MusiCalcio: il rapporto difficile tra l’Inno di Mameli e il pallone

MusiCalcio: il rapporto difficile tra l’Inno di Mameli e il pallone
Alla vigilia della finale di Coppa Italia ripercorriamo la storia dell’inno di Mameli nella sua burrascosa relazione col calcio

 

L’inno di Mameli ha conosciuto diverse versioni grazie al calcio. Generalmente poco gradite.

Mercoledi 24 maggio si gioca la finale di Coppa Italia tra Inter e Fiorentina. Un appuntamento calcistico che, naturalmente, vede due squadre motivate a portare a casa un trofeo prima delle altre rispettive finali europee che le attendono. Nerazzurri favoritissimi, coi Viola pronti a cercare spunti che possano sorprendere l’avversario. Dal punto di vista musicale, invece, si sfidano così i due team che vantano inni famosissimi. L’Inter col modernissimo Pazza Inter, la Fiorentina con il più antico della Serie A. Due modi opposti di vedere le cose, ma ugualmente celebri. Ma non è da qui che vogliamo raccontare il motivo musicale in vista della finale di Coppa Italia, diventata da oltre dieci anni anche una passerella canora.

Da quando la partita si gioca in gara secca a Roma, infatti, il trofeo ha assunto un’importanza e un’ufficialità particolari.

Tanto che viene sempre intonato, da una star pop del momento, l’inno di Mameli.

Il tutto alla presenza del Presidente della Repubblica. Così, dopo aver raccontato gli inni delle squadre di Serie A, quindi gli inni dei Mondiali e infine quelli dei più importanti team europei, oggi parte la quarta fase di MusiCalcio. Quella in cui racconteremo tutte le canzoni che parlano in qualche modo di calcio, entrate nella leggenda. E quale brano, meglio dell’inno d’Italia, unisce un popolo? Un inno, quello di Mameli, chiaramente non calcistico. A parte la frase “Dov’è la vittoria?” diventa anzi difficile immaginarsi se vi possa essere un nesso. Eppure, è un fatto, in molti associano quelle note a eventi sportivi. Che si tratti di celebrazioni con tanto di medaglie o di inizi partita, l’inno di Mameli c’è sempre, tanto da meritarsi anche una storia sportiva. La sua rivalutazione, negli ultimi vent’anni, nasce proprio dal calcio.

Vediamo allora il rapporto tra il celebre inno di Mameli e il calcio.

Un rapporto difficile sin da quando, tra la fine anni ‘90 e l’inizio degli anni 2000, ci si rendeva conto che nessuno degli azzurri cantava le strofe durante il prepartita. Le telecamere inquadravano impietose giocatori muti come pesci. Nel migliore dei casi, se aprivano bocca, lo facevano per masticare le gomme con cui scioglievano la tensione. Ci si accorse che un’intera generazione conosceva benissimo solo le note dell’inno di Mameli, magari imparato a suonare col flauto a scuola. Tuttavia le parole rimanevano ignote a molti. Intervenne allora Carlo Azeglio Ciampi a imporre la cultura nazionalistica che si stava via via perdendo. Ripristinando la festa del 2 giugno, che ci si era dimenticato di ricordare, l’allora Presidente della Repubblica promosse la conoscenza dell’inno di Mameli. Portò anche abbastanza bene: se non altro, dopo la disfatta dei mondiali coreani, la Nazionale tornò a vincere il Mondiale nel 2006. Eppure, la storia dell’inno di Mameli col calcio ha proseguito a non essere particolarmente fortunata. Colpa, per l’appunto, della Coppa Italia. Fare cantare l’inno a cantanti pop è indubbiamente un rischio.

Ciascuno ripropone il pezzo con un suo stile, non sempre rimanendo aderente al modo con cui l’aveva pensato Mameli.

E non sempre piace. In molti casi la versione pop ha lasciato più o meno indifferenti, senza creare grandi scompigli. Ma per almeno tre volte sono piovute critiche a raffica. Specie da quando i social hanno preso il sopravvento in maniera definitiva.

Toccò per prima a Noemi subire i commenti acidi del web per una imprecisione vocale nell’esecuzione a cappella del brano. Era il 2018 e, nella finale di Coppa Italia, la cantante aprì così le danze, quasi costretta dagli espertoni del web a scusarsi per la stonatura. Lo fece, con eleganza e autoironia.

Andò molto peggio dieci anni dopo a Sergio Sylvestre che, assediato dall’emozione, dimenticò le parole a metà inno.

Apriti cielo. Il tifoso tipo, già pronto a ringhiare per quella finale di Coppa Italia tra Napoli e Juventus, non perdonò in alcun modo una dimenticanza simile. In effetti brutta, forse anche imbarazzante. Ma considerando che la metà di quel pubblico, probabilmente, conosce a memoria solo le canzoni di certi trapper, vien da chiedersi da quale pulpito si possa pronunciare una predica a un cantante impegnato nella sua performance.

L’ultimo caso fu il più eclatante, anche perché ormai i social sono diventati sempre più il megafono di tanta ignoranza. Arianna Bergamaschi cantava l’inno di Mameli alla Supercoppa italiana 2022. Non stonava. Nessuna imperfezione nella sua esecuzione. Semplicemente la interpretava con il suo stile. Il web si accanì insieme a certa stampa, definendo l’inno rovinato da Arianna. Aveva solo fatto il suo mestiere: personalizzare un brano con la sua capacità vocale. Ma in un Paese dove la gente entra allo stadio sentendosi Riccardo Muti e ne esce credendosi Trapattoni, i commenti perfidi sono all’ordine del giorno. Del resto, ad Arisa non venne perdonato l’avere urlato troppo il “Sì!” finale presente nel testo di Mameli. Stiamo chiaramente parlando di polemiche pretestuose. Grazie a Dio scomparse con l’ultima versione regalata da D’Alessio e Clementino in occasione di Italia-Inghilterra.

Certo, ora cantare l’inno di Mameli allo stadio è diventata una bella sfida.

Quasi una gatta da pelare visti i precedenti, che non hanno mai trovato nessuno particolarmente elogiato. Si salvarono solo Emma nel 2010 e Annalisa nel 2021. Oltretutto, non dimentichiamolo, in prove tutt’altro che facili, cantandolo a cappella.

D’altra parte, però, qualcuno che canti l’inno ci vuole. In una Serie A sempre meno composta da italiani, non possiamo certo attenderci che a farlo siano i giocatori stranieri.

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Massimiliano Beneggi
Massimiliano Beneggi
Massimiliano Beneggi, laureato in filosofia con una tesi sulla comicitá contemporanea riletta attraverso Bergson e Freud, è appassionato di musica e teatro. Racconta con rigore aneddotico la storia del Festival di Sanremo e della musica italiana, suggerendo ogni volta spunti filosofici e inediti.
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