Il Maestro Ciro Gerardo Petraroli, alias Yeros: un viaggiatore
“La musica è movimento se non ci fosse movimento, non ci sarebbe la musica. La musica stessa è un viaggiare in spazio-tempo, è percepire il viaggio, il movimento. È immergersi”
Ci sono viaggi dentro il viaggio, incontri inaspettati che ci conducono laddove non avremmo immaginato. Il mio incontro con il Maestro Ciro Gerardo Petraroli, alias Yeros è uno di questi. Il Maestro è una di quelle persone che ti siedono accanto in treno, in aereo, o che incontri, casualmente su un sentiero, per le quali istintivamente provi curiosità ed anche soggezione.
Eppure, come tutti i grandi, sa come prenderti per mano e con semplicità, condurti condividendo il suo sapere, la sua sensibilità di artista, regalando a piene mani, generosamente, la sua arte e la sua vita. Il Maestro è un artista, compositore, pianista e direttore d’orchestra, definito dalla critica “Mente eclettica con un’immagine ed una presenza magnetica” che ha dedicato la vita alla musica, la filosofia e l’esoterismo delle religioni.
Dopo una lunga carriera nella musica classica, nel 2014 ha creato un genere completamente nuovo che ha chiamato Darklassic, uno stile compositivo classico che integra sonorità tradizionali, suoni elettronici e ritmi etnici, i quali si fondono con concetti di filosofia mistica (Arte e Gnosi) in percezioni subliminali trascendenti.
In questo modo la sua performance non è solo un concerto, ma anche un suggestivo spettacolo visivo, in cui non vi è solo l’Artista sul palco. Il pubblico viene catturato: l’atmosfera diviene misteriosa, trasportando il pubblico in luoghi nascosti e profondi della propria psiche, permettendogli di scrutare realtà e percorsi interiori metafisici.
Ha conseguito i suoi studi in vari conservatori internazionali, tra cui il Conservatorio Mozarteum di Salisburgo, il Conservatorio di Santa Cecilia a Roma ed il Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari, dove il Maestro Nino Rota lo scelse fra tanti per il proprio corso di composizione.
Gli stili eclettici compositivi dimostrano la sua natura poliedrica: sinfonia per orchestra, concerti per pianoforte e orchestra, per violino e orchestra, sonate per pianoforte, musica da camera di stile 700, Lied e Romanze di puro lirismo, commenti musicali, colonne sonore in vari film francesi come Le Boulevard de Saint Michael del regista Anton Dumas, musiche per danza classica, musica sperimentale e Afro – Rock Zuuli con Dumhishan Damlini di Johannesburg e il grande musicista e compositore sudafricano Msomi Welcome.
Maestro Petraroli se dovesse tratteggiare una sorta di carta d’identità di sé stesso, cosa direbbe?
Da giovanissimo sono stato in seminario per dodici anni e alle soglie del sacerdozio, ne uscii. Iniziavo a rendermi conto che per la mia natura aderivo al pensiero filosofico del cristianesimo, il senso civile del perdono, del rispetto, sapendo perdonare e perdonarsi, ma cozzavo col potere della Chiesa cattolica. Un grande conflitto, con me stesso e con i miei superiori, che per la mia natura ribelle non accettavo.
Il seminario, però, è stato importantissimo e mi ha dato molto. Ho potuto fare il liceo classico, studiando filosofia e teologia, ho avuto l’opportunità di suonare l’organo a canne e di fare il Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari con Nino Rota. Ho continuato gli studi laureandomi in filosofia delle religioni per ampliare e capire come il bisogno della fede sia di tutti e serva a colmare vuoti interiori e dal cattolicesimo sono passato a rivalutare le mie idee verso un aspetto più esoterico.
Questo mi ha portato a viaggiare tanto, a vivere. Ho vissuto due anni in sud africa dove ho insegnato a Cap Town, lì il concetto della religione è molto etnico e mi ha permesso di capire anche la loro musica e la loro religiosità. Molto diversa dall’appartenere ad una religione. Sono un cittadino del mondo, o meglio dei paesi. Amo le persone semplici, autentiche, in tutti i luoghi e in tutti i modi del mondo, dove i bambini sono uguali e ci ricordano la nostra eguaglianza, quello che ci accomuna.
Quando e come la musica è entrata nella sua vita?
Un bisogno nato da bambino, nel vedere e sentire mia madre con i coperchi e le padelle, perché è muoversi fare rumore, ascoltarsi. Ho iniziato a suonare osservando i movimenti delle dita del mio parroco sull’Armonium. Ho imparato con gli occhi, non vedendone i piedi, ma ripetendo immediatamente con facilità, i gesti delle sue mani.
Quando ha capito che sarebbe stata il suo mestiere?
Ad un certo punto è diventata professione quando quasi stupefatto, mi rendevo conto che mi dava da vivere. Era stato fino a quel momento, qualcosa di sacro dentro di me, inaccessibile.
Poi ho cominciato a dare un nome alla musica, non posso dire mia, perché questa, è di tutti e non può appartenere, così come le opere d’arte.
Non mi appartiene ne sono un’espressione esterna, come insegna Michelangelo che diceva di aver tirato fuori dal marmo quello che già c’era dentro. In realtà, ho zittito note e ne ho fatte emergere altre.
Dalla musica classica, alla Darklassic. Da Ciro Gerardo Petraroli a Yeros. Quale è stato il percorso e perché Yeros?
Il cammino vero è che sono uscito, mi sono allontanato dal solito classico, sono arrivato al bisogno vero, alla sintesi. La musica è diventata un vestito per poter realizzare un pensiero filosofico di tipo psicoterapeutico. In questa Darklassic c’è tutta la carica emotiva concentrata che s’impone tirando fuori tutta la forza interiore istintiva che c’è dentro di noi.
È il passaggio dall’aspetto formale a quello sostanziale. Sono Yeros da circa vent’anni e deriva dall’ebraico che ho studiato a lungo. La Y sull’Eros è motivo di superamento e sublimazione dell’archetipo dell’eros nell’accezione più comune del termine (passione, erotismo), dandoci così la facoltà di cogliere e usufruire di un nettare che dà essenza alla vita e che potremmo perdere se e quando, fosse il solo corpo a governarci. Noi siamo molto di più del corpo che abitiamo.
La musica si ascolta e si vede?
La musica è movimento se non ci fosse movimento, non ci sarebbe la musica. La musica stessa è un viaggiare in spazio-tempo, è percepire il viaggio, il movimento, è immergersi. La musica è madre, è fede, è religione. Il viaggio è un rischio, come la musica. Viaggiando si ascolta non solo la musica ma la sua natura, i paesaggi che la accompagnano in un continuo stato di disorientamento che orienta nuovamente.
La musica si vede e si mangia, è da respirare, da toccare, da respirare. Un viaggio continuo, un ricordare, rivedersi. Anche se uno non ascoltasse musica, si sente, si percepisce in quello che ci circonda. Viaggiando in ogni luogo, ritrovo tutti i luoghi, rivedo e ripenso a tempi che non ho vissuto e a chi ha attraversato e calpestato quella terra, un viaggio nel viaggio.
Cosa rappresenta la musica per te? È un viaggio attraverso paesi, mari e terre ma anche dentro di noi?
Il bisogno di viaggiare e cercare, non di trovare, questa è la mia dannazione. Sono un viaggiatore che vaga di terra in terra, ma anche nell’animo umano. Cercare è diverso dal trovare, quel trovare che diventa spesso intransigenza, per me è intollerabile. L’esatto contrario della crescita interiore è il non cambiare mai, spesso solo per partito preso. Io non arrivo mai, continuo a viaggiare.
È in uscita il nuovo disco, al quale hai dedicato anni di lavoro…
Il nuovo disco di Yeros che uscirà a breve, è L’Apostata. Un disco al quale ho lavorato a lungo, dove sono contenuti tre brani che superano i venti minuti, Extra omnes, Evocation, Et in Arcadia Ego. Ogni brano è un viaggio al quale abbandonarsi, ci si lascia andare senza sapere dove porterà.
Ci sono l’orchestra classica, i cori, insieme a sonorità elettroniche e ritmi incalzanti. Quadri diversi dove ho recuperato nenie che appartengono a ricordi della mia infanzia, tipo il richiamo dell’arrotino o quella dell’omino che vendeva la burrata dentro le foglie, che ho messo in musica.
Suoni che fanno parte di noi, che rimangono dentro, come le voci del mercato. Suoni profondi, arcaici: noi siamo la sintesi anche del passato. Ci siamo dilatati, più che evoluti.
Quando non fai la tua musica, cosa ascolti?
Ascolto il silenzio, è come se tutta l’altra musica l’avessi già ascoltata dentro. Già era. Non smetterò mai, morirò in qualche terra straniera e mi sotterreranno come vorranno loro.
Quale sarà il prossimo viaggio?
Tornerò in Sudafrica, ho bisogno di rivedere il temporale e cercare, volgendo lo sguardo dall’altra parte, il sole. Là, ho suonato Bach tra gli indigeni e i ragazzetti, all’aperto. Loro non la capivano ma si sono abbandonati e l’hanno suonata con i bonghi, battendo con qualunque cosa, regalandomi un’emozione grandissima.
Questa rubrica Invito al viaggio, ispirandosi alle parole di Sgalambro e Battiato, mi fa tornare in mente un ricordo. Mi trovavo al Convento de La Verna con i monaci, dove facevo dei concerti d’organo e dove due giorni dopo, ci sarebbe stato il concerto di Battiato. Stavo suonando nel tardo pomeriggio, nel cortile, quando si avvicinò Battiato e mi disse “Che bello, che cosa sta suonando?”. Io sorpreso dei complimenti, risposi Frescobaldi…
Che cosa chiedi alla musica?
Di non abbandonarmi, perché ho la certezza che vivrà al di là di me. Io non creo ma compongo. Le chiedo di azzittirmi, per lasciarle lo spazio di parlare e di ascoltarmi, ci guardiamo.
Il nuovo disco è concluso, ma non riesco ad immaginarti senza un “occupazione”. A cosa stai lavorando?
Sto scrivendo un valzer e un altro brano con un titolo in ebraico per orchestra e coro, di musica neoclassica. Per me è un antidepressivo naturale, o scrivo o studio testi antichi. Sono in continuo orientamento, riscoprirsi è bello e vitale.
Mi torna in mente una frase di Cesare Musatti, che diceva che il padre ogni giorno portava a casa qualcosa di nuovo e la moglie, la madre, la deponeva in un cassetto. Questo pensiero mi dà un senso di consapevolezza, di serenità che è saper custodire il proprio passato, rivedendolo, per trovare il futuro.
A malincuore, ci salutiamo e da quel reverenziale lei, dal quale siamo partiti, su questo sentiero fatto di parole, emozioni, ricordi e tutto il suo immenso sapere, siamo giunti ad un “tu”, sincero ed empatico di due viaggiatori che hanno condiviso una parte di strada. Ti ringrazio Maestro e attendo di intraprendere un altro meraviglioso viaggio con la tua musica e con L’Apostata. Grazie, Paola