Mario Natale: da Salvi a Amii Stewart, la musica vera è ricerca

Mario Natale, uno dei Maestri e arrangiatori più importanti della nostra musica

Chiacchierata con il Maestro Mario Natale tra la musica di ieri e di oggi 

“Dirige l’orchestra Mario Natale”. L’abbiamo sentita un’infinità di volte questa frase a Sanremo; talmente tante che, anche chi non conosce il percorso di Mario Natale, ha perlomeno la certezza di trovarsi, con lui, di fronte a qualcosa di fortissimo dal punto di vista della qualità. Il curriculum festivaliero parla per lui: due primi posti (2002 Messaggio d’amore con i Matia Bazar, 2005 Non credo nei miracoli con Laura Bono tra i Giovani e nello stesso anno secondo posto assoluto con Cutugno e Minetti per Come noi nessuno al mondo) e tantissimi successi indimenticabili frutto di una grande curiosità e della voglia di sperimentare.

A, Siamo donne, Quelli che non hanno età, Quelli come noi, Nel cuore delle donne, Un falco chiuso in gabbia: tutte canzoni, di generi anche completamente diversi, dirette dal nostro ospite settimanale di Musica Maestro.

Mario Natale, cresciuto da subito con la passione per la musica, sviluppata con lo studio della fisarmonica e, trasformata con l’attenzione alla musica dance, ci racconta alcune tra le sue più significative esperienze musicali da Direttore e arrangiatore.

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
Mario Natale è il ventunesimo ospite della rubrica Musica Maestro

Mario, tra i tantissimi, qual è l’incontro più incredibile che tu abbia vissuto fino a questo momento?

Difficile fare una scelta. Sicuramente un’emozione enorme la vissi quando con Amii Stewart realizzammo due album di cover con una grande orchestra in presa diretta. Il che significava banalmente, dopo un lungo lavoro di ricerca, dare a tutti i musicisti le partiture, io su un piedistallo che davo il via, gli orchestrali suonavano, Amii cantava. Era il 1995: fu una delle ultime volte che si fece un disco in quella maniera, almeno nel pop. Dirigere a tutti gli effetti in un disco è qualcosa che oggi sembra impensabile. Però ci sono altre esperienze particolarmente stimolanti che porto sempre nel cuore.

Per esempio?

Sicuramente la collaborazione con Laura Bono: mi buttai anima e corpo in quel progetto per fare della musica di qualità. In tanti ci facevano notare che all’epoca Laura avesse già 25 anni, un’età che per qualcuno inopinatamente è già poco interessante per una gara di Giovani. La canzone, però, era bella, piacque e arrivò a vincere in un’edizione in cui c’erano persino Negramaro e Modà.

E poi non posso dimenticare la collaborazione con Franco Fasano. Lavorammo, insieme a Roberto Turatti, all’arrangiamento di E quel giorno non mi perderai più. Era il 1989, non c’era l’orchestra purtroppo. Franco sembrava diffidente all’inizio perché lui proponeva una musica melodica molto profonda, mentre noi arrivavamo da un mondo più frivolo come quello di Salvi. Da questa commistione strana nacquero cose molto importanti. Merito della magia della musica.

Ecco, parliamo di Salvi. Come nacque quella serie di successi, da Esatto fino a Le solite promesse, A, Il lupo, ecc..?

Con Francesco, insieme a Silvio Melloni e Roberto Turatti, iniziammo a incontrarci per costruire la sigla del MegaSalvi Show.

Insomma per qualcosa di puramente commerciale e televisivo. Quando condividemmo le idee capimmo subito che potevamo prendere spunto dalla vita di tutti i giorni, compreso il concetto di spostare l’auto da un parcheggio. Andò così: aspettavamo Salvi nel nostro studio alle nove di sera e proprio a quell’ora suonò il citofono. Era una persona esagitata che gridava “Qua c’è da spostare una macchina!”. Pensavo fosse Francesco, quindi aprii il portone. In studio, però, non entrava nessuno. Uscimmo allora a vedere cosa succedesse e trovammo il dirimpettaio che ripeteva: “Qua c’è da spostare una macchina!”. Nello stesso momento arrivava Salvi, che vide la scena. Ci mettemmo tutti a ridere, entrammo in studio e nel giro di un’ora nacque la canzone. Così scoprimmo che si potevano catturare certi momenti e trasformarli in tormentoni.

Vi inventaste qualcosa di assolutamente innovativo unendo la dance alla musica comica. La chiamavano nonsense, ma rispetto alla trap di oggi era più che sensata anche dal punto di vista dei testi…

Piaccia oppure no, però, per chi fa quel genere anche la trap ha un senso, incredibilmente! Noi facemmo la scommessa di  introdurre in quelle canzoni un

sound che in quel momento era molto attuale. Siamo tutti un po’ la contaminazione del nostro vissuto. Ora abbiamo possibilità di vedere immediatamente qualcosa del passato grazie al web, una volta c’era un maggiore lavoro di ricerca.

Parlavi prima del disco con Amii Stewart come di qualcosa che oggi sembra impensabile. In realtà purtroppo oggi tutta la direzione d’orchestra in generale appare come un lavoro d’altri tempi: perché?

È cambiato il modo di interpretare la musica, ma dirigere un’orchestra è esattamente lo stesso lavoro emozionante di sempre.

Una volta c’era una qualità diversa. Andare in uno studio di registrazione era impegnativo, significava dovere affrontare un certo costo, che costringeva ad avere idee molto chiare. Oggi questo aspetto è assolutamente più democratico: avere uno studio di registrazione ad alto livello è più alla portata di molti. Così ci si mette in casa propria del materiale per potersi esprimere e vengono proposte idee non filtrate da nessuno. Insomma quella ricerca di cui parlavo non si fa più, né si ascolta un provino con quell’idea: contano la visibilità e la notorietà sui social. Sono stati scardinati tutti i sistemi. Tante volte non riusciamo a trovare un senso in ciò che ascoltiamo semplicemente perché quel senso non c’è. Insomma diciamocelo onestamente, se un ventenne vuole fare musica e ha delle delle idee interessanti, si fa fatica a vederlo perché viene sommerso da altri che hanno voglia solo di apparire.

Nel 1989 dirigesti anche all’Eurovision Song Contest: si trattava di Avrei voluto, cantata da Oxa e Leali.

Un’esperienza bellissima e prestigiosa. La difficoltà fu quella di portare il brano a una durata di tre minuti, come era richiesto dal regolamento: in origine la canzone durava più di quattro minuti…

C’è un artista che oggi ti convince particolarmente e con cui ti piacerebbe collaborare?

Francesco Gabbani. Ha trovato un modo molto ironico e allo stesso tempo pieno nella sua proposta musicale ricca di contenuti di un certo spessore. Ha iniziato ad avere successo a un’età importante e questo lo ha aiutato in una maturità professionale.

I prossimi successi a cui stai lavorando?

Ultimamente mi sono dedicato a musiche di commento sonoro di immagine, che hanno vinto anche qualche premio.

Non mi interessa fare necessariamente lavori da classifica: se c’è un progetto di qualità ci si può dedicare anche a qualcosa che resti più nascosto, ma che emerga nel cuore di ha voglia di ascoltare.

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Massimiliano Beneggi
Massimiliano Beneggi
Massimiliano Beneggi, laureato in filosofia con una tesi sulla comicitá contemporanea riletta attraverso Bergson e Freud, è appassionato di musica e teatro. Racconta con rigore aneddotico la storia del Festival di Sanremo e della musica italiana, suggerendo ogni volta spunti filosofici e inediti.
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