Nata come brano strumentale, Gloryland divenne presto un brano pop
Gloryland, ovvero la “terra della gloria”. Purtroppo non si rivelò tale per l’Italia di Arrigo Sacchi, che subì quella bruciante sconfitta ai rigori contro il Brasile al termine di un Mondiale onestamente anche fortunato per gli azzurri. Usa ’94, però, sarà sempre ricordato per il trionfo dei gialloverdi, per le rivelazioni di Bulgaria, Nigeria e Romania, per aver permesso di vincere il Pallone d’Oro a Stoickov, per il gran caldo che fece dei giocatori in campo una sorta di eroi. Insomma, i Mondiali americani di metà anni ’90 si rivelarono una vera e propria terra di gloria. Verranno per sempre ricordati, quindi, anche con la loro canzone ufficiale.
Gloryland fu cantata all’inaugurazione del 17 giugno da Daryl Hall con i Sounds of Blackness.
Il brano nacque in realtà nella sua forma puramente strumentale a inizio 1994, quando Charles John Skarbek decise di investire sull’arrangiamento che Richard Simon Blaskey del Glory Glory di forma spirituale. Un canto di speranza, già noto in tutto il mondo per essere usato in cerimonie religiose, diventava così una musica contemporanea, grazie anche al sassofono di Snake Chris Davis. Fu allora che, consapevoli di aver avvicinato un genere pop, i compositori capirono di poter fare un passo successivo. Quel brano, Gloryland, con qualche modifica al testo per renderlo più vicino ai valori dello sport, sarebbe così diventato quello ufficiale di Usa ’94.
Non cambiava l’impostazione gospel: Gloryland manteneva così la sua ossatura musicale, rafforzata da cori che creavano un’atmosfera assolutamente cerimoniosa.
Ciascuno di noi ha un sogno da realizzare nella vita, da raggiungere con la fame nel cuore e il fuoco nell’anima, acceso dalla passione per ciò che si sta portando avanti. Ebbene, proprio questi sono i valori principi che una squadra di calcio deve ricordarsi quando entra in campo. Ecco allora come Gloryland si prestava perfettamente a raccontare quel sentimento che il 17 giugno 1994 univa tutte le nazioni. Tutti potevano sognare, per trovare gloria e raggiungere il proprio obiettivo. Quell’obiettivo che, guarda un po’, in inglese viene tradotto anche con la parola “goal”.
Impossibile non commuoversi ascoltando quel coro che ripeteva “Gloryland”, mischiando la fede religiosa con quella calcistica, senza tuttavia risultare minimamente profana. No, perché con le dovute distinzioni, il calcio rimane qualcosa di sacro per ogni tifoso. Specie se si tratta della propria Nazionale.
Per questo motivo, mentre tutti cantavano quella canzone di Hall che arrivò al 36esimo posto nella hit parade mondiale, l’Italia aveva comunque una sua canzone di accompagnamento.
Dopo Un’estate italiana, infatti, si capì che la nazione dovesse avere una canzone da usare come portafortuna. Si puntò così su grandi nomi della musica, del cinema e dello sport. Enrico Ruggeri, Massimo Ranieri, Diego Abatantuono, Paolo Maldini, Paolo Rossi (Pablito), sotto la supervisione di Ringo, cantavano Italia ancora. Era una bella canzone, tanto romantica quanto emozionante, che voleva far emergere l’orgoglio peninsulare per le proprie bellezze e le forze artistiche e sportive. L’idea fu di Carlo Vetrugno, noto dirigente televisivo all’epoca alla guida di Italia Uno. Maldini e Abatantuono aprivano con due strofe recitate in una sorta di rap, che incitavano a battagliare e unirsi nella voglia di amare l’Italia.
La canzone fu dimenticata in breve tempo, ma questo non fa del progetto qualcosa di estremamente qualitativo. Ammettiamolo, sarebbe bastato che la lotteria dei rigori regalasse la medesima fortuna trovata fin lì, e il ricordo di Usa ’94 avrebbe avuto un destino diverso per tutti noi. A quel punto forse anche Italia ancora non sarebbe finita nel dimenticatoio che non meritava. Coi se e coi ma, però, non si fa la storia.
Usa ’94 consegnò nuovamente il titolo a Taffarel e compagni: a quel Paese che, l’ultima volta, aveva vinto nel 1970. Sì, sempre contro l’Italia. Quanto ci brucia. Proprio vero: il calcio è un gioco, ma anche un po’ una religione…