L’ultimodeimieicani: “Per vedere il cielo devi scalare l’Everest”

“Everest” è il nuovo singolo de L’ultimodeimieicani, band genovese che fonde il cantautorato italiano al pop/rock di stampo inglese.

L'ultimodeimieicani: "Per vedere il cielo devi scalare l'Everest".

Hanno incominciato a suonare insieme nel 2014 Pippo, Lollo, Benji, Pulce e Racho, i cinque ragazzi che compongono L’ultimodeimieicani. Oggi puntano ad essere la nuova band rivelazione. Dopo l’EP “In moto senza casco” (2017), che raccontava la società vissuta attraverso gli occhi della band, gli obiettivi si sono fatti ancora più seri ed “Everest”, il nuovo singolo, anticipa un album da un sapore diverso: emotivo e introspettivo. La produzione di Mattia Cominotto (Green Fog Studio) dà, ancor di più, un’ufficialità al progetto.

“Everest” è una metafora che si riferisce ai palazzi della città che ci sovrastano?

Vivendo a stretto contatto i vicoli genovesi, vediamo il cielo attraverso i palazzi, ma allo stesso tempo ci sentiamo chiusi in una gabbia. È una cosa che non succede solo in città. Sicuramente è molto individuale e soggettiva.

I palazzi non sono altro che il tessuto della società. Società che sembra non accettare realmente il mestiere del musicista. Quella a cui vi riferite è anche una gabbia dal punto di vista lavorativo?

“Everest” è anche una metafora che indica la scalata. Noi siamo giovani e spesso ci troviamo smarriti, pur sapendo di portarci addosso il fardello del “dover scalare” qualcosa, dover arrivare da qualche parte. Sono concetti che ci sono stati imposti. Noi vorremmo solo suonare e dire quello che sentiamo, senza troppe paranoie imposte dal modello di società in cui viviamo. Il punto focale comunque non è la società in sè, bensì il nostro percorso personale, in cui ci troviamo spesso a superare qualcosa in salita. Per arrivare al cielo devi scalare le montagne.

Il paradosso di questa canzone è che ha un contenuto così intenso, ma è anche un ossimoro con il ritmo concitato del pezzo.

Rispetto ai nostri primi lavori siamo cresciuti anche dal punto di vista dell’arrangiamento. Stiamo lavorando con Mattia Cominotto (Green Fog Studio), che ci sta dando una mano in veste di produttore artistico. Abbiamo unito le nostre influenze, sia il cantautorato che il pop/rock inglese (Arctic Monkeys, The Strokes, ecc.). Per questo c’è un suono più carico. Uno schiaffo in faccia: non solo da sentire, ma da ascoltare.

Quali sono le ragioni per le quali avete scelto di lavorare il vostro album all’interno del Green Fog Studio con Mattia Cominotto? 

Mattia aveva registrato il nostro EP, che era autoprodotto, senza apportare modifiche alle nostre canzoni. Questa è la sua filosofia almeno nel primo lavoro di ogni band. Dopo questo EP abbiamo iniziato a lavorare al progetto dell’etichetta Pioggia Rossa Dischi, nella quale Mattia ha deciso di includerci. Ci siamo trovati bene e subito dopo lui ha proposto di produrci il nuovo disco. L’abbiamo scelto con molta convinzione, perché ciò che stava venendo fuori dalla saletta poteva essere interpretato nella maniera giusta solo da una persona come lui. Ci sembrava che potesse tradurre al meglio la nostra musica.

Pioggia Rossa Dischi è una nuova realtà interessante. Su Musica361 abbiamo parlato recentemente dei Saam, che fanno parte del roster PRD. C’è una linea guida che unisce gli artisti che vengono prodotti? Ne state cercando di nuovi?

Probabilmente fino a fine anno il roster è completo, a meno che non ci arrivino nuovi progetti che ci facciano girare la testa. Avremo un grosso annuncio tra poco. In realtà, se ti riferisci a una linea di genere, non l’abbiamo e non vogliamo averla. C’è un’apertura verso tutti. Per adesso ci manca un rapper nell’etichetta. La volontà è quella di rimanere un collettivo anche se tutto dovesse diventare ancora più serio in futuro. Abbiamo voluto creare un progetto dove chi ne facesse parte si sentisse in famiglia.

Ogni band si sveglia tutti giorni pensando alla cosa che vorrà fare dopo. Qual è il vostro obiettivo centrale, che vi fa svegliare e vi fa pensare: “Ok, dobbiamo spaccare tutto”?

È un sentimento di rivalsa rispetto a quello che sta uscendo ora in Italia. Massimo rispetto per Calcutta, è chiaro che una conseguenza del suo successo è stata, anche, l’uscita di tanti artisti “copia” del suo stile. Noi invece vogliamo fare qualcosa di diverso, che ci appartenga e abbia un senso, sia a livello musicale che a livello testuale. Questo è ciò che ci spinge ad andare avanti, la ricerca della qualità. Ideale condiviso anche nel progetto di Pioggia Rossa Dischi.

Da questa intervista potremmo quasi coniare il termine “alternative indie” per descrivervi.

“L’indie è morto” come dicono Le Coliche (ridono). Alla fine quello che ci spinge a fare tutto è la passione per la musica. Abbiamo cominciato a suonare nella saletta del Buridda (un laboratorio sociale occupato e autogestito di Genova, nda), dopo aver scritto 3-4 canzoni abbiamo deciso di fare qualche concerto. Piano piano siamo migliorati insieme, cercando sempre di lanciare un messaggio.

Tornando, infine, su quello che sarà l’album. Avete annunciato che sarà di carattere introspettivo. Come mai?

Negli anni abbiamo iniziato a osservare in maniera più personale ciò che ci succede. Siamo molto amici, ci troviamo a vivere situazioni molto simili. Per farci conoscere, invece che un classico “piacere, sono… ” vorremmo raccontarci attraverso le canzoni e la musica.

Potete sostenere L’ultimodeimieicani partecipando alla campagna MusicRaiser dedicata proprio al loro nuovo album.

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Andrea De Sotgiu
Andrea De Sotgiu
Laureato in Comunicazione, appassionato di musica e di tecnologia. Se qualcosa nasconde una dietrologia non si darà pace finché non avrà colmato la sua sete di curiosità, che sfogherà puntualmente all'interno dei suoi articoli.
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