Modà La Notte Dei Romantici – Il Tour arriva allo stadio di San Siro di Milano L’occasione per festeggiare insieme a tutti i Romantici la lunga storia della band milanese

Modà La Notte Dei Romantici – Il Tour
Modà il 12 giugno a Milano stadio San Siro

Milano, manca pochissimo alla Notte Dei Romantici il concerto evento che i Modà porteranno in scena allo Stadio di San Siro di Milano il prossimo 12 giugno.

Un ritorno dopo il live di successo del 2016 che aveva incendiato il cuore dei fan, che sui social sono in fermento questo ritorno tanto atteso e continuano a ricordare con entusiasmo le emozioni indescrivibili vissute quella sera d’estate di tanti anni fa.

Insieme al live del 28 giugno a Cagliari, quello di San Siro sarà l’unico concerto dell’estate prima di tornare nei principali palazzetti italiani tra ottobre e novembre.

I Modù, che in carriera hanno ottenuto 1 disco di Diamante, 31 dischi di Platino, 9 dischi d’Oro grazie agli oltre 2 milioni di dischi venduti, saliranno per la quarta volta sul palco dello Stadio più importante d’Italia, quattro sold out che si sommano ai concerti tutto esaurito nei palazzetti, nei teatri e negli stadi, una storia fatta sì di successi ma anche di inciampi e risalite che li hanno legati sempre di più al loro pubblico che non ha mai smesso di ascoltarli e di sostenerli.

Modà La Notte Dei Romantici – Il Tour
Modà La Notte Dei Romantici – Il Tour

“La Notte Dei Romantici – Il Tour”, prodotto da Vivo Conceti, ripercorrerà la lunga carriera dei Modà, oltre vent’anni di canzoni e di successi.
Tra le canzoni non mancheranno ovviamente quelle del nuovo album “8 Canzoni”, il disco che la band ha pubblicato dopo l’ultima partecipazione al Festival di Sanremo e che contiene il brano portato in gara “Non Ti Dimentico”.

(https://youtu.be/zmXOx-MGDAc?si=jX0LqAZQ-YzYNZJH).

Il nuovo album dei Modà è un progetto musicale di inediti che segna il ritorno della band dopo tre anni dall’album “Buona Fortuna”.  Dal 2004 ad oggi il gruppo ha mantenuto ha tenuto un passo costante nella produzione degli album, con una media di circa tre anni. Il singolo che   il nome all’album segna un ritorno alle origini della band: un brano d’amore, come ha segnato la storia della band che è entrata nel cuore dei suoi fan. Una canzone nata nella provincia di Milano, in particolare a Cassina De’ Pecchi tanta cara alla penna d’autore di Kekko Silvestre.

Modà La Notte Dei Romantici – Il Tour 2
Modà

Questo il calendario aggiornato degli appuntamenti:
12 giugno 2025                    Milano            Stadio San Siro
28 giugno 2025                    Cagliari           Fiera di Cagliari
30 ottobre 2025                    Padova            Kioene Arena  (data zero)
05 novembre 2025                Roma              Palazzo dello Sport
11 novembre 2025                Bologna          Unipol Arena
18 novembre 2025                Firenze            Mandela Forum
26 novembre 2025                Bari                 Palaflorio
02 dicembre 2025                 Torino              Inalpi Arena

I biglietti sono disponibili su Vivoconcerti.com e su tutti gli altri circuiti online e nei punti vendita abituali.
Radio partner degli eventi sarà RTL 102.5.

Articolo a cura di Raffaele Specchia

Alessandro Grazian artista a tutto tondo che non smette mai di fare ricerca: chitarrista, cantautore, arrangiatore, compositore e ricercatore

Alessandro Grazian: dal peplum al rock d’autore
Da sinistra Roberto Dellera, Lorenzo Fornabaio, Lino Gitto e Alessandro Grazian (Foto di Elisa Perazzoli)

L’occasione per conoscere e intervistare Alessandro Grazian è stata Beatlemania, omaggio ai Beatles per il sessantesimo anniversario dei concerti italiani dei Fab4, che si terrà il 24 giugno al Castello Sforzesco.

Da ieri, è possibile ascoltare su tutte le piattaforme lo splendido singolo Voglio Amarvi.

Alessandro Grazian, padovano trapiantato a Milano da 16 anni, è un artista a tutto tondo che non smette mai di fare ricerca. Inizia come chitarrista in gruppi ai tempi del liceo; la musica era quella del periodo, soprattutto il grunge inquieto dei Nirvana. Alessandro capisce però che deve camminare da solo: «Ho iniziato come chitarrista per band che non concretizzavano mai, forse perché ero l’unico veramente interessato a fare della musica la mia vita».

L’esordio come cantautore è con il botto: vince al Festival Internazionale della Canzone Italiana d’Autore di Acquarossa (Svizzera) con Ammenda. Subito dopo pubblica quattro album: Caduto (2005), Indossai (2008), Armi (2012) e L’età più forte (2014). I riferimenti di Alessandro in questa fase sono Nick Drake, i chansonniers francesi come Brel e Gainsbourg, e su tutti Neil Young, artista capace di spaziare tra melodie raffinate e rock grezzo.

A un certo punto, però, la dimensione del cantautore inizia a stargli stretta: «Ho cominciato a fare liberamente tante cose, come arrangiare in prima persona i miei dischi, scrivere per altri, approfondire la conoscenza di diversi strumenti, studiare la composizione, i segreti dello studio di produzione e i linguaggi del cinema e del teatro. Dopo l’ultimo album, ho messo in pausa il mio percorso solista per aprire i rubinetti della libertà creativa».

Così Alessandro diventa anche musicista gregario, lavorando sul palco e in studio con Cristiano Godano, Giulio Casale e altri nomi della scena cantautorale più trasversale e rock.

Alessandro Grazian - Voglio Amarvi - Cover
Alessandro Grazian – Voglio Amarvi – Cover

Uno dei progetti più originali di Grazian è Torso Virile Colossale, un lavoro di composizione strumentale ispirato al cinema peplum: film mitologici italiani degli anni ’50-’60 ambientati nell’antica Roma e Grecia. “Mi affascinano la storia, il cinema dimenticato, i suoni perduti. Questo genere, prima di essere messo da parte con l’arrivo del western all’italiana, è stato un incredibile laboratorio creativo. Ho iniziato a vedere quei film, a studiarli e a scrivere musica per quell’immaginario. La mia chitarra, in questo progetto, ha un’accordatura aperta, tutta mia”.

Tra le collaborazioni più significative della sua carriera c’è quella con Enrico Gabrielli (Mariposa, Calibro 35, The Winstons), amico e sodale dai primi anni Duemila. Alessandro ha collaborato con Enrico nel progetto Le Canzonine, un disco pensato per l’infanzia.

Alessandro si è poi unito a L’Orchestrina di Molto Agevole, di cui fa parte anche Enrico, che reinterpreta il liscio romagnolo nobile, quello degli anni ’60, prima dell’era di Raul Casadei, quando il genere era ancora vicino alla musica colta popolare: valzer, mazurche, polke. Da un anno Grazian fa parte stabilmente della formazione, ha partecipato alla scrittura e incisione del primo album di inediti, firmando anche il primo singolo MARTINO cha cha cha, uscito il 29 marzo 2024. Il disco è pubblicato dall’etichetta delle figlie di Secondo Casadei (l’autore di Romagna Mia). “È un genere che non ci apparteneva per nascita, ma ci ha incuriositi. Ci siamo messi a studiarlo con grande rispetto. Abbiamo fatto un disco e lo portiamo in giro come musica d’autore… da ballo!”

Dal 18 aprile, è disponibile su tutte le piattaforme digitali, insieme al lato B Polka Felicità, il brano Sogno Casadei, non un valzer come tanti, ma un pezzo composto incredibilmente da Secondo Casadei che nel 1998 apparve in sogno al medium Leo Farinelli. Nel sogno, Casadei suonò una melodia al violino che Leo registrò freneticamente su audiocassetta. Dall’incontro tra Leo e L’Orchestrina nasce Sogno Casadei, che può tranquillamente essere considerato il primo brano medianico della storia del liscio! L’illustrazione in copertina è di Alessandro Grazian (vedi foto). Edizioni Musicali Casadei Sonora.

Il legame con Gabrielli va oltre la musica: “Siamo coetanei, condividiamo un immaginario comune: cinema, cultura, arte. Non è nostalgia, è curiosità per quella golden age tra anni ‘60 e ’70 in cui sembrava tutto possibile”.

Per chiudere, torniamo da dove siamo partiti: Beatlemania, il progetto che ha riunito Alessandro con altri tre artisti della scena italiana per omaggiare il concerto milanese dei Beatles del 1965.

Il live si è tenuto domenica 13 aprile al Teatro Oscar di Milano, con: Lorenzo Fornabaio (chitarra e voce, Baustelle), Roberto Dellera (basso e voce, Afterhours e The Winstons) e Lino Gitto (batteria e voce, The Winstons). I quattro hanno eseguito l’intera scaletta del concerto al Vigorelli, aggiungendo chicche come Some Other Guy. Il prossimo evento sarà il 24 giugno, nella splendida cornice del Castello Sforzesco di Milano.

Alessandro Grazian: dal peplum al rock d’autore 1

«Conoscevo bene i Beatles, ma il periodo iniziale non l’avevo mai approfondito davvero», racconta Grazian. «Più vai a fondo, più scopri l’urgenza e la potenza della loro energia giovanile. Ho capito quanto contasse per loro suonare insieme, ogni giorno, negli anni tra Liverpool e Amburgo. Non erano solo un fenomeno musicale, erano un fenomeno culturale».

Beatle preferito? “Paul McCartney, senza dubbio. Il punto di riferimento della band.”
Tre brani del cuore? Abbey Road Medley, Blue Jay Way, Julia.

L’evento è organizzato da I Distratti (www.idistratti.org) e sostenuto dai Beatlesiani d’Italia Associati.

Articolo a cura di Mauro Teti

Manupuma: c’è qualcosa di profondamente magnetico nel modo in cui  racconta la sua storia. Voce milanese, anima internazionale, spirito nomade

Manupuma: Cuore leggero, anima piena 1
Manupuma

C’è qualcosa di profondamente magnetico nel modo in cui Manupuma racconta la sua storia. Voce milanese, anima internazionale, spirito nomade. Non è una semplice cantautrice, ma un’artista nel senso più ampio, una che attraversa i linguaggi, che conosce il corpo, la scena, la musica e il silenzio.

Il suo nuovo singolo “Charleston” arriva come una cartolina stropicciata, spedita da un passato fatto di marcette malinconiche e pianoforti storti, che si fanno colonna sonora di emozioni troppo complesse per essere dette a voce piena. Ma lei le fischietta. Come se bastasse quel fischio per tenere a bada l’instabilità delle cose.

“Charleston” non è un caso isolato, ma la naturale prosecuzione di un percorso iniziato anni fa e raccolto oggi nell’album Cuore Leggero, un disco che porta dentro pezzi nuovi e altri rivisitati, con l’aria di chi torna a casa dopo un lungo viaggio e riscopre vecchie stanze con occhi diversi.

Il teatro prima della musica

Manupuma nasce nel teatro. Non nel senso anagrafico, ma in quello artistico. Il suo baricentro creativo affonda le radici nel lavoro fisico, nella voce che attraversa il corpo, in quell’esperienza rigorosa che ha il nome di Naira Gonzalez, attrice e pedagoga del teatro di Eugenio Barba. «Con Naira ho trovato il mio centro di gravità artistico» racconta. Da Gubbio a Roma, passando per il metodo Strasberg e jam session a Los Angeles, il suo percorso non è mai stato lineare. Ma è proprio da questo zigzagare che nasce la sua cifra unica.

Quando torna a Milano, la città che l’ha vista crescere tra i banchi di Brera e le notti nei centri sociali, incontra Michele Ranauro. Nasce una relazione sentimentale e artistica che sarà fondativa. «Andavamo in studio a fare jingle, era un bellissimo modo per sopravvivere» dice con il sorriso di chi sa che a volte si sopravvive prima ancora di vivere davvero.

Manupuma: Cuore leggero, anima piena 2
Manupuma

L’inizio sotto i riflettori (e le ombre)

Il debutto ufficiale arriva con Musicultura, dove vince il premio per la miglior interpretazione. Poi il contratto con Universal, il singolo “Ladruncoli” che finisce nella campagna mondiale di Moschino, l’apertura del tour teatrale di Joan as a Police Woman. Successi importanti, certo. Ma anche un prezzo da pagare.

All’epoca Manupuma e Michele Ranauro erano una coppia a tutti gli effetti, dentro e fuori lo studio. Scrivevano, vivevano, litigavano e creavano insieme. «Sul palco funzionavamo, eravamo proprio io e lui» ricorda. Ma l’industria ha le sue regole, e la Universal non voleva l’immagine di un duo. Voleva una solista. Una voce femminile da lanciare sul mercato. E così quella magia costruita a due mani si è incrinata. «Per esigenze commerciali i nostri pezzi venivano presi, buttati in lavatrice, mischiati con suoni pesanti per andare in radio. Ma lì dentro c’era la nostra anima più delicata».

La rottura con l’etichetta segna il ritorno all’indipendenza. Una scelta di libertà, ma anche di fatica. «Senza una label hai il controllo, ma anche tutto il peso sulle spalle». Eppure, è proprio da qui che nasce Cuore Leggero, un album che suona esattamente come voleva: jazzato, teatrale, pieno di anima. Michele torna al pianoforte, e qualcosa tra loro si ricompone, almeno dal punto di vista artistico. Un ritorno condiviso alla creazione, fatto di scelte sonore sottili, ricercate, intime. Non più come coppia nella vita, ma ancora come sodali nel suono.

Una voce fuori dai confini

A vederla oggi, Manupuma è una delle voci più originali della scena femminile italiana. Ma il suo cuore, lei stessa lo dice, batte altrove. Nello studio campeggia un manifesto di Nina Simone. Tra le sue influenze cita Janis Joplin, ma poi precisa: «In realtà non mi ispiro a un artista in particolare, ma a dei generi».

E sono generi che non hanno nulla di locale. Il free jazz e il soul su tutti, ma anche quella musica di confine che nasce dalla fusione degli stili, dalle contaminazioni, dal fuoco irregolare di certe esperienze americane e inglesi. «Mi sembrava strano essere italiana all’inizio, perché la musica che amo io ha tutt’altra origine – racconta. Mi piace la musica che viene dalla fusione tra il free jazz, il soul, la rivisitazione operistica della Beat Generation fino ai Beatles. I miei confini vanno dalla East alla West Coast, per poi arrivare in Inghilterra».

E quando canta, non è solo questione di tecnica. «Le influenze per me non sono solo nel modo di cantare, ma nell’anima. Il soul e il blues mi hanno insegnato a cantare con l’anima». E oggi questa voce così piena di geografie lontane è riuscita a trovare la sua lingua anche in italiano. Senza forzature. Senza maschere. Solo lei, e il suono che la attraversa.

 

Manupuma: Cuore leggero, anima piena
Manupuma

Milano, madre e amante

Milano non è solo la sua città, è una parte viva della sua storia. Dalle performance nei capannoni abbandonati di via Malaga, ai concerti improvvisati in Conchetta, fino al ricordo struggente dei binari morti di Santa Rita, Manupuma racconta una Milano underground e romantica, piena di incontri e possibilità. “L’ho amata troppo. Per questo a un certo punto sono scappata.”

Ma Milano è anche il luogo dove potrebbe tornare con i suoi live. Non nei grandi teatri, ma in spazi intimi, pieni di ascolto: «Mi piacerebbe suonare al Franco Parenti. Pianoforte, contrabbasso, giochi teatrali. Voglio un live che catturi davvero».

Un cuore leggero, ma non vuoto

Il titolo dell’album è Cuore Leggero, ma la leggerezza di Manupuma non è mai superficiale. È una leggerezza che arriva dopo aver guardato in faccia le cose difficili. Dopo aver attraversato le fratture, gli addii, i silenzi. È la leggerezza di chi ha imparato a lasciare andare, ma sa ancora sentire profondamente.

Nel suo canto, c’è qualcosa di antico e nuovo insieme. Una voce che non cerca di piacere a tutti, ma che arriva dritta a chi ha voglia di ascoltare davvero.

E forse è proprio questo, oggi, il suo modo più vero di esistere nella musica.

Articolo di Mauro Teti

Julian Lennon porta a Milano Whispers Too – A Julian Lennon Retrospective”: una retrospettiva tra arte, musica e impegno sociale

Julian Lennon porta a Milano i suoi “Whispers”
Julian Lennon Wadee Uruguay, 2024

Musicista, fotografo, documentarista e filantropo, Julian Lennon è tornato in Italia per presentare Whispers Too – A Julian Lennon Retrospective, una mostra fotografica inaugurata l’8 aprile, giorno del suo sessantaduesimo compleanno, presso gli spazi della galleria Still di Milano. L’esposizione sarà visitabile fino al 30 maggio.

Curata da Sandrina Bonetti Rubelli, la mostra rappresenta un’evoluzione della retrospettiva Whispers, presentata in precedenza a Venezia durante la Mostra del Cinema. Il titolo gioca con la doppia valenza del termine too – inteso sia come “ancora” sia come omofono di two, “secondo” – suggerendo al contempo continuità e rinnovamento nel percorso artistico di Lennon.

«Abbiamo voluto approfondire alcuni sussurri, questa volta immersi nella Milano dinamica e internazionale – spiega la curatrice – e proseguire il dialogo iniziato con l’artista nella mostra veneziana».

Uno sguardo intimo e universale

Le fotografie in mostra – paesaggi eterei, ritratti di artisti e amici come Sting, Elvis Costello, KD Lang, The Edge, Bono e il fratello Sean Lennon – raccontano storie silenziose, intime, quasi meditative.

«Ogni scatto è un sussurro che porta all’introspezione, ha dichiarato Lennon. Nessun set prestabilito, solo ispirazione: “Quando fotografo, ho un’idea generale del risultato, ma non preparo nulla in anticipo».

La passione per la fotografia è nata quasi per caso: «Ho iniziato fotografando le nuvole dall’aereo», racconta con semplicità. La sua prima mostra, Timeless, è stata presentata alla Morrison Hotel Gallery di New York nel 2010.

Julian Lennon Charlene Wittstock #14 Monaco, 2011

Julian Lennon Charlene Wittstock #14 Monaco, 2011Arte e filantropia: il progetto White Feather

L’esposizione sostiene la White Feather Foundation, fondata da Lennon nel 2007 per promuovere progetti a livello globale legati all’accesso all’acqua potabile, all’istruzione femminile nei Paesi in via di sviluppo, alla conservazione ambientale e alla tutela delle culture indigene.

Julian sostiene convintamente da tempo anche l’Amazon Conservation Team, impegnata nella salvaguardia della foresta pluviale e dei popoli nativi del Sud America.

«Voglio portare pace attraverso l’arte, anche se non è facile quando i leader prendono decisioni sbagliate. Possiamo solo fare del nostro meglio e sperare che la pace prevalga», ha affermato Lennon.

Una carriera poliedrica: fotografia, musica e narrativa

Julian Lennon ha pubblicato sette album, diversi singoli e brani per il cinema. A metà degli anni Ottanta ha raggiunto un notevole successo con il singolo Too Late for Goodbyes, quinto nella classifica statunitense e sesto in quella britannica, tratto dall’album Valotte, entrato nella top 20 in numerosi Paesi. Tra i suoi brani più significativi spicca anche l’ecologista Saltwater. Il suo ultimo lavoro discografico, Jude (2022), ha segnato il ritorno sulla scena musicale dopo undici anni.

Oltre alla musica, Lennon si è dedicato anche all’editoria per l’infanzia, firmando una trilogia di libri illustrati dedicati all’ambiente: Touch the Earth, Heal the Earth e Love the Earth. A questi si aggiunge il romanzo per ragazzi The Morning Tribe, ispirato alla lotta per i diritti dei popoli indigeni.

Julian Lennon Hope Ethiopia, 2014
Julian Lennon Hope Ethiopia, 2014

Un curioso aneddoto arricchisce l’esposizione: un incontro casuale con il principe di Monaco durante una mostra del cinema a Londra ha dato vita a un’amicizia e a una collaborazione. La futura principessa Charlene gli ha poi chiesto di realizzare un reportage esclusivo, ritraendola nei momenti più intimi prima del matrimonio. Una selezione di questi scatti è visibile all’interno della mostra.

Prossimi passi tra fotografia e musica

Alla domanda sulla possibilità di vederlo finalmente in tour per locali europei, Lennon risponde con cautela ma lascia aperta la porta: «A breve registrerò alcuni singoli e un EP per un’etichetta indipendente. Ma ora la mia priorità è questa mostra. Tempo al tempo».

Articolo di Mauro Teti

Jany McPherson raffinata pianista, cantante e compositrice cubana sarà al Blue Note di Milano per un’immersione sonora nell’universo sonoro dell’artista

Jany McPherson: il cuore di Cuba batte al Blue Note di Milano
Jany McPherson (Foto Jean Louis Neveu Photographer)

Il 19 aprile il palco del Blue Note di Milano accoglierà per la prima volta Jany McPherson, raffinata pianista, cantante e compositrice cubana. Due set – alle 20:30 e alle 23:00 – per un’immersione totale nell’universo sonoro di un’artista che unisce eleganza, passione e radici profondamente cubane.

Durante la serata, McPherson presenterà dal vivo i brani del nuovo album A Long Way, affiancati da selezioni tratte dal precedente Solo Piano! – nominato al Cubadisco International 2024 – e da personali riletture di grandi standard internazionali. Accanto a lei, due fuoriclasse del jazz italiano: Luca Bulgarelli al contrabbasso e Amedeo Ariano alla batteria.

In attesa del concerto, l’abbiamo intervistata per scoprire più da vicino la sua storia, il suo approccio creativo e i progetti futuri.

“A Long Way” è il racconto musicale della mia vita

Il titolo del tuo ultimo album è A Long Way. Che tipo di viaggio – musicale e personale – rappresenta per te?
A Long Way (Un lungo cammino) è il racconto in musica di ciò che è stata la mia vita sin da quando ero una bambina a Guantanamo. I primi studi, le jam a casa di mio padre, anche lui musicista, la scuola Nazionale d’Arte a L’Havana, la frequentazione con Omara Portuondo e tanti straordinari esponenti della musica cubana, i primi concerti da professionista con l’Orquestra Anacaona. Eravamo una grande comunità. Poi il trasferimento in Francia e l’apertura alle influenze della musica europea. Ogni brano dell’album racconta un momento di questo percorso.

Originali, standard e anima latina: come nasce un suo live

Come scegli i brani per i tuoi concerti?
Nei miei concerti la quasi totalità dei brani è rappresentata da temi originali dei miei ultimi due album. Ho voglia di far conoscere innanzitutto la mia musica. Ci sono poi standards del songbook internazionale che amo particolarmente e che adoro suonare.”

Con te sul palco ci sono due musicisti straordinari. Com’è suonare insieme a loro?
Luca ed Amedeo sono una ritmica estremamente collaudata ed efficace. Si conoscono benissimo tra loro e hanno mostrato di amare il mio repertorio. Ognuno apporta il proprio contributo personale alla mia musica e questo è importante sia per me che per loro.

Jany McPherson al Blue Note il 19 aprile
Jany McPherson (Foto Arturo Di Vita)

Ritmo, melodia, improvvisazione: il suono di Jany

La tua musica viene descritta come intensa, melodica e ritmicamente ricca. Come trovi l’equilibrio tra questi elementi?
L’aspetto ritmico e quello melodico vengono dalla mia terra, ma ci sono anche influenze del mondo classico e altre della cultura occidentale che si sono aggiunte da quando mi sono trasferita in Francia.  Il risultato finale viene dalla combinazione di tutti questi elementi e anche dal mio voler spesso cambiare passo e atmosfera all’interno di uno stesso brano.

Quanto conta l’improvvisazione nella tua musica dal vivo?
La mia musica è scritta e non prescinde mai dall’aspetto melodico che deve essere sempre in primo piano, ma è evidente che lo spazio improvvisativo ha il suo peso e mi dà modo di suonare in libertà secondo lo stato d’animo del momento. Questo vale anche per chi suona con me che ha modo di ritagliarsi un suo spazio e dare tutto quello che ha in quel momento.

Il jazz cubano ha una tradizione molto ricca e particolare. In che modo la tua terra natia ha influenzato il tuo modo di comporre e suonare?

La mia cultura cubana è stata presente fin dalla mia più tenera età. Da bambina vedevo mio padre provare a casa con la sua orchestra e questa è stata la mia prima scuola. Cuba è una terra posseduta dalla musica e per me era molto naturale ascoltare tutti i tipi di generi musicali e artisti diversi, sia alla radio, alla televisione o assistendo a concerti. La quotidianità del paese, le rumbe popolari, i carnevali con i gruppi di congas con cui andavo a ballare scappando di casa, le orchestre di prima linea con cui ho lavorato sono elementi che hanno influenzato il mio modo di suonare e l’artista che sono diventata oggi.

Dalla jam a Monte Carlo al palco con John McLaughlin

John McLaughlin ti ha voluta nel suo quintetto. Com’è nata questa collaborazione?
John
è un vero monumento. Un caposcuola. Un uomo meraviglioso, generoso e altruista. Se penso alla sua collaborazione con Miles Davis in album iconici come Bitches Brew e In a Silent Way al fianco di musicisti come Wayne Shorter, Chick Corea mi sembra quasi impossibile che mi sia ritrovata a suonare con lui. Mi ha vista suonare in una jam in un club di Monte Carlo.

Dopo qualche giorno, mi è arrivata una telefonata nella quale mi chiedeva se avessi voluto essere sua ospite per suonare al Montreux Jazz Festival. Mi tremavano le gambe. Quasi non credevo che stesse succedendo davvero. Poi ho pensato: “Dio esiste”. Da lì in avanti è nata anche una bellissima amicizia che mi onora molto. Il tour europeo mi ha insegnato moltissimo, ma da lui c’è sempre da imparare. Starei ad ascoltarlo per ore. Continuiamo a fare concerti insieme ed ogni volta è un’esperienza unica e irripetibile.

Jany McPherson (Foto Arturo Di Vita)
Jany McPherson (Foto Arturo Di Vita)

Hai girato il mondo con la tua musica. Qual è stata l’esperienza più emozionante?
Ho due ricordi particolari durante i quali ho provato una profonda emozione e connessione con il pubblico. Uno è stato l’Auditorium del museo di Grenoble (Francia) in occasione del Grenoble Jazz Festival nell’ottobre 2024, e l’altro è stato, più recentemente, alla Casa del Jazz di Roma lo scorso febbraio, un doppio concerto e un doppio sold out molto emozionanti.

Progetti futuri e sogni da realizzare

Dopo l’uscita di A Long Way e il concerto al Blue Note, quali sono i tuoi prossimi progetti?
A maggio farò un concerto con John McLaughlin insieme a giovani talenti del jazz a Monte Carlo. Poi sarò al Summer Festival alla Casa del Jazz di Roma in giugno, tanti festival estivi e più tardi, in dicembre tornerò all’auditorium Parco della Musica di Roma. Quest’anno ho intenzione di dedicarmi alle presentazioni dal vivo. Nel 2026 mi concentrerò sulla realizzazione di un nuovo disco.

Un sogno nel cassetto?
Collaborare con altri artisti, ho qualche idea, ma preferisco non anticipare nulla. Mi piace sorprendere il pubblico.

Una curiosità: i tre dischi sull’isola deserta

My Song di Keith Jarrett, un disco di Pino Daniele (difficile scegliere quale) e ovviamente A Long Way.”

Appuntamento al Blue Note il 19 aprile

Il concerto di Jany McPherson è molto più di un semplice live: è un viaggio emotivo tra radici cubane e contaminazioni globali, tecnica sopraffina e passione viscerale. Un’occasione imperdibile per scoprire da vicino una delle voci più autentiche e luminose del jazz contemporaneo.

Biglietti disponibili sul sito ufficiale del Blue Note: set ore 20:30 | set ore 23:00

Articolo di Mauro Teti 

One to One: John & Yoko, a  maggio nelle sale italiane il docufilm che celebra l’attivismo di John e Yoko per i diritti civili e la pace

One to One: John & Yoko, nelle sale, il docufilm
One to One: John & Yoko – (JY OtO Image RGB Original)

Dopo essere stato presentato in anteprima all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, il docufilm One to One: John & Yoko, diretto dal premio Oscar Kevin Macdonald, sarà finalmente proiettato nei cinema IMAX. In Italia sarà disponibile dal 15 al 21 maggio, con prevendite aperte dal 10 aprile. L’elenco delle sale che lo programmeranno sarà consultabile su www.nexostudios.it.

Il film ripercorre il periodo che va dall’arrivo di John Lennon e Yoko Ono negli Stati Uniti fino alla fase successiva della vita di John, nota come Lost Weekend, i diciotto mesi trascorsi lontano da Yoko insieme alla sua ex segretaria, May Pang. Tra il 1971 e il 1973, la coppia visse nel Greenwich Village di New York, immergendosi nella scena contro-culturale e nei movimenti pacifisti, in linea con l’impegno mostrato nei Bed-Ins sulle note di “Give Peace” a “Chance” alla fine degli anni Sessanta.

Durante questo periodo, John e Yoko frequentarono figure di spicco della sinistra radicale americana, come Abbie Hoffman e Jerry Rubin, fondatori dello Youth International Party (Yippie!). Insieme a loro, Lennon partecipò a eventi contro la guerra e si interessò attivamente ai diritti civili. Fu vicino anche al movimento delle Pantere Nere, supportando cause legate ai diritti degli afroamericani promosse da Bobby Seale ed Eldridge Cleaver. Inoltre, nel 1972, Lennon produsse l’album The Pope Smokes Dope del musicista di strada David Peel, noto per il suo stile punk e radicale.

Nello stesso anno, John e Yoko pubblicarono “Some Time in New York City”, un album-manifesto con brani dal forte contenuto politico. Tra questi, John Sinclair dedicata al poeta e attivista arrestato per possesso di marijuana, per la cui liberazione Lennon si esibì in un concerto nel 1971. Un altro brano, Angela, era un omaggio all’attivista Angela Davis, simbolo della lotta contro il razzismo e l’oppressione. È probabile che il filmato e l’audio del concerto One to One siano stati recuperati dagli archivi preparati per il 50º anniversario dell’album, la cui pubblicazione è poi stata annullata.

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One to One: John & Yoko (JOHN_YOKO_POSTER_ITA)

Il cuore del docufilm

One to One: John & Yoko alterna sequenze ambientate nella ricostruzione fedele del piccolo appartamento della coppia, dove la TV funge da finestra sul mondo, alle immagini dei due One to One Benefit Concerts (pomeriggio e sera), tenutisi il 30 agosto 1972 al Madison Square Garden di New York. Questi rimangono gli unici concerti completi di Lennon dopo lo scioglimento dei Beatles e riuscirono a raccogliere oltre 1,5 milioni di dollari per i bambini con disabilità.

Sul palco con John c’era la Plastic Ono Elephant’s Memory Band, un’inedita fusione tra la Plastic Ono Band (con l’imprescindibile Yoko Ono e per l’occasione il batterista Jim Keltner) e gli Elephant’s Memory, una rock band americana.

Come riportato nella rassegna stampa ufficiale:

“Il film unisce musica live, con l’audio del One to One Benefit Concert rimasterizzato e prodotto da Sean Ono Lennon, a immagini intime e inedite: filmati casalinghi e registrazioni di telefonate tra John, Yoko, amici e collaboratori. Il risultato offre una prospettiva unica su un periodo cruciale della loro vita.”

Dalle prime immagini del trailer, il docufilm sembra ricco di contenuti di alta qualità e in gran parte inediti. Lo stesso regista, Kevin Macdonald, ha dichiarato:

“C’è abbastanza materiale per lasciare che parlino da soli. Volevo che il pubblico potesse quasi origliare, come parte del gioco.”

Nel film compaiono anche figure di spicco dell’epoca, tra cui, Stevie Wonder e Roberta Flack, che si esibirono sul palco del concerto, Andy Warhol e Allen Ginsberg.

One to One: John & Yoko, nelle sale, il docufilm 1
One to One: John & Yoko (J&Y at piano Hi res-edit-topaz-enhance-2x_CREDIT_BEN_ROSS)

Consigli per i fan

Per chi volesse approfondire ulteriormente questo capitolo della vita di Lennon, consiglio due documentari facilmente reperibili:

“U.S.A. contro John Lennon” (2006), l’ideale continuazione cinematografica del libro “Dimmi la verità” di Jon Wiener, che racconta il dossier dell’FBI su Lennon e la persecuzione da parte di Nixon fino alla vittoriosa battaglia legale del 1976 per ottenere la Green Card.

“LENNONYC ” (2010) dell’ottimo Michael Epstein, autore anche di John & Yoko: Above Us Only Sky.

Novità in arrivo

Durante un podcast con Paul Myers per il Record Store Day, Sean Lennon ha rivelato che a ottobre verrà pubblicato un cofanetto contenente “tutta la musica” dei due One to One concerts. C’è la speranza che venga incluso anche il DVD del film che arriverà nelle sale a maggio.

Inoltre, dopo una lunga gestazione, potrebbe finalmente vedere la luce la rielaborazione del film dei concerti del 1986, curata da Jack Douglas.

Infine, per i collezionisti, sabato 12 aprile, in occasione del Record Store Day, uscirà un EP in vinile giallo con quattro tracce tratte dai concerti del 30 agosto 1972.

Articolo di Mauro Teti 

Cristiano De André ritorna a Legnano, in un teatro Galleria gremito, per un viaggio nella musica, opere che raccontano la storia del nostro paese 

Cristiano De Andrè in concerto a Legnano
A Legnano Cristiano De Andrè canta De Andrè

Cristiano De André ritorna a Legnano, con la sua band composta da Osvaldo Di Dio alle chitarre, Davide Pezzin al basso, Luciano Luisi alle tastiere e Ivano Zanotti alla batteria. Sul palco, inizia il live seduto e circondato dai suoi strumenti: chitarra acustica, chitarra classica, bouzouki, pianoforte e violino. Dopo i primi brani di apertura, il cantautore racconta il tour e le canzoni del padre.

Continuare a dare voce alle canzoni di mio padre con un tour

«Per un viaggio nella musica e nella poesia di mio padre, quest’anno cade anche il 26esimo anniversario dalla sua scomparsa. Ridare voce alle sue canzoni, farle sentire a chi non ha potuto andare ai suoi concerti e farle riascoltare dal vivo da un parente stretto, anche se non sono io. Sono opere che raccontano un pezzo di storia del nostro paese: dalla metà degli anni ’60 al nuovo secolo.

Durante il suo tour, lui ha voluto che vestissi una parte delle sue canzoni. Dopo qualche anno, ho preso coraggio e ho deciso di realizzare per conto mio il suo ultimo desiderio: ho riarrangiato con dei musicisti una quarantina di brani e li ho pubblicati in quattro album dal vivo, “De André Canta De André”.

Questo tour, “The André Best of Live Tour”, racchiude il bello di tutto questo. C’è un filo rosso che lega le canzoni di mio padre dalla prima all’ultima e credo sia la coerenza, l’asse di giustizia e il punto di vista degli ultimi, di chi si è schierato dalla parte degli esclusi. Era davvero convinto che dovesse esserci un modo di vivere senza dolori e ci ha insegnato che non ci sono poteri buoni. Solo l’amore, la compassione e il riconoscersi nel più debole possono salvare l’uomo e, di conseguenza, il mondo», racconta Cristiano.

Cristiano De Andrè in concerto a Legnano 1
Cristiano De Andrè

Dopo la magistrale esecuzione di “Don Raffaè”, Cristiano si alza in piedi, sembra liberarsi dal peso dei brani così intensi. Colpisce la sua semplicità, senza cercare troppi fronzoli nel suonare la chitarra. Sa che occorrono semplicità, intensità e cuore per le opere d’arte. Non vanno stravolte. Rispetta il genio del papà, ma lui è un eccezionale polistrumentista, alternando diversi strumenti anche nella stessa canzone. Cantare Fabrizio è ancora più difficile per Cristiano, che vive la responsabilità emotiva di dare voce ad un’artista eterno come suo padre.  L’emozione non lo tradisce, e le canzoni continuano ad essere eterne con la voce di Cristiano.

Il periodo delle contestazioni: i confronti con i movimenti di protesta durante i concerti

Cristiano spiega: «Nei primi anni ’70, mio padre era in tour con i New Trolls, era il suo primo tour della vita e io continuavo ad assentarmi da scuola per correre da lui, perché ero innamorato degli strumenti e di questo mondo. Era il periodo delle contestazioni e capitava che, durante il concerto, gruppi di autonomie operaie sfondassero i palazzetti e entrassero nel teatro, con la speranza di avere spazio per esprimere le loro condizioni precarie di lavoro. Ogni tanto fischiavano perché non erano d’accordo e, a quel punto, mio padre interrompeva il concerto e diceva: ‘Hai ragione’ e iniziava a spiegare il testo di una canzone e i motivi che avevano portato a scrivere quel brano; di conseguenza, i concerti potevano durare tre o quattro ore. Si creava dibattito e loro erano contenti».

Cristiano De Andrè in concerto a Legnano 2

Il rapporto tra padre e figlio

«Lui avrebbe voluto che facessi il veterinario, anche per tutelarmi dal confronto che avrei avuto con lui. Il confronto c’è stato ed è stato discretamente doloroso per me. Ogni volta che prendevo la chitarra e facevo qualcosa di mio, cercando di proporlo, mi dicevano “Sì, ma tuo padre…”. Questo confronto era continuo e la mia autostima non andava alle stelle. Per me è stato difficile sfornare qualcosa di mio perché ero molto autocritico nel confronto con mio padre, e mi sono un po’ ridotto. Nonostante tutto, ho fatto otto album.

Questo ostacolo di mio padre nel farmi fare musica si è protratto per tre anni. Poi ha capito, si è convinto e mi ha iscritto al Conservatorio Niccolò Paganini di Genova per la laurea in violino. Ho preferito soffrire di più e fare quello che mi piaceva. Mai mi sarei aspettato, dopo questi battibecchi con mio padre, che un giorno avrei fatto parte di un suo tour in un ruolo importante, suonando diversi strumenti e curando alcuni arrangiamenti. Si è chiuso un cerchio ed è stato importante.

Lui ha capito che il mio era un capriccio, ma sentivo di avere un talento. È stato il coronamento di un periodo difficile. A volte era amareggiato e sconfitto e una sera mi confessò: ‘Ho scritto tanto contro la guerra e contro il potere, ma non è servito assolutamente a un cazzo’. Oggi mi accorgo che aveva ragione e se fosse qui sarebbe ancora più arrabbiato. A mio parere, non basta sposare le sue parole, ma occorre che ognuno di noi, nel proprio piccolo, le metta in pratica con atti concreti. Tutto questo lo avrebbe reso felice, racconta emozionato l’artista».

Cristiano De Andrè in concerto a Legnano 3

Cristiano De André saluta il teatro Galleria con un messaggio d’amore: «L’amore per il prossimo è l’impulso di cui una società ha bisogno e non può essere mai ignorato. Io considero questo concerto una messa laica, io sono il sacerdote e ogni sera faccio questo: vorrei che ognuno di voi si scambiasse un cinque di pace tra di voi». 

Nel finale, “La Canzone di Marinella” e “Creuza de mä” regalano le emozioni finali. “Il Pescatore” fa alzare il pubblico in festa. Il teatro Galleria saluta Cristiano De André e i suoi musicisti.

Le prossime date:

11 aprile al Teatro Gesualdo di Avellino

12 aprile al Teatro Lyrick di Assisi (Perugia)

14 aprile all’EuropAuditorium di Bologna

15 aprile al Teatro Carlo Felice di Genova

25 giugno al Festival Summer Cult di Piacenza

26 giugno al Notti Ducali di Modena

10 luglio al Ferrara Summer Festival di Ferrara

11 luglio al Forte di Bard di Bard (AO)

19 luglio al Multiculturita Summer Festival di Capurso (BA)

24 luglio al Restart Live Fest a Cosenza

27 luglio in Piazza Garibaldi a Cervia (RA)

29 luglio Arena sul Mare di Ancona

31 luglio al Festival Abbabula di Alghero (SS)

01 agosto al Parco dei Suoni di Riola Sardo (OR)

02 agosto al Rocce Rosse & Blues Festival di Lanusei (NU)

06 agosto al Mont’Alfonso Sotto Le Stelle di Castelnuovo di Garfagnana (LU)

07 agosto al Vallecamonica Summer Music 2025 di Edolo (BS)

12 agosto al Wave Summer Music 2025 di Zafferana Etnea (CT)

13 agosto all’Auditorium Mediterraneo di Marina di Modica (RG

01 settembre al Mantova Summer Festival a Palazzo Te di Mantova

Articolo di Raffaele Specchia

Save Our Souls: musica e consapevolezza per amare la vita in sicurezza, il rock non solo come ribellione ma anche impegno sociale

Save Our Souls in anteprima "Macte Animo"
S.O.S Live

Lunedì 10 marzo il pubblico del Legend di Milano ha assistito a una serata speciale grazie all’esibizione dei Save Our Souls (S.O.S.), che hanno presentato in anteprima assoluta il loro nuovo album Macte Animo!. Prima del concerto, ho avuto il piacere di intervistare il fondatore e frontman della band, Marco Ferri, in arte Bruco, figura chiave dell’alternative rock italiano degli anni Novanta.

Dopo la reunion con i membri originari degli S.O.S. nel 2015, che ha portato la band a esibirsi persino in Cina, nel 2018 è arrivata la svolta. Marco racconta: «Un fan degli S.O.S., impiegato in un’importante azienda nel settore della sicurezza, ci ha proposto di scrivere un brano sulla sicurezza sul lavoro. Così è nato Ancora Vivere, che affronta il tema dell’uso del cellulare alla guida, un argomento purtroppo ancora molto attuale». Il videoclip, realizzato da Murdaka Films, ha segnato l’inizio della collaborazione con Fondazione LHS e Faraone Academy. «Una visione giovane che rappresenta al meglio una band di maturi rockers», commenta Marco.

Save Our Souls in anteprima "Macte Animo"
Macte Animo! – Bruco SOS

Da quel momento, è iniziato un percorso che ha portato la band a presentare il brano al Teatro Brancaccio e a proseguire con la scrittura di altri pezzi dedicati alla sicurezza sul lavoro. Gli S.O.S. si sono esibiti in scuole e aziende, diffondendo messaggi di consapevolezza attraverso la musica. Marco, appassionato di fumetti, ha visto il suo gruppo apparire nel libro/fumetto Looks that kill (Chi sta mettendo a rischio la tua vita?), un progetto che promuove la cultura della sicurezza sul lavoro, la sicurezza stradale e l’educazione civica.

«La musica può essere uno strumento potente per affiancare la formazione sulla sicurezza, spiega Marco. Le ore di lezione sono fondamentali, ma una canzone o un video possono toccare corde emotive che la formazione tradizionale non sempre riesce a raggiungere».

Il titolo dell’album, Macte Animo!25, è nato quasi per caso. «Mi ha colpito questa locuzione latina che significa ‘coraggio’. Dopo il parere positivo di mia figlia Lucrezia, appassionata di latino ed insegnante, non ho avuto dubbi, racconta Marco. Per affrontare le difficoltà dei tempi moderni senza cedere all’effetto neutralizzante dei social, serve coraggio».

Save Our Souls in anteprima "Macte Animo!"

Oggi serve coraggio anche per scrivere canzoni su tematiche sociali, in contrasto con l’individualismo dell’epoca attuale. Se negli anni Settanta il rock significava sesso, droga e ribellione, oggi essere rock significa parlare di sicurezza sul lavoro e amore per la vita.

Il contributo musicale e le collaborazioni

Alla scrittura dei testi ha collaborato Andrea Amati, autore affermato, mentre il brano L’ultimo tornante, dedicato a Marco Pantani, ha visto il contributo del musicista e appassionato di ciclismo Angelo Mangili. Sul piano musicale, accanto alla storica sezione ritmica composta da Stefano Guidi (batteria) e Mauro Guidi (basso), si sono aggiunti Dario Spezia (chitarra) e Nicola Rossetti (tastiere).

La band ha un sound potente e ha condiviso il palco con artisti del calibro di Daniele Silvestri, Modena City Ramblers e Timoria.

Il brano più rappresentativo

Qual è il pezzo simbolo del nuovo disco? Marco non ha dubbi: Con Gli Occhi Aperti, la traccia d’apertura. «Sono riuscito a dargli un’impronta hard rock, il genere che più mi rappresenta. Il brano è un’evoluzione del nostro percorso sulla sicurezza sul lavoro: racconta una storia positiva, in cui il protagonista si salva grazie ai dispositivi di protezione individuale».

Marco utilizza la metafora della Formula 1, una sua grande passione, per sottolineare l’importanza della prevenzione. Cita l’incidente di Romain Grosjean, uscito illeso da un’auto in fiamme, una situazione ben diversa rispetto ai numerosi incidenti mortali del passato, grazie ai progressi nella sicurezza.

Save Our Souls in anteprima "Macte Animo" 3

Progetti futuri

E i prossimi concerti?  «Stiamo pianificando le date, vogliamo suonare nei locali e tornare nelle aziende e nelle scuole, dove i giovani mostrano un’attenzione straordinaria verso il tema della sicurezza sul lavoro e stradale. Le prossime tappe? Abbiamo in mente Roma, Bologna e, naturalmente, il Piemonte, anche per ringraziare i fan che sono venuti dalle Langhe per assistere al nostro spettacolo».

Infine, chiedo a Marco quali siano le sue influenze musicali, oltre al già citato hard rock. «Il jazz. Ho la fortuna di conoscere Paolo Favini, il sassofonista di Crozza, con il quale ogni tanto posso sfogare la mia passione per lo swing, interpretando brani di Sinatra, Nat King Cole, Dean Martin e Bublé».

I Save Our Souls continuano il loro viaggio musicale, dimostrando che il rock può essere non solo ribellione, ma anche consapevolezza e impegno sociale.

Articolo di Mauro Teti

…Perché Sanremo è Sanremo! A distanza di quasi un mese, per gioco, proviamo a fare un’analisi tecnica di alcuni dettagli 

…Perché Sanremo è Sanremo! Musica o parole? 1

Si sono spenti ormai da quasi un mese i riflettori sulla kermesse più importante dell’anno, quella che per una settimana sostituisce nelle chiacchiere da bar il calcio con la musica. E anche qui, come per un rigore giusto o sbagliato, il pubblico si è spaccato sulla canzone più bella o più brutta, su chi meritava il podio e chi no, evidenziando come a Sanremo valga sempre tutto e il contrario di tutto.

Allora proviamo a fare il gioco del “contrario di tutto”, attraverso un’analisi tecnica di alcuni dettagli, che potrebbe ribaltare la narrazione ufficiale della critica, che spesso definisce i migliori e i peggiori sulla base di alcuni parametri, ma trascurandone altri, altrettanto importanti.

Storicamente, la canzone italiana ha sempre trovato il suo punto di forza nel testo, o nella cantabilità delle melodie, mettendo in secondo piano l’aspetto armonico e quello ritmico, parametri molto più considerati e curati all’estero, soprattutto nei paesi anglofoni e nordeuropei. La musica è un linguaggio universale, le parole no. Nel senso che, solo chi parla la nostra lingua può percepire quel pugno nello stomaco e commuoversi ascoltando parole come quelle di Quando sarai piccola (di Simone Cristicchi), canzone dai versi molto intensi, ma che musicalmente non è dello stesso livello del testo, e che quindi in un Eurovision Song Contest difficilmente potrebbe emozionare allo stesso modo un pubblico da Basilea in su.

È curioso che i primi due classificati, Olly e Lucio Corsi rappresentino, il primo, la perfetta incarnazione del “ragazzo di oggi”, mentre il secondo la perfetta incarnazione del “ragazzo di ieri”, ossia un artista sognatore, che sembra catapultato dagli anni ’70 ai giorni nostri, attraverso la macchina del tempo.

Olly, background da trapper, al quale è stato talvolta contestato l’uso di parole violente e aggressive in alcune sue canzoni, è un personaggio perfettamente in linea con il linguaggio dei suoi coetanei, in un contesto musicale che fa dell’autocelebrazione e dell’ostentazione le proprie armi migliori (o peggiori); Lucio Corsi, che molti hanno già definito come “anti-trap”, è invece l’antitesi dello spaccone: è colui che le botte le prende, che non si sente speciale, né vuole esserlo, ed è l’emblema del “ragazzo qualunque”, che rivendica la propria normalità, muovendosi in un mondo fiabesco e poetico, in cui il tempo sembra essersi fermato.

Eppure i due ragazzi hanno una cosa in comune: i ritornelli delle loro canzoni sono entrambi costruiti sul tradizionalissimo e nazional-popolare “Giro di Do” (anche se uno è in C# e l’altro in E), ossia quel giro armonico di quattro accordi “da spiaggia” che catturano spesso la maggioranza del pubblico “profano”, proprio per la semplicità del linguaggio musicale, molto basic, quindi accessibile e comprensibile a tutti.

Per intenderci: su questa progressione di accordi sono stati costruiti dei classici della musica italiana degli anni ’60, come Il cielo in una stanza, così come delle canzoni simbolo del trash anni ’80, quali Sarà perché ti amo o Felicità, fino ad arrivare alle hit estive dei giorni nostri, come Disco Paradise.

…Perché Sanremo è Sanremo! Musica o parole?

A proposito di Felicità, i Coma Cose, ossia gli “Albano e Romina” del terzo millennio, si candidano a entrare nell’Olimpo del trash italiano con il loro Cuoricini, il cui ritornello è praticamente sovrapponibile al brano di Albano e Romina.

Adesso, in questo “gioco del contrario”, proviamo a invertire le parti, parlando di canzoni con testi più frivoli (e per questo considerate di “livello inferiore”): è il caso di Anema e core, brano di Serena Brancale, grande voce jazz, che ha fatto storcere il naso ad alcuni critici, i quali sostengono che un talento del genere meriti un brano di maggior spessore artistico.

C’è chi ha detto che è una “baracconata”, chi addirittura l’ha etichettato come “neomelodico” (come se bastassero quattro parole in dialetto napoletano per essere  etichettato come “neomelodico”!), ma nessuno ha citato il raffinato tessuto armonico su cui si basa la composizione, e che denota un grande spessore musicale e una conoscenza dell’armonia jazz da parte dell’artista, che va ben oltre il sopraccitato “Giro di Do”.

Se a questo aggiungiamo un ritmo ballabile e accattivante, è ipotizzabile che il brano possa avere molte più chance degli altri di scalare le classifiche internazionali. Ribadiamolo: all’estero non capiscono le parole, ma la musica sì.

Per i motivi appena citati, il brano più internazionale di tutti sembra essere La mia parola (di Shablo, Guè, Joshua, Tormento), con una introduzione di voci gospel e un bridge ricco di elaborati e raffinatissimi accordi jazz, che hanno trasformato una canzone trap in un brano soul r&b, che strizza l’occhio ad artisti anglo-americani come John Legend o Craig David. A tal proposito, è il caso di citare il maestro che ha diretto l’orchestra, e che è anche uno degli autori firmatari del brano: stiamo parlando di Luca Faraone, un musicista molto noto e apprezzato sulla scena londinese e che è stato chitarrista, indovinate un po’, proprio di Craig David… sarà un caso?

Ritmicamente, sono tornati di moda i brani terzinati: terzinati sono il primo classificato (Balorda nostalgia, di Olly), e l’ultimo (Pelle diamante, di Marcella Bella); lo è anche il brano di Francesco Gabbani (Viva la vita), anche se diverso dagli altri due, con un carattere molto soul e un’introduzione che ricorda Knockin’ on heaven’s door; ma soprattutto è un terzinato la sigla tormentone (Tutta l’Italia, di Gabry Ponte), che ci ha martellato ogni sera, e che (siamo pronti a scommettere), prima ancora di spopolare nelle discoteca, diventerà una hit da stadio, con i tifosi che, saltando a tempo sugli spalti, sostituiranno la frase “Tutta l’Italia” con le frasi “Tutto lo stadio” o “Tutta la curva”.

Perdonate i nostri gusti da boomer, ma noi siamo rimasti legati alla tradizione e affezionati alla vecchia sigla… perché Sanremo è Sanremo!

Articolo di Chiara del Vaglio

Paola Angeli: “La vera me” l’ultimo album, racconta la bellezza interiore, la diversità, l’anticonformismo; la versatilità nello stile e nei contenuti

Paola Angeli “La vera me”, l’ultimo lavoro discografico
“La vera me” il nuovo progetto discografico di Paola Angeli

Paola Angeli presenta “La vera me”, il suo progetto discografico in studio, prodotto e arrangiato da Giancarlo Di Maria (etichetta Parametri Musicali). L’ultimo album della cantautrice bolognese, 12 brani di cui 11 inediti e una cover di Dylan, mostra la sua versatilità nello stile e nei contenuti, spaziando da brani di stampo classicheggiante all’elettro-pop, raccontando la bellezza interiore, la diversità, l’anticonformismo, con la sua voce calda e presente.

Il primo brano del tuo disco si intitola “Il cervello”: perché hai scelto proprio questo pezzo per aprire l’album?

Woody Allen risponderebbe: “perché il cervello è un oggetto pratico e vintage e io adoro avere addosso qualcosa di pratico e vintage”. Scherzi a parte, ho scelto questo brano perché pur essendo surreale, (immagino di aprire gli occhi e trovarmi a disposizione 365 cervelli, uno per ogni giorno dell’anno), credo sia assolutamente un tutt’uno con la realtà e con il desiderio di evolvere, di cambiare opinioni, pensieri, idee. Molti anni fa mi colpì molto una frase di Enrico Ruggeri: “cambiare idea non è sinonimo di superficialità o di qualunquismo, ma fa parte della naturale e necessaria evoluzione dell’essere umano”. “Osate cambiare, percorrere nuove strade” diceva il Prof Keating nel film “L’attimo fuggente”. Perciò sperimento tanti cervelli.

Qual è il cuore di questo disco?

Senza dubbio il brano che dà il titolo all’album “La vera me”, perché è un pezzo in cui mi metto davanti a me stessa e mi libero di tutte le maschere e le sovrastrutture che inesorabilmente indosso ogni giorno. Quando mai siamo autentici? Ma l’altra domanda più impegnativa è: “siamo sempre sinceri con noi stessi?” Quante volte per paura di cambiare accettiamo situazioni che non ci appartengono, che non sono adatte al nostro universo interiore? Quante volte ci snaturiamo? In questo pezzo cerco di raccontare come vivere la vera me, la mia natura più intima e sincera, senza condizionamenti, evitando di essere incorniciata nel conformismo, nel “si fa così perché tutti lo fanno e quindi è giusto”. Mi sono sempre ribellata a questa logica.

Quanto della tua vita c’è in questo disco in termini di tempo e quanto c’è di te?

C’è metà della mia vita, perché questo disco raccoglie più di vent’anni di scrittura di canzoni. Onestamente voglio dire che oltre alla mia vita c’è anche quella di Giancarlo Di Maria, che ha arrangiato e prodotto questo disco e che mi segue da sempre. Ci sono ore di lavoro, di fatica, di confronto e c’è la fiducia, la stima, il rispetto e la libertà di costruire, brano dopo brano, la vera me, la vera Paola, quella che va controcorrente, che non teme di mostrarsi per quella che è, per ciò che sente, che pensa, che vive. Quindi io sono le mie canzoni e viceversa, in questo disco c’è tutto di me, c’è Paola e il suo sguardo, spero mai banale, su vari temi come la diversità, l’amore, la bellezza interiore, la coscienza, Dio.

Paola Angeli - La vera me - Copertina
Paola Angeli – La vera me – Copertina

L’’ultimo brano è una cover di Bob Dylan: “License to kill”. Perché hai scelto Bob Dylan e in particolare questa canzone?

Bob Dylan è un cantautore che stimo e che è molto lontano dal mio stile di scrittura e dal mio mondo vocale: per questo ho scelto di re-interpretare un suo brano, sperimentando qualcosa di assolutamente opposto a quella che sono.

Se avessi scelto un altro artista vicino a me sarebbe stato scontato e non avrei avuto la possibilità di misurarmi con una canzone così diversa da quelle che scrivo io e con uno stile interpretativo agli antipodi. “License to kill” è una ballata rock, che Dylan canta con voce di sabbia, io l’ho rallentata e l’ho addolcita rendendola essenziale e così è stato per l’arrangiamento di soli piano e archi.

Mi piace il testo, mi piace il modo in cui Dylan descrive la coscienza umana, il suo è uno sguardo originale, quasi un monito che ricorda all’uomo che non può agire come vuole, non tenendo conto di come questo agire possa poi riflettersi sugli altri, quali conseguenze può provocare.

È evidente che per te le parole sono importanti quanto la melodia: per chi fosse curioso di leggere i tuoi testi dove può trovare il tuo disco?

Le parole sono uno strumento potentissimo perché hanno il potere di dare conforto o di distruggere. Parto quasi sempre dalle parole per scrivere una canzone, la musica è già dentro le parole. Mi piace farle sentire quando canto, cercando di essere molto chiara. Il disco esiste in versione cd e chi volesse acquistarlo può scrivere a shop@paolaangeli.it.

Articolo a cura di Gaetano Reggente

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