Spotify, la rivolta dei “furbetti”. L’arte non ha più un prezzo?

Dopo la decisione di scollegare gli account Spotify di chi usava una versione modificata dell’app di streaming, è iniziata la rivolta sul web di chi è stato punito.

Se Spotify o simili investissero sugli artisti

A loro non è andata giù. Loro sono quelli che hanno deciso di vendicarsi con commenti d’odio contro Spotify, azienda leader nel settore dello streaming, che ha deciso di prendere provvedimenti dopo diversi anni in cui una buona percentuale di utenti utilizzava una app “pirata” per usufruire dell’account premium. La scelta sembra essere avvenuta a causa della quotazione in borsa del colosso svedese. Inoltre, un fattore da non trascurare è che in Italia porteranno punti per le certificazioni oro/platino/diamante soltanto gli stream degli abbonamenti. Una bella differenza rispetto all’anno scorso, quando tutti gli stream potevano rientrare nel conteggio per l’assegnazione di certificazioni. Non a caso proprio il 2017 è stato l’anno della trap, esplosa tra i giovani e ricoperta di premi.

Il reale valore dell’arte

C’è poco da dire a chi ha insultato Spotify: un caffè al giorno equivale a 30 euro al mese. L’abbonamento Premium costa 9,99 euro per sentire tutta la musica che si vuole, quando si vuole. C’è ancora da obiettare qualcosa? Il problema è un altro. Quando la vera pirateria digitale è nata, il mercato discografico era diverso. (Forse) si poteva giustificare il ragazzino che scaricava una canzone su Emule pur di sostenere il proprio artista. L’alternativa era spendere 9,99 euro a CD, se non di più e non tutti potevano permetterselo. Ricordiamoci delle cassette registrate dalla radio e dei CD masterizzati da qualche amico. Insomma, cose che sono sempre esistite. Ma oggi non c’è più una giustificazione per tutto questo. Oggi si può ascoltare la musica in qualsiasi momento a solo 9,99 euro al mese (ancor meno se si condivide l’account Family o se si è studenti). Il ché vuol dire che tu, caro hater di Spotify, negli anni 2000 se avessi voluto ascoltare 5 dischi nuovi in un mese avresti speso circa 50 euro.

Lo scandalo vero, quindi, non è la maleducazione di queste persone, un seme impossibile da debellare. Il problema è che esiste chi si rifiuta di associare una spesa all’arte. Gli artisti, nonostante investano capitali e mettano a rischio il proprio patrimonio per poter lavorare, devono anche subire la volontà di chi vuol farli lavorare gratuitamente. Non solo, ipotizzando un aumento netto di abbonamenti, non sappiamo con chiarezza quanto percepiranno gli artisti da ogni stream. Ci sarà un miglioramento per quanto riguarda la questione value gap? Gli ascolti in streaming saranno un importante conteggio anche per associazioni come Siae o Soundreef? Ci sarà un differenza anche per loro tra abbonati e non?

L’arte è diventata liquida come tutto il mondo dall’arrivo del digitale. Puoi fruire di un quadro del Louvre mentre sei a New York, puoi guardare il tuo live preferito direttamente da casa tua, puoi ascoltare tutta la discografia di un artista in un solo mese. Le modalità sono molteplici, ma il valore resta lo stesso. L’arte deve essere pagata.

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Andrea De Sotgiu
Andrea De Sotgiu
Laureato in Comunicazione, appassionato di musica e di tecnologia. Se qualcosa nasconde una dietrologia non si darà pace finché non avrà colmato la sua sete di curiosità, che sfogherà puntualmente all'interno dei suoi articoli.
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