Michelangelo Vood, “Rio Nero” e l’intenso fluire dell’ispirazione

A tu per tu con il cantautore lucano, al suo esordio discografico con “Rio Nero”

Michelangelo Vood
Michelangelo Vood si racconta ai lettori di Musica361 in uscita dell’Ep “Rio Nero” © foto di Nicola Leonardi.

Tra i nomi più interessanti della nuova scena cantautorale nazionale troviamo Michelangelo Paolino, in arte Michelangelo Vood, vincitore della settima edizione del concorso per autori Genova per voi. “Rio Nero” è l’Ep che segna il suo debutto discografico, un titolo che contiene al suo interno un duplice significato, il primo è un omaggio a Rionero in Vulture, la sua cittadina d’origine situata in Basilicata, il secondo verte sull’etimologia latina “fiume nero”, intesa come il fluire dell’ispirazione che ha portato alla nascita di questo lavoro. Sei le tracce in scaletta tra cui spiccano i singoli apripista Ruggine”, “Van Gogh” e “Paris, più le tre canzoni inedite Triplete”, “Atollo” e “Le cose belle.

In “Rio Nero” racconti la tua vita sviscerandone ricordi e momenti, come in un album di fotografie di famiglia. Ci sono delle pagine che hai voluto lasciare fuori, custodire gelosamente, o pensi di esserti aperto al 100%?

Sì, assolutamente, c’è sempre qualcosa da raccontare. Anzi, mi è capitato proprio in questi giorni di tirare fuori dei ricordi che avevo rimosso, che mi erano sfuggiti e che sto provando ad inserire in qualche nuova canzone. Rio Nero racconta gran parte di quello che è stato per me un momento di transizione, la storia di un ragazzo che all’età di ventiquattro anni si sposta dal monte su cui è nato per trasferirsi in una grande città. E’ stato difficile ma, al tempo stesso, super entusiasmante.

Quanto ha influito nella tua musica il passaggio da una realtà rurale come quella del tuo Paese a quella di una metropoli come Milano?

Moltissimo, perché cambiano un sacco di cose, se uno non lo vive non lo percepisce. L’impatto con Milano è stato inizialmente un po’ brusco, nel senso che non avevo nemmeno il tempo di fermarmi a pensare a quanto stesse accadendo. Ad un certo punto mi sono accorto che i sensi cominciavano a percepire cose diverse dall’esterno, ovvero colori, odori e suoni completamente diversi. I primi mesi non sono stati facili, non ti nascondo che sono andato in crisi, la musica è stata una cura, una forma di autoanalisi. Ultimamente sto imparando a prendere, a piccole dosi, i lati positivi di entrambe le realtà.

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La copertina di “Rio Nero”

Ambientalista e milanese d’adozione, come convivono in te queste due anime?

Guarda, qui a Milano c’è parecchio senso civico, mentre giù mi accorgo che è più latente, probabilmente perché l’essere immersi nella natura ti porta a dare quasi per scontato tutta quella bellezza. Ti faccio un esempio, il Paese dal quale provengo si chiama Rionero e sorge ai piedi del monte Vulture, un posto magico perché era un vulcano, pensa che i due crateri sono diventati i bellissimi laghi di Monticchio. Un luogo incredibile che, se fosse situato in Texas, con ogni probabilità verrebbe sfruttato e valorizzato al massimo. Confido nelle nuove generazioni, ultimamente molti giovani stanno mostrando interesse nei confronti di questi temi ambientali così attuali e importanti.

Come canti in “Atollo”, molleresti tutto per andartene in posto sperduto nell’Oceano Pacifico?

Sì, anche domani. Non so se lo farei per sempre, però per un periodo mi piacerebbe. Conoscendomi credo che dopo un po’ tornerei indietro, semplicemente per poter proseguire il mio discorso artistico. La musica per me ha senso se condivisa, cantarmela e suonarmela da solo, come per tanto tempo ho fatto nella mia cameretta (sorride, ndr), non è che mi affascina tantissimo.

La musica è sicuramente una compagna di vita, ti ha dato tanto ma, al tempo stesso, ti ha mai tolto qualcosa?

Non lo so, non c’ho mai pensato. Forse mi ha tolto un po’ di spensieratezza, nel senso più adolescenziale del termine. Ho cominciato a fare musica a quindici anni, con i miei migliori amici avevamo fondato una band punk/rock, ci divertivamo ma non l’ho mai vissuta come un gioco. La mia forma mentis è sempre stata quella di fare le cose al meglio delle mie possibilità, questo mi ha portato ad essere sempre molto concentrato, a darmi delle priorità, ma con questo non significa che mi abbia tolto qualcosa, anzi, la musica è sempre stata per me una grande ricchezza, un plus.

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Nico Donvito
Nico Donvito
Appassionato di scrittura, consumatore seriale di musica italiana e spettatore interessato di qualsiasi forma di intrattenimento. Innamorato della vita e della propria città (Milano), ma al tempo stesso viaggiatore incallito e fantasista per vocazione.
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