marizale a tempo di musica, è ovvio che nel mood che propongo deve esserci un tipo di musica che aiuti a superare la fatica.

Non a caso nello sport agonistico, come la corsa, si dice che la musica sia considerata un doping. 

Si, è vero. La fatica si percepisce principalmente dalla testa. In realtà, la fatica vera arriva dal corpo e arriva sempre dopo rispetto a quella della testa. Se la testa è impegnata perché c’è una canzone che ti prende e il tuo istruttore è lì a motivarti, puoi superare i tuoi limiti. La musica è una “droga” positiva perché ti fa sprigionare endorfine e avere prestazioni migliori.

La tua figura professionale è vasta: oltre a istruttrice, sei modella e showgirl. Come riesci a far unire tutte queste facce del dado?

Penso che il momento storico mi abbia aiutata. Tante trasmissioni televisive e tante pubblicità prendono personaggi dello sport come testimonal. Forse perché dà l’idea di un benessere benevolo per corpo e mente. Quindi, il mondo dello spettacolo si sposa con gli sportivi. Io ho fatto l’inverso: sono nata come modella, poi ho fatto televisione, ma ho sempre praticato sport. Ora sono un’istruttrice e cerco di dare una figura diversa quando vado in televisione, portando argomenti che oggi sono coerenti: “Come faccio a rimettermi in in forma?”, “Qual è il giusto stile di vita?”, “Come faccio se non ho tempo?”. Tutti argomenti che possono essere interessanti da sviluppare in un talk.

Qual è il consiglio che suggerisci più spesso?

Il primo consiglio è di non farsi bloccare, a livello mentale, dagli impegni che ognuno ha e dalla stanchezza mentale che si percepisce. Se vuoi rimetterti in forma lo si puo fare anche con mezz’ora di tempo con le nuove sessioni di sport. È necessario decidere di prendere visione del proprio corpo e della mente. Lo dico perché sono anche Health Specialist e rimetto alla vita normale persone che hanno avuto traumi legati a malattie gravi e non sanno fino a che punto possono spingersi. La chiave sta solo nella voglia di rimettere in gioco l’agenda e di trovare quella mezzora di tempo per riprendere un allenamento, un regime più salutare.

È una questione di forza di volontà.

Esatto. Come la dieta: “La inizio lunedì prossimo”. Perchè non iniziarla subito. Sono quelle cose che una persona rimanda giustificandosi. Bastano un paio di scarpe o un costume da bagno. Oggi le palestre sono aperte prestissimo. È solo l’impatto iniziale che è complesso, ma quando vedi i risultati e ti senti meglio non riesci più a farne a meno.

Vista la tua motivazione, in questo momento cosa vorresti? Cosa stai perseguendo? 

In questo momento mi farebbe piacere tornare in tv con un talk che riporti il lato bello della televisione. Serve dello spessore che è venuto a mancare. Non è detto che lo dia io, ma magari gli ospiti di questo talk potrebbero dare un concetto migliore della tv in Italia. E poi continuare con il mio lavoro, che mi dà tante soddisfazioni.

Come mai desideri tanto la televisione che ha perso proprio quel senso di verità?

Scrivere articoli, una rubrica e avere un rapporto sui social lo sto già facendo. La televisione mi manca, me la porto dentro da quando ero piccolina perché l’ho fatta. Oggi, proprio perché la tv ha perso qualcosa, forse c’è spazio e voglia di vedere qualcosa di diverso. Questa è una sfida che mi piacerebbe vincere.

Un ritorno dedito alla qualità, una caratteristica che, secondo Antonella Arancio, si è persa nella musica italiana con il passare degli anni.

"Quel vuoto immenso" è il nuovo singolo di Antonella Arancio

Quel vuoto immenso” è il nuovo singolo scritto, composto e interpretato da Antonella Arancio per l’etichetta discografica indipendente Iced Not Music di Alessandro Gigli. La produzione artistica è di Cosmo Masiello, che ne ha curato anche gli arrangiamenti. Un ritorno musicale e mediatico di un’artista che negli anni 1994 e 1995 aveva riscosso consensi al Festival di Sanremo con i brani Ricordi del cuore (categoria Nuove proposte) Più di così (categoria Big) – entrambe prodotte da Franco Migliacci. Non scende ai compromessi della contemporaneità Antonella Arancio e punta a ridare slancio alla qualità, che, secondo lei, è diventato un fattore secondario nella nuova musica italiana.

Il tuo singolo “Quel vuoto immenso” segna un ritorno. Gli artisti che hanno già partecipato al Festival di Sanremo in passato e decidono di rimettersi in gioco hanno sempre obiettivi molto chiari. Cosa rappresenta questo momento per te?

Sono stati i tempi in cui siamo a farmi tornare. In passato era tutto più complesso. Oggi la maggior parte degli artisti si autoproduce, è più semplice arrivare al pubblico attraverso i social. Questo è stato un input maggiore. In questi anni ho continuato a fare musica, a presentare progetti al Festival di Sanremo. Ora ho deciso di ripropormi con un’etichetta indipendente.

Quindi la contemporaneità ha permesso una musica più libera? 

Assolutamente. Basta guardare i fenomeni che nascono da YouTube. Oggi puoi caricare il tuo brano, pubblicizzarlo, promuoverlo. La tecnologia ha migliorato il sistema, ma c’è anche molta freddezza e distacco, motivo per il quale sono molto legata alle vecchie maniere. È come andare a comprare un libro o comprare un disco, oggi non ci sono più le librerie ne i negozi di dischi. Hai una chiavetta, hai tutto digitale. Io sono per la carta. Ai miei tempi era bello quando usciva un disco e non vedevi l’ora di andarlo a comprare. Tutto ciò che era legato al mondo della musica prima era diverso. Non c’erano i reality, per ascoltare nuova buona musica dovevi aspettare il Festival di Sanremo. Insomma, ci sono lati positivi e negativi di questa evoluzione.

Si è persa meritocrazia? 

Si, sotto tutti gli aspetti. Anche la qualità musicale è cambiata. Una volta c’erano cantanti che sapevano cantare e ogni canzone che si faceva era un successo. Oggi accendi la radio e la musica sembra tutta uguale. Una volta non era così, ogni cantante aveva la propria personalità. C’erano artisti veri.

Il digitale ha cambiato soprattutto le tempistiche. La possibilità di produrre una canzone in poco tempo ha serrato i ritmi produttivi a discapito della qualità del prodotto, talvolta. 

C’è fretta di sfornare qualcosa. Hanno detto che il mio brano non c’entra nulla con la tendenza attuale e ne sono orgogliosa. Quando volevamo proporlo in radio mi hanno chiesto se fosse un brano estivo, un brano del momento. Oggi i compositori e gli autori mettono sul tavolino tutti i successi più importanti, prendono un po’ di questo, un po’ di quello e scrivono un brano. Come fare una minestra, una volta aggiungi una carota, poi aggiungi altro. I testi non hanno senso, mi spiace dirlo. Non mi sto riferendo specificatamente a un cantante. Le canzoni che ascolto non hanno un filo logico, non hanno una storia. “Mi serve una rima con rosa. Prosa. Anche se non c’entra niente fa rima, metticela”. È così.

Il tuo ritorno quindi vuole rilanciare l’ideale della qualità nella musica? 

Spero che questa tendenza musicale sia momentanea e che si torni alla bella musica.

Peraltro, il tuo brano si apre con “antologie di fiori e lacrime”. Aprire una canzone con la parola “antologie” è una scelta autoriale che presuppone di non colpire tutti coloro i quali non conoscono il significato di questa parola. Vuoi andare a cercare un tipo specifico di pubblico?

Alle spalle non ho molti dischi, ma sono opere che per me sono state molto importanti, scritte da grandi parolieri. Ne cito uno, Franco Migliacci, che sicuramente non potrebbe scrivere oggi. Purtroppo non abbiamo i parolieri di una volta. Questo verrà a mancare. Dobbiamo imparare dai grandi. Anche se alcune signore della musica italiana hanno cercato di adattarsi alle tendenze e sembrano ridicole. Se tu hai sempre fatto musica importante, di spessore e sei un grande interprete, non puoi cercare di fare a tutti i costi un pezzo reggaeton che non ti si addice. Lì l’artista, secondo me, sminuisce la propria personalità. Non si deve fare. Io non lo farò mai. Quando proposi il mio brano all’arrangiatore, mi disse se sapevo che fosse un pericolo fare un brano del genere. Poteva trasformarmelo, renderlo attuale e gli dissi che non se ne parlava proprio. A me non interessa stare nelle classifiche radiofoniche facendo qualcosa che non sia mio. Non sarei credibile. Non è una musica che potrei fare. Ho scritto questo brano in maniera semplice, ho trovato le giuste parole, magari ci sono tante metafore, ma non ho cercato la parola difficile per fare un prodotto difficile. Ho cercato di fare una bella canzone. Non è detto che piaccia a tutti, ma questo è soggettivo. Ho sentito tanti commenti positivi.

Di fronte alla situazione che hai dipinto, c’è qualche artista che ti stimola? 

Attualmente non c’è un artista in particolare che ascolto. Sono appassionata di musica celtica, medievale e irlandese. Stimo molti colleghi italiani, sono cresciuta con Fiorella Mannoia. La musica di oggi lasciamola fare ai rapper, che non hanno molto da dire. Coloro i quali hanno una bella penna devono attenersi alle proprie qualità artistiche.

 

Showgirl, influencer e sportivi si avvicinano sempre di più alla formula della canzone. Qual è il motivo? Cerchiamo di capirlo insieme a Ilenia De Sena.

Ilenia De Sena è un’aspirante giornalista sportiva ventenne che in occasione dei Mondiali di calcio 2018 ha deciso di pubblicare una traccia chiamatasi “Ciao Ciao Mondiale“. Un progetto canonico, più che una canzone, chiaramente volto, in maniera simpatica, ad allargare il proprio bacino di utenza tentando il tormentone. È come provare a vincere il jackpot con una monetina: nella peggiore delle ipotesi non si vince nulla, ma si è anche persa la moneta. Quindi, quali sono le ragioni che si celano dietro progettualità di questo tipo? Arte o visibilità? Ma soprattutto, se la qualità non è un punto centrale di un progetto, il rischio è quello di auto-screditarsi?

Ilenia De Sena: "La musica è un mezzo per farsi conoscere"

Il tuo personaggio mi ha colpito. Tu fai tanti mestieri: influencer, conduttrice, attrice. Qual è, allora, il tuo ruolo specifico nel mondo dello spettacolo? 

Il ruolo che ho adesso non è definito, perché devo trovare la mia strada. Il mio sogno sarebbe quello di diventare una giornalista sportiva. Credo che per trovare la propria strada sia necessario provarne altre senza escludere niente. Con l’evoluzione della tecnologia si è imparato a fare più cose contemporaneamente. È un vantaggio per le persone come me, che hanno sempre voglia di mettersi in gioco, che non si arrendono mai. Persone determinate. Il mio primo pensiero appena sveglia è leggere notizie di mercato, interessarmi di sport. Ho una passione sfrenata. Non mi ispiro a qualcuno in particolare, ma ho alcuni riferimenti. Seguo giornaliste come Giorgia Rossi, Monica Bertini, Eleonora Boi e Diletta Leotta, per poter diventare un giorno come loro o anche meglio, perché nella vita si può sempre migliorare e non bisogna mai fermarsi.

Oltre ai lavori che abbiamo elencato prima aggiungiamo, quindi, anche il giornalismo sportivo. Che formazione hai?

È un percorso che ho iniziato quando avevo 15 anni. Quest’anno ho lavorato a Radio Milan Inter, ho condotto un programma insieme a un giornalista per tutto il corso del campionato. Sono passata a Radio Montecarlo Sport. Ho seguito tanto le partite del Milan, anche se non sono milanista. Questo dimostra il mio lato sportivo: amo il calcio, quindi, anche se non si tratta di Juventus, mi piace guardare il bel gioco. Credo che bisogna rimanere sempre con i piedi per terra, per quello sto cercando di prendere una laurea. Studio economia e marketing in Bicocca a Milano.

In tutto questo, hai realizzato una canzone che si chiama “Ciao Ciao Mondiale”. È diventato comune per molti esponenti dello spettacolo pubblicare una traccia, anche per chi si occupa di sport. Come mai personaggi che non hanno legami con la musica decidono di fare una canzone?

Con la musica puoi divulgare un messaggio in maniera diretta e immediata. Come sappiamo tutti l’Italia non si è classificata ai Mondiali. Questo ha sconfortato un’intera nazione. Durante la Coppa del Mondo le famiglie si riuniscono, anche chi non segue il calcio inizia a guardarlo. Era un momento per stare insieme. Il motivo per cui ho fatto una canzone è principalmente questo, oltre a fondere la passione che ho per la musica e per lo sport.

Dopo aver ascoltato la canzone mi è tornato in mente Checco Zalone, quando aveva tentato il colpaccio, riuscito peraltro, con “Siamo una squadra fortissimi”. La grande differenza è che lui, oltre ad essere un grande comico, è anche un musicista. Tu hai messo mano sulla tua canzone oppure sei stata aiutata?

Sono stata aiutata e lo dico perché non sono una cantante professionista. La bellezza di questo brano è il concetto di “girl power”: la donna è messa al centro di questa canzone che parla di calcio, un argomento prettamente maschile. Si affronta il ruolo della donna, che è sempre più forte nella società. In questo caso una moglie segue il calcio e il marito non fa nulla. Il messaggio principale è una donna con sempre più potere all’interno del mondo.

Detta così, però, appare presuntuosa?

No, assolutamente. Non in modo presuntuoso. Visto che le donne hanno sempre subito una discriminazione rispetto all’uomo, in questo caso si è voluto mettere al centro la donna per dimostrare che capisce di calcio.

Quindi il fuorigioco sai spiegarlo benissimo.

Certo (ride).

La tua situazione è utile per capire quanto, in casi analoghi al tuo, si stia utilizzando la musica per divulgare un personaggio. Si cerca il tormentone estivo trattando argomenti sportivi. Pensi che sia un valore positivo nei confronti dell’arte o ne toglie il vero valore?

Mi metto dalla parte di chi fa musica, che studia e capisco che si senta discriminato. Se tutti possono fare musica, ma con basi totalmente diverse, è una discriminazione e questo lo capisco. Il mio intento non è quello di diventare una cantante, ma di raccontare, in maniera simpatica, che l’Italia non si è qualificata ai Mondiali. Quindi, è semplicemente un modo per tirare fuori un tormentone estivo, ma non è stato fatto per diventare una cantante, anche perché non ho mai studiato (musica, nda) e non è quello il mio obiettivo. La musica è un mezzo per farsi conoscere in maniera immediata.

“La musica è un mezzo per farsi conoscere”. Quello che hai detto è la verità. Sfatiamo il mito di chi si occupa di altro e poi si dedica alla musica. È giusto che qualcuno lo dica. 

Io l’ho fatto per quello. Mettendo la mia canzone a confronto con quella di un professionista si vede che sono cose completamente diverse. Penso che i cantanti non siano preoccupati dalla mia canzone, perché non intaccherebbe di sicuro il loro talento.

Per ora “Ciao Ciao Mondiale” è disponibile solo in formato audio. Uscirà anche il video?

Ci stiamo pensando. Non siamo ancora sicuri. Per ora no.

Da questa intervista sembra emergere sempre di più “la ricetta per il successo”. Che valore ha per te il successo?

Si, sicuramente. Il successo è un modo per ripagare tanti sforzi e sacrifici che vengono fatti e magari nessun’altro nota. Non perché sia io a volerli far notare, perché alla fine sono io che li faccio e ho il piacere di farli. Per mantenere il mio corso di studi e la mia carriera studio di notte, non dormo, mi porto i libri dietro. Mi nego le uscite e anche la mia vita privata ne risente. Il successo è la coronazione di tanto lavoro.

 

 

 

 

Il ritorno di Micaela nel panorama musicale italiano è avvenuto lo scorso 29 giugno con il singolo “3 volte niente”.

Micaela: "Bisogna capire quando una relazione è sbagliata"

Sembra ormai lontano il Festival di Sanremo 2011, quando l’esordiente Micaela si esibiva nei Giovani con il brano “Fuoco e cenere”, che arrivò a un passo dalla vittoria, anticipata solo da Raphael Gualazzi. Anni trascorsi a sperimentare e a suonare dal vivo, che le hanno permesso di incontrare due big delle produzioni musicali internazionali: Fabrizio Sotti (che ha collaborato con Tupac, Calvin Harris, Jennifer Lopez, ecc.) e Luca Pretolesi (il quale può vantare altrettante partnership con nomi importanti quali Major Lazer, Bruno Mars, Jovanotti). L’estate duemiladiciotto firma il suo ritorno con il singolo “3 volte niente“, che anticipa un album in produzione.

È un atteso ritorno. Quanto ti senti cambiata artisticamente dal Festival di Sanremo 2011 ad oggi?

Molto. Ho iniziato a 17 anni, ora ne ho 25 quindi sono cresciuta sia a livello umano, sia artisticamente. In questi anni ho sperimentato tantissimo, dando tanta importanza ai live, ma non tralasciando la scrittura. Mi sento molto cambiata, anche se mi vedo sempre la stessa, con lo stesso sogno nel cassetto.

Il progetto che hai in mano sembra molto importante: come ti sei ritrovata in America a incidere?

Le mie origini sono americane, perciò sono sempre andata negli Stati Uniti. Il console di Miami mi invitò per una serie di eventi e da quello nacque un tour in tutta la costa est. Ho conosciuto una persona, un agente immobiliare, che è un amico in comune di Fabrizio Sotti e mi ha consigliato di incontrarlo. Da quando ci siamo conosciuti ho capito che ci fosse voglia di fare musica insieme. Fabrizio ha delle idee geniali, poi è apprezzato in tutto il mondo e, tra l’altro, sarà in Italia all’Umbria Jazz a luglio. Ha voluto lavorare subito a “3 volte niente”, l’ha stravolta in positivo. Mi piace tanto il risultato finale al quale ha lavorato anche Luca Pretolesi, un altro nome importante nel settore a livello mondiale.

Senti il peso delle aspettative?

Non tanto, perchè ho sempre fatto musica che mi piaceva a prescindere. Mi fa piacere che il pubblico possa apprezzare le mie canzoni. Poi la musica è personale.

Il tuo nuovo singolo si chiama “3 volte niente” ed è dedicato alle relazioni che finiscono. Pensi che sia quel classico sfogo che avviene dopo qualche giorno dalla fine di una relazione importante oppure, a tuo parere, ci sono storie che non lasciano niente?

La canzone è un sfogo per dire: “Mi sono accorta che non fossi la persona adatta a me. Questo amore forte, questo colpo di fulmine, mi ha cambiata, ma continuo ad andare avanti”. Questo è il messaggio che ho voluto mandare, anche diretto alle donne. Ogni giorno se ne sentono tante, bisogna capire subito se la persona che si ha accanto non è quella giusta, anche se lascerà un segno indelebile nella nostra vita.

Quali sono i tuoi ascolti attuali?

Ascolto di tutto. Mi piace molto la radio e assistere ai concerti. Ogni volta che ce n’è uno qui a Roma mi ci fiondo come se non ci fosse un domani.  Ascolto anche trap, rap. Mi piacerebbe anche rappare, ma non è cosa mia (ride).

Quale è stato, allora, il tuo ultimo concerto?

Mi sono persa, purtroppo, i Pearl Jam, ma sono andata a Cremonini. Bellissimo.

Come vedi lo stato attuale della musica italiana, la quale ha avuto tante evoluzioni rispetto a quando hai iniziato il tuo percorso?

Quando ho fatto il Festival di Sanremo Facebook era usato pochissimo. Oggi è cambiato tutto. Si dice che la discografia sia stata rovinata, ma per l’artista è molto positivo avere un contatto diretto con il pubblico. Se io posto qualcosa su Facebook, YouTube o Instagram ho un riscontro attivo di ciò che ho prodotto.

Hai già vissuto da protagonista l’atmosfera del Festival, ma ti piacerebbe tornarci?

Certo, senza ombra di dubbio. Sto lavorando al mio album adesso, c’è in previsone l’uscita di qualcosa di nuovo. Il Festival di Sanremo è qualcosa che piace a tutti, non posso negare che tornerei volenteri. Poi “Ti lascio una canzone” (prima vera apparizione di Micaela) era proprio al Teatro Ariston, quindi per me sarebbe un ritorno a casa.

 

 

 

Un colonna sonora del nostro passato è, senza dubbio, “Hey Ya!” degli OutKast. Un successo internazionale e intergenerazionale.

Capita che con il passare del tempo alcune canzoni restino nella cultura popolare, nei dj set delle notti estive, nelle playlist dal mood festivo. Ciò è si nasconde dietro ad un successo che perora nel tempo non viene indagato, lo si accetta e basta, come un dogma. “Hey Ya!” è diventata più di una canzone degli OutKast. La parabola raccontata da diversi artisti, in cui le canzoni vengono donate al pubblico dopo essere state scritte o incise sembra calzare a pennello con questa traccia, che in tanti sentono propria.

Gli OutKast sono un duo statunitense, di stampo hip hop, composto da Andre 3000 e Big Boi. La coppia capisce dal liceo di avere la marcia giusta e sforna nei primi anni ’90 un singolo da disco d’oro: Player’s Ball. Da quella hit la valanga aveva appena iniziato a muoversi. Nel 1994 l’album di debutto Southernplayalisticadillacmuzik è disco di platino. Nel 2000, invece, è triplo platino il loro quarto disco Stankonia. L’apice viene raggiunto nel 2004, anno di uscita del singolo “Hey Ya!” , che sbanca qualsiasi premio, tra i quali, ai Billboard Awards dello stesso anno, il Best AlbumRap AlbumBest Album Artist e Best Duo/Group, mentre, ai Grammy Award, il Best Urban/Alternative Performance per il brano Hey Ya!,  Best Rap Album e Album of The Year.

Il brano continua ad essere suonato e riproposto anche in differenti versioni, che ne hanno alimentato la popolarità, garantendone un successo leggendario. Tra le cover da ricordare quella realizzata dai The Blanks per la serie televisiva Scrubs, episodio 15 dell’ottava stagione, durante i giorni dei protagonisti alle Bahamas per il matrimonio dell’inserviente.

Dopo il graffiante exploit il gruppo ha iniziato un lungo periodo di silenzio. A maggio del 2018, Andre 3000 è tornato sulle scene con l’EP “Look Ma No Hands“, composto da due tracce e pubblicato in occasione della Festa della Mamma.

 

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