Carlotta Tedeschi: “Fate tornare la musica a respirare dal vivo”

Intervista a Carlotta Tedeschi, giornalista e storica voce del Gr1 di Radio Rai

Carlotta Tedeschi: "Fate tornare la musica a respirare dal vivo"
Carlotta Tedeschi si racconta ai lettori di Musica361, il ritratto di una specialista dell’informazione

Umanità e professionalità non sempre vanno a braccetto, ma nel caso di Carlotta Tedeschi possiamo considerarle due doti ambivalenti. Giornalista e storica voce del Gr1 di Radio Rai, nel corso della sua longeva e intraprendente carriera ha intervistato numerosi personaggi del mondo della musica, ma non solo, dagli esordi con Il Roma fino alla recente esperienza di Radio Italia Anni ’60. Abbiamo il piacere di ripercorrere con lei le tappe fondamentali del suo percorso, ospitandola in questo diciassettesimo appuntamento della rubrica “Protagonisti in secondo piano.

A quando risale il tuo primo incontro con la musica?

La musica fa parte della mia vita da sempre, quando ero più giovane i miei non capivano come riuscissi a studiare con la radio accesa. Crescendo è rimasta una costante, ricordo che da adolescente i miei amici mi portavano dall’Inghilterra i primi 45 giri dei Beatles, ma fondamentalmente è partito tutto da bambina, quando praticamente vivevo perennemente con la radio accesa.

Come ti sei avvicinata, invece, all’informazione e al giornalismo?

Per caso, pur avendo un padre che faceva questo mestiere e che è stato direttore de “Il Borghese” per trentasei anni. Teoricamente, avendo frequentato la scuola per traduttori e interpreti, avrei dovuto fare tutt’altro, fino al giorno in cui un mio caro amico mi invitò a teatro per vedere uno spettacolo di Ennio Flaiano. La mattina dopo, quasi per gioco, provai a scrivere le mie impressioni. Portai questi fogli dattiloscritti a mio padre, che mi diede qualche consiglio, ma mi disse che tutto sommato andavano bene. Non so come sia successo esattamente, anche perchè successivamente ho fatto anche altri lavori, per poi entrare a far parte della redazione de “Il Roma” di Napoli, da lì è cominciato tutto.

Come si è evoluto negli anni il tuo mestiere?

Subito dopo il terremoto in Irpinia del 1980, questo glorioso quotidiano partenopeo chiuse i battenti. Mi iscrissi alle varie liste di disoccupazione, così cominciai a fare le prime sostituzioni in Rai e, piano piano, arrivò il contratto a tempo indeterminato per lavorare in radio.

Come si è evoluto, secondo te, il giornalismo in Italia?

Tanto per cominciare si è evoluto da un punto di vista tecnologico, calcola che quando iniziai avevamo le macchine da scrivere manuali, immagina il rumore dei tasti in redazione (sorride, ndr), fino a quando sono arrivati i primi computer. Un tempo utilizzavamo il Nagra, storico registratore che pesava circa quattordici chili, mentre oggi basta un semplice telefonino che pesa meno di 200 grammi.

E da punto di vista etico e morale?

Non so se si sia proprio evoluto, alle volte ho l’impressione che ci sia una rincorsa spasmodica per arrivare prima degli altri, cosa che non serve a nulla, poiché le notizie vanno sempre verificate e per farlo ci vuole tempo. Io mi auguro che questo si faccia ancora, perchè non si può prendere tutto per oro colato, bisogna essere sicuri che quello che si elabora sia vero. Penso che con l’avvento dell’informazione online sia nata una fretta che non fa bene al giornalismo, in più c’è un approccio troppo disinvolto e individuale, mentre una volta c’era più solidarietà tra colleghi.

Probabilmente perchè manca una vita di redizione e poi, diciamocelo chiaramente, rispetto al passato ci sono molti meno esempi validi da poter seguire. Quali sono stati i tuoi maestri e cosa hai imparato da loro?

Carlotta Tedeschi: "Fate tornare la musica a respirare dal vivo" 1Guarda, fortunatamente ne ho avuti diversi. Mio padre in primis, poi Luigi Necco, storica colonna del giornalismo napoletano, e il grande Sandro Ciotti, con cui ho seguito la mia prima diretta da Sanremo. Lui è stato un maestro anche per tanti colleghi, così come l’immenso Rino Icardi, forse troppo dimenticato, a lui devo l’aver perso la cadenza romana, perchè ricordo che una volta mi disse senza troppi giri di parole: “ma vieni da un sottoscala?” (ride, ndr). Poi, anche altri insegnamenti pratici su come respirare bene, ma soprattutto a livello etico. Ho imparato ad avere sempre rispetto delle persone, anche se c’era da fare una critica, occorreva esporla in maniera garbata. Devo ammetterlo, qualsiasi consiglio ricevevo, cercavo di assorbirlo come una spugna, proprio perchè mi faceva piacere che qualcuno mi desse una mano. Un atteggiamento che non ho visto spesso quando mi sono ritrovata, molto anni dopo, dalla parte opposta.

Forse, oggi si pecca un po’ troppo di saccenza e di esibizionismo…

Temo che il problema sia semplicemente uno, quello che cercavo di spiegare ai colleghi più giovani: la notizia non è il giornalista, bensì lo strumento per dare quella notizia. Ogni tanto bisognerebbe fare un passo indietro, almeno io l’ho sempre pensata così. Chi svolge questo mestiere, oggi, è diventato in qualche modo anche un personaggio, perchè viviamo nell’era dell’immagine, ma dipende molto da come decidi di costruire la tua professionalità. A chi vuole fare davvero questo mestiere non dovrebbe importare di essere riconosciuto per strada, soprattutto per quanto riguarda il mondo radiofonico. Qui ritorna il grande Rino Icardi, il quale diceva sempre che le voci della radio non devono avere una fisicità, bensì devono mantenere un certo mistero, mentre adesso tutto ruota più sull’immagine che sulla parola.

Tra le notizie che non avresti mai voluto dare, immagino, ci sia anche questa maledetta pandemia. Come pensi sia stata trattata dai media?

Tanto per cominciare stiamo parlando di un avvenimento eccezionale e inaspettato, che è piombato tra capo e collo, scompaginando qualsiasi cosa. Poi, piano piano, ci siamo un po’ tutti abituati a questa invasione di notizie, al punto che questa straordinarietà è diventata quasi una routine. Dopo più di un anno, credo che la questione vada affrontata decisamente con meno ansia, perlomeno senza trasmetterla a chi sta dall’altra parte. La situazione è talmente tragica da un punto di vista economico e lavorativo che, forse, bisognerebbe andare a trattare e pungolare certi argomenti di maggiore utilità.

In conclusione, ritornando all’argomento di partenza, quali credi sia la sua funzione della musica in un momento delicato come questo?

Una funzione vitale, è la compagna più bella che l’uomo possa avere. Fatela tornare il prima possibile a respirare dal vivo, perchè lo streaming o la televisione mettono uno schermo tra l’artista e il pubblico… e per me questa non è musica. All’aperto i contagi sono ridotti all’osso, per cui fatela tornare a vivere per piacere!

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Nico Donvito
Nico Donvito
Appassionato di scrittura, consumatore seriale di musica italiana e spettatore interessato di qualsiasi forma di intrattenimento. Innamorato della vita e della propria città (Milano), ma al tempo stesso viaggiatore incallito e fantasista per vocazione.
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