Negrita, com’è il nostro “Desert Yacht Club”

“Desert Yacht Club” è il decimo album da studio dei Negrita, composto da 11 canzoni inedite scritte e composte dalla band con la produzione di Fabrizio Barbacci. Ecco come ce lo hanno presentato.

Negrita, com'è il nostro "Desert Yacht Club"
Negrita. Foto: © Magliocchetti.

Certi amori non finiscono mai, dicono i Negrita. In questo caso, si riferiscono all’amore per la California, che ritorna nel nuovo album “Desert Yacht Club”. Questo titolo è un omaggio a un luogo d’ispirazione, l’omonima oasi creativa fondata dall’artista napoletano Alessandro Giuliano nel deserto di Joshua Tree, in California appunto.

Come spiegano i Negrita, “Per molti versi, molto dell’immaginario con cui ci siamo presentati al mondo più di vent’anni fa era iniziato proprio da lì, dalla California, per poi trasformarsi in un rapporto che, tra arrivederci e clamorosi ritorni, ci aveva tenuti sempre legati a quei luoghi così densi di mitologia”.

“Desert Yacht Club” è il decimo album da studio dei Negrita

Un bel disco, questo dei Negrita, nato pensando che “Se vuoi essere figlio del tuo tempo a 50 anni devi chiederti chi sei e chi vuoi essere domani”. Nel rispondere a queste domande il deserto americano è stato fondamentale, perché dal suo ambiente e dal modo in cui la band l’ha vissuto è nato il metodo con cui è stato realizzato questo album. “Non potevamo approcciarci a questo disco come avremmo fatto 20 anni fa. Il kitchen groove (il groove “da cucina”, nda) è il metodo di lavoro che abbiamo usato. Ci capita di andare a lavorare in studi di registrazione classici, ma di solito registriamo in studi residenziali perché la musica per noi è h24, quindi di notte, se vogliamo, possiamo registrare delle cose”.

Stavolta l’approccio è stato diverso. “I tavoli da cucina sono stati la base: sopra un computer, due casse, due chitarrine e abbiamo lavorato così. Abbiamo escluso sala prove e studio, e con un po’ di tecnologia e materiale economico, con tanti tablet e smartphone pieni di cose che ci piacevano, siamo riusciti a essere sempre in movimento: letteralmente lungo un viaggio abbiamo scattato istantanee in musica, armati appunto di materiale leggero per poter produrre ovunque. La cosa bella è che la postazione di lavoro era sempre funzionante. Questo modo di lavorare per noi nuovo ci ha permesso di esplorare come volevamo. Lavoravamo in cucina (per riferirci al nome kitchen groove) ma non solo, non avevamo limiti mentali. E avere un chitarrista cuoco è stato un vantaggio. A parte gli scherzi, tra un pasto e l’altro la musica fluiva senza soluzione di continuità”.

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Negrita. Foto: © Magliocchetti.

I Negrita si sono spostati tra città e deserto, anzi, in un resort nel deserto: “Il concetto del resort Desert Yacht Club, composto di tre tende e due roulotte, è: siete liberi, nessuno vi vede, nessuno vi sente. Lì la natura è estrema, sei completamente isolato e questo ti fa concentrare su quello che stai facendo. Di notte altri abitanti del deserto venivano a trovarci, perché c’è gente che ci abita nel deserto, un posto dove puoi fare quello che vuoi. Verso mezzanotte la prima sera che siamo stati lì ci hanno portato nell’accampamento vicino dove hanno fatto il gelato al momento, così, in mezzo al nulla”.

E poi ci sono i viaggi “Su un furgone nel sud ovest Stati Uniti, tra Los Angeles, San Diego o, appunto, nel deserto, un ambiente che ti spinge a guardarti dentro, ti fa sentire piccolo. Per noi l’America sono i paesaggi, le vibrazioni”. Nel disco però non c’è solo la California, “È un caso che l’album sia nato lì. Avevamo bisogno di un periodo di rigenerazione, venivamo da qualche anno di problemi interiori. Il gruppo vedeva un orizzonte finito, e qualcuno pensava di mettere i piedi fuori dalla band. Come reazione abbiamo scelto di rimettere in gioco dei valori: questo disco guarda più al periodo in cui abbiamo iniziato rispetto al domani e a quello che saremo, pur essendo un disco – crediamo – abbastanza maturo. La nostra musica parla della vita, dell’esistenza, e dentro c’è di tutto: rabbia, disillusione, amore, passione. Tutto”.

Ascoltando le canzoni, due si rivolgono a tipi di persone diverse: “Non torneranno più” è nata da uno spunto potente, “Ed è rivolta alla generazione nata sul finire degli anni ’60. Nel testo lasciamo un piccolo spazio al rimpianto, sentimento che di solito non ci piace. Ma questo è solamente un giorno di rimpianto, ci sono saluti obbligati, amici e persone che se ne sono andate nel corso degli anni. Però abbiamo scritto anche a chi ha 30 anni meno di noi, con “La rivoluzione è avere 20 anni”. Abbiamo usato una frase di Ghandi nel testo, sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo: vogliamo dire ai ragazzi che la loro è l’età giusta per metterla in pratica”.

I Negrita torneranno a suonare dal vivo il 10 aprile a Bologna, Unipol Arena; il 12 aprile a Roma, Palalottomatica, e il 14 aprile a Milano, Mediolanum Forum.

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Francesca Binfaré
Francesca Binfaré
Giornalista, si occupa di musica, spettacolo e viaggi; parallelamente svolge attività di ufficio stampa. Autrice e conduttrice radiofonica dal 1989. Ha vissuto qualche tempo a Dublino, ma non ha mai suonato al campanello di Bono. Ha visto i "duri" Metallica bere un the e Slash senza l’immancabile cilindro. Affezionata frequentatrice del Festival di Sanremo e dei meandri del Teatro Ariston.
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