Raphael: “La musica si prende cura di te, finchè tu ti prendi cura di lei”

A tu per tu con con il talentuoso artista classe ’86, in radio con il singolo “Figli delle lacrime”, scritto a sei mani con Zibba e Marco Rettani

Raphael
Spazio Emergenti: Raphael si racconta ai lettori di Musica361, approfondiamo la sua conoscenza

Si intitola “Figli delle lacrime” il nuovo singolo di Raphael Nkereuwem, in arte Raphael, artista savonese di origine nigeriana, ex frontman della reggae band degli Eazy Skankers. Edito da Warner Chappell Music Italiana, Platonica, Museo dei Sognatori e distribuito da Believe Digital, il brano è stato composto in collaborazione con Zibba e Marco Rettani, mixato da Simone Sproccati e masterizzato da Andrea De Bernardi.

Ciao Raphael, cos’hai voluto raccontare tra le righe del testo di “Figli delle lacrime”?
Le diverse emozioni che molte persone provano, della paura di fare degli errori con la consapevolezza di non potersene permettere troppi perché non c’è nessuno che possa coprir loro le spalle. Ma nonostante questo non si piangono addosso, e riescono a far delle difficoltà un punto di forza.

Un brano composto insieme a Marco Rettani e Zibba, che lo ha anche prodotto. Com’è stato lavorare con loro?
Una bellissima esperienza. Arrivando da un percorso quasi esclusivamente in lingua inglese, ho imparato molto da due grandi parolieri e mi hanno dato molti consigli.

Cosa avete voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip diretto da Megan Stancanelli?
Sguardi. Volti. Storie diverse eppure tutte bagnate dallo stesso mare. C’è il bravissimo ballerino che esprime questo moto incontrollato, appunto come le emozioni che riusciamo a malapena ad arginare.

Personalmente, ti collochi in un genere particolare?
No. Dopo tanti anni in un settore così ben marcato e definito, oggi mi sento di dire che faccio musica, semplicemente musica. Chiaramente le radici della musica nera sono sempre presenti.

Hai superato il traguardo dei trent’anni, qual è il tuo personale bilancio sino ad oggi?
Bel casino. Siamo una generazione un po’ sfortunata. A cavallo tra analogico e digitale. Che sono stati bambini pieni di speranza dopo la caduta del muro di Berlino, e adolescenti disillusi dopo l’11 settembre. Che hanno vissuto le piazze, le compagnie, le amicizie che ti devi costruire giorno per giorno, e ora devono vedersela in un mondo dove le relazioni sono spesso rapide, superficiali, effimere, incorporee.

Se ti guardi allo specchio quale immagine vedi?
Vedo sempre lo stesso ragazzo che diciotto anni fa sognava di fare musica. Con qualche ruga in più e qualche illusione in meno.

Qual è la lezione più grande che hai appreso da tutti questi anni di musica?
La musica si prende cura di te, finchè tu ti prendi cura di lei.

Condividi su:
Nico Donvito
Nico Donvito
Appassionato di scrittura, consumatore seriale di musica italiana e spettatore interessato di qualsiasi forma di intrattenimento. Innamorato della vita e della propria città (Milano), ma al tempo stesso viaggiatore incallito e fantasista per vocazione.
Top