Cerco di catturare il carattere di chi è nel mio obiettivo, concentrandomi sugli occhi, che non mentono mai

Federico Finotti: il ritratto è un passo a due
Federico Finotti: il ritratto è un passo a due – Cerco di catturare il carattere di chi è nel mio obiettivo, concentrandomi sugli occhi, che non mentono mai. Sono quelli che ci smascherano, che ci rivelano: sono lo specchio dell’anima

L’incontro con Federico Finotti, Bado per gli amici, è all’insegna della gentilezza e la stessa eleganza con cui firma i suoi scatti, che raccontano la passione e il rispetto per le persone e le loro anime. Un fotografo che ama i ritratti che sono – dice lui- un passo a due, dove ci deve essere intesa, dove il fotografo non solo deve vedere chi ha davanti, ma sentirne il profumo. Federico nato il 27 agosto del ‘71 in provincia di Ferrara, vive e lavora a Fusignano, Ravenna. Fa parte del Nuovo Circolo Fotografico che si fa promotore di tante iniziative perché la fotografia è comunicazione, è per tutti e ci apre al mondo.

Fotografo perché?

Perché forse non so disegnare, o forse perché mi ha sempre attratto la fotografia come possibilità di ritrarre il bello. Avevo quattordici, quindici anni quando ho cominciato a giocherellare con la macchina fotografica. Era ancora in pellicola e l’avvento del digitale, dapprima mi ha un po’ inibito: i tempi tra lo scatto e la fotografia, mi sembravano creare una sorta di vuoto e mi indisponeva. Il fotografo deve poter ritrarre al volo, quello che vede e non mi sembrava possibile. Poi, con l’evoluzione della tecnologia, ho imparato a lavorare col digitale, anche se, ancora oggi, per nostalgia utilizzo ogni tanto ancora la pellicola, che secondo me conserva sempre, un certo fascino.

Federico Finotti: il ritratto è un passo a due
Federico Finotti: il ritratto è un passo a due – con la fotografia ho spalancato le porte al mio sapere, imparando a vedere davvero e non solo guardare

Qual è il tuo rapporto con la fotografia?

Mi piace trasmettere un senso di pacatezza e con i miei scatti, cerco di comunicare pace, calma. Mille cose mi passano per la testa mentre sono davanti all’obiettivo e tendo a raggiungere io stesso, uno stato di tranquillità: è la mia “oasi”. Non mi interessa che arrivi la tecnica, ma che il mio stato d’animo arrivi a chi guarda. Per le fotografie di studio, sono maniacale e tutto deve essere perfetto con una ricerca della luce giusta e di una composizione armonica.

Quali sono gli scatti che preferisci?

I ritratti “rubati”, che in verità non sono del tutto rubati, perché chiedo sempre per rispetto della persona, il permesso di scattare. Quando incontro uno sguardo, un viso che mi colpisce, devo ritrarlo e gli regalo la mia interpretazione del suo viso, che credo sia un atto doveroso. Oltre ai ritratti, amo fotografare la danza, che è già di suo, eleganza e raffinatezza. Bellissima e complicata, perché è movimento, leggerezza e la fotografia non deve privarla di questo. La danza mi è di ispirazione anche nel resto delle fotografie, che devono poter avere la stessa “purezza”.

Federico Finotti: il ritratto è un passo a due
Federico Finotti: il ritratto è un passo a due – Paolo Gambi Poeta Anarchico

Quando guardi nell’obiettivo cosa cerchi?

Cerco di catturare il carattere di chi è nel mio obiettivo, concentrandomi sugli occhi, che non mentono mai. Sono quelli che ci smascherano, che ci rivelano: sono lo specchio dell’anima. Ne osservo la mimica, il come ci si pone col corpo è un indizio importante. Prima di scattare cerco di capire chi ho davanti, da dove viene, perché è venuto da me. Se invece è un incontro casuale e mi ha colpito, ha già vinto perché ha saputo, inconsapevolmente, attirare la mia attenzione. Mi piacciono le persone ed è nel mio carattere essere aperto allo scambio: un ritratto è un passo a due, dove l’intesa è necessaria per cogliere molto più che l’aspetto esteriore, l’involucro. È una persona, unica, che ha la sua storia e il suo profumo.

Che cosa chiedi alla fotografia?

Voglio poterle dedicare ancora il mio tempo e la mia energia, per progettare. Mi piacerebbe raccontare una bella storia, con un inizio e una fine. Un reportage di una generazione, o di qualcosa che non è ancora svelato. Mi fido e affido…

Federico Finotti: il ritratto è un passo a due
Oltre ai ritratti, amo fotografare la danza, che è già di suo, eleganza e raffinatezza

Che cosa ti ha dato la fotografia?

Un equilibrio e un amore incondizionato. Un modo per conoscere tante persone, tante realtà. Non leggo molto, ma con la fotografia ho spalancato le porte al mio sapere, imparando a vedere davvero e non solo guardare. Ha allenato il mio occhio, a cogliere i particolari, le sfumature. Mi ha spalancato la mente.

Con le tue fotografie che viaggio mi fai fare?

Umanistico, più che tra luoghi, tra le persone che sono quelle che danno il senso a qualunque paesaggio, lo colorano. La fotografia è uno strumento importante per comunicare, sostituisce le parole, ci apre al mondo e agli altri, ci mette in relazione. La fotografia, fa a meno delle parole, racconta, ricorda: un viaggio che si fa anche da fermi.

 il ritratto è un passo a due

Se dovessi definirti come fotografo cosa diresti di te?

Vorrei tendere a quello che Giovanni Gastel ha detto di sé, all’eleganza. Che è rispettosa, non forza mai la mano, non prevarica. Chi mi conosce dice di me che nella vita, con chiunque, so essere così, vorrei riuscirci anche con le fotografie, che sono quello che non dico.

Che rapporto hai con la postproduzione?

Cerco sempre comunque di arrivare dove voglio, solo con l’obiettivo. Poi certo, si corregge qualcosa, ma niente di più. La composizione è fondamentale, come la luce e cerco davvero di lavorare senza troppi magheggi. Mi sono innamorato della fotografia grazie alla pellicola e ancora oggi il mio modo di fotografare ne è condizionato, anche se conosco bene tutte le tecniche e continuo a studiarle, perché non si finisce mai di imparare.

 il ritratto è un passo a due

Ciao Federico, è stato un piacere chiacchierare con te e “vedere” il tuo amore per la fotografia. Un tono pacato, poche parole, essenziali e la capacità di mostrarti senza trucchi, con semplicità. Hai ragione, ognuno di noi, dovrebbe poter trovare il suo modo di comunicare, non importa quale sia il modo, ma importante è lo scopo: entrare in relazione con gli altri e aprire, spalancare la nostra mente e il nostro cuore.  

Grazie Bado, buon vento!

Jean Luc Umberto Bertoni un Editore in Viaggio. “Ho sempre concepito la mia vita senza confini, non mi creo confini o limiti. Dove è possibile fare, cerco di fare”

Invito al viaggio: Jean Luc Umberto Bertoni Jean Luc Umberto Bertoni Fare l’editore è un grande privilegio, perché hai la possibilità di leggere tante storie
Jean Luc Umberto Bertoni Fare l’editore è un grande privilegio, perché hai la possibilità di leggere tante storie

Ho incontrato Jean Luc Umberto Bertoni, in viaggio, appunto. L’occasione è stata la presentazione di un cortometraggio, tratto da un romanzo edito proprio dalla Bertoni Editore. Nonostante arrivasse da Perugia, passando per Roma e con qualche imprevisto ferroviario e una palese stanchezza, Jean Luc, mi colpì per la sua spontanea capacità di dialogo e il suo divertito racconto.

Prima che mi fosse presentato, (avessi fatto una scommessa, l’avrei persa) mai avrei immaginato che fosse l’editore in persona. Eppure, quando, chiamato in causa, ha cominciato a parlare del libro e di quanta bellezza si possa spargere con le parole, di quante cose buone si possano fare, non avrei più avuto alcun dubbio.

Era lui l’anima della Casa Editrice, quello che ci metteva non solo la faccia, ma anche l’anima e il cuore. Oggi ho voluto condividere la sua storia, perché penso che si abbia bisogno di credere possibile anche l’improbabile. Con la voglia di fare, con determinazione e pazienza, con l’aiuto degli altri (che è fondamentale), si possono costruire sogni, che per questo diventano progetti.

Come e perché diventi editore?

L’attività di pubblicare libri parte da lontano, in tempi non sospetti, quando ancora avevo un centro culturale, La Minerva Etrusca. Inoltre, nel mio passato ho avuto anche una grande tipografia in Umbria, dove mi sono occupato da sempre di grafica e comunicazione. La cultura, lo spettacolo, il sociale sono sempre stati il mio pallino; quindi, pubblico bene o male, da circa trent’anni. Il marchio Bertone Editore, invece, nasce molto più recentemente, cinque anni fa, anni fa nel 2016, quando facevo ancora il consulente nel terzo settore.

È stata la pubblicazione di un libro a segnare la svolta: Tu con me, è la storia vera di Roberta Salvati scritta da lei e dalla giornalista Veronica Fermani, che racconta l’altra faccia del cancro, quella della vita che esplode all’improvviso, dell’amore incondizionato, della bellezza di una giornata di pioggia, di uno starnuto, di una passeggiata all’aria aperta.

Questo libro ci ha stravolto l’ufficio, è stata un’onda incredibile che mi ha spinto a dedicarmi completamente, ad un’idea, al sogno che avevo da sempre, ma che pensavo di realizzare più avanti. Il bello della vita è proprio questa sua imprevedibilità, che spesso ci spinge ad osare come non avremmo immaginato. Da lì mi sono dedicato totalmente ai libri.

Jean Luc Umberto Bertoni, un nome che è già una storia: me la racconti?

I miei genitori andarono in Francia per ragioni diverse, mio padre perché i suoi vi si trasferirono, mai mamma per amore. Sono nato in Francia e di lì, Jean Luc, poi Umberto perché era il nome del nonno. Ad un certo punto i miei decisero di tornare in Italia e, per questo, mandarono avanti me.

Ho vissuto da dieci a diciannove anni con mia nonna in un paesino nell’entroterra di Perugia, dove ho frequentato l’oratorio, le associazioni giovanili. Il primo lavoro retribuito me lo commissionò a sedici anni l’AVIS, per la quale feci un calendario. Diciamo che il mio interesse è sempre stato per il terzo settore, il volontariato, la cultura in genere e il viaggio, una componente importante del mio modo di essere.

Invito al viaggio: Jean Luc Umberto Bertoni
La lettura è la forma di evasione più sana. La lettura ti fa viaggiare, placa le ansie, ti permette di “prenderti” una pausa dalla routine quotidiana, dagli impegni. Leggere è prendersi cura di sé

Editore in Viaggio: perché ti definisci così?

Fare l’editore è un grande privilegio, perché hai la possibilità di leggere tante storie (e fa tanto bene!), poi farlo come faccio io, ancora di più. Prima del Covid per seguire le tante fiere, i festival, le rassegne, le presentazioni ed essere a fianco dei tanti autori sparsi in tutta Italia, facevo più di 50000 Km, praticamente ero sempre con la valigia in mano.

Questo è il viaggio fisico, anche se il più importante, credo sia quello mentale. Siamo sempre in fermento con nuovi progetti, quindi fermi, mai. La lettura stessa è “il viaggio”. Quelli che si avvicinano al mondo del libro, come della musica, dell’arte, sono persone già dotate di una certa sensibilità e questa è una grande fortuna. In ogni viaggio che faccio, ho la possibilità di crescere, di raccogliere altre storie dalle tante persone che incontro, quelle dei luoghi, della tradizione, in una scoperta continua ed inesauribile.

Con la sincerità che ti contraddistingue, dimmi, che editore sei?

Anomalo, non sono mai dietro la scrivania, non mando avanti gli altri. Non sarò mai quello che decide ma manda avanti curatori, selezionatori. A me piace pubblicare quello che mi piace leggere. Questo è un mestiere che se non hai passione, è meglio non fare: spesso si combatte con montagne di scartoffie e problemi; senza il “fuoco sacro”, è meglio lasciar perdere.

Ci sono tante cose da gestire, ma sono orgoglioso dei miei collaboratori: questo è un progetto di squadra, dove ognuno è parte importante e fondamentale. Oggi sono felice che mio figlio, che ho lasciato libero di scegliere, dopo altre esperienze, abbia deciso di entrare nel gruppo. Il suo è un occhio critico che ha portato nuova linfa e arricchisce di molto il mio lavoro.

Pochi giorni fa, facevo una riflessione, molto personale e mi sono detto che, nella vita, con le mie scelte, ho voluto tenere distanti da me certe brutture. Sono un cultore del bello, che mi prefisso di portare ovunque, o almeno ci provo. Credo che sia una responsabilità che non si possa delegare, un impegno e un dovere.

 Quando vedo un bambino sfogliare un nostro libro, provo la soddisfazione più grande
Jean Luc Umberto Bertoni Quando vedo un bambino sfogliare un nostro libro, provo la soddisfazione più grande

Il tuo lettore preferito?

Quando vedo un bambino sfogliare un nostro libro, provo la soddisfazione più grande. Probabilmente, ci saranno periodi in cui si allontanerà dalla lettura, ma quel seme, magari lo farà tornare ad interessarsi dei libri. Un segnale importante, perché sono proprio loro il nostro futuro e la nostra speranza.

La Bertoni Editore di cosa si occupa?

La Casa Editrice è un po’ il mio alter ego, perciò, seguiamo tante tematiche sociali sia con la narrativa che con le biografie di artisti come Paolo Vallesi, Alessandro Canino, di Valeria Rossi (Sole Cuore, Amore), o ancora, quella di Cristiana Ciacci, Mio padre Little Tony, dove si possono toccare tematiche importanti.

Un esempio è l’anoressia, una delle problematiche più diffuse e le pubblicazioni possono essere un valido aiuto, non solo per chi ne soffre, ma anche per le famiglie e questa, è la soddisfazione più grande. Per i bambini ci siamo specializzati con una collana indirizzata a bambini dislessici o con problemi di autismo, che grazie a lettere e simboli, imparano a leggere autonomamente.

Mi considero molto fortunato, a volte penso una tematica che mi piacerebbe affrontare come editore e poi poco dopo mi viene fatta una proposta… che sia il caso o il destino, sta di fatto che non so nemmeno io come arrivano, ma arrivano.

Quanto è importante leggere?

La lettura non è solo un arricchimento personale, ma un esercizio all’empatia. Inoltre, secondo me, l’uomo ha bisogno di evadere dalla realtà e la lettura è la forma di evasione più sana. La lettura ti fa viaggiare, placa le ansie, ti permette di “prenderti” una pausa dalla routine quotidiana, dagli impegni. Leggere è prendersi cura di sé.

Sei più imprenditore o sognatore?

Pensa che in un periodo della mia vita, sono stato anche un inventore, ho fatto una scatola a soffietto in un unico pezzo che includeva anche il coperchio, una cappa particolare, insomma due, tre idee, che mi hanno fatto vivere bene qualche anno. Non sono un bravo imprenditore, sono un “imprendi-sognatore”.

Ma soprattutto mi considero un uomo libero, da tutti i punti di vista. Ho sempre espresso il mio pensiero, ho sempre fatto le mie considerazioni, in qualunque situazione o ambiente. Faccio fatica a seguire dei diktat, anche per il servizio militare, potendo scegliere, scelsi l’obiezione di coscienza.

Il rammarico più grande?

Quello che a me dispiace di più è che oggi troviamo persone, che non solo non leggono, ma se ne vantano. Questo è terribile. Il dubbio è la base del nostro crescere e la curiosità ci mantiene giovani, alimenta e stimola la nostra anima. Chi crede di avere la verità in tasca, ha già finito di “vivere”. Ci sono novantenni che sono più giovani dei giovani.

C’è qualcuno o qualcosa che ti ha ispirato a fare l’editore?

Se oggi faccio l’editore lo devo anche alla bibliotecaria del mio paese, Eleonora, una donna simpatica e accogliente e a Luigi Pirandello, il primo grande autore che ho letto. A lui e al suo pensiero critico, sono molto legato come a Uno, nessuno e centomila, su tutti.

Invito al viaggio: Jean Luc Umberto Bertoni La lettura non è solo un arricchimento personale, ma un esercizio all’empatia
Jean Luc Umberto Bertoni La lettura non è solo un arricchimento personale, ma un esercizio all’empatia

Ritornano le fiere del libro in presenza, è un segnale importante per la ripartenza?

Sono stato a Torino, dove abbiamo respirato una bella atmosfera positiva. Tante pubblicazioni e soprattutto la voglia d fare. Ora siamo alla vigilia della fiera di Roma, per la quale c’è un po’ di tensione, da parte di tutti ma siamo speranzosi. La speranza non manca mai e anche nei periodi bui, ci sono lampi di speranza; nella pandemia, per esempio, molti genitori hanno trovato il tempo, di leggere i libri con i loro bambini. Una cosa che dovrebbe essere normale, ma purtroppo non lo è.

Se potessi esprimere un desiderio?

Tante cose…L’invito che faccio spesso, è di leggere ad alta voce in casa ed anche alle persone anziane, per le quali la lettura è come una carezza. Dedicare un po’ di tempo a persone sole, che non sono in grado di leggere, è davvero importante. Sono convinto che faccia del bene anche a chi legge, perché si impara tanto, si conserva la memoria, si conosce la storia da chi l’ha fatta, da chi l’ha vissuta. Non è mai a senso unico, si dà, ma si riceve forse di più. Poi vorrei che le Biblioteche e librerie, fossero considerate polmoni delle città e come tali, tutelati e preservati come se fossero dei “luoghi di culto”.

Un viaggio “buono” al nostro amico editore e una buona lettura a tutti

“La fotografia per me non è una passione, ma Amore”

Invito al viaggio: Federico Cervellieri foto di gruppo dei Barber
Federico Cervellieri © scatto di gruppo per i Barber dopo un esibizione

Federico Cervellieri ha probabilmente scritto nel DNA, quella che lui non chiama passione, ma profonda dedizione per la fotografia. Il nonno, il papà e la zia hanno “seminato” in lui qualcosa che però, ha avuto bisogno di tempo per fare radici in uno spirito libero e introverso come quello di Federico. Una tradizione di famiglia che comincia nel 1890, con il primo studio di stampa a Trastevere per consolidarsi e trovare nuova linfa attraverso gli occhi e l’obiettivo di Federico. Luci e ombre, sono protagoniste nei suoi scatti, che raccontano persone attraverso sorrisi, “lampi” di un’emozione che spesso non si mostra all’occhio distratto di chi guarda. Paziente, ma soprattutto attento a cogliere proprio quei barlumi, Federico, non ama firmare le sue fotografie, ma fare in modo che siano riconoscibili.

Federico, fotografo per tradizione o per scelta?

Credo che sia per entrambe le cose. È innegabile che la fotografia scorra in qualche modo nelle mie vene, mio nonno ha aperto proprio nel cuore di Roma, il primo studio di stampa. In seguito, la mia famiglia si trasferì in Abruzzo, dove si sono occupati di eventi e reportage. Io ho fatto il giro lungo, vissuto un’altra vita in cui ho fatto il barman. Giocherellavo con le macchine fotografiche, ma evidentemente, ho dovuto fare un po’ di strada.

Invito al viaggio: Federico Cervellieri la malinconica allegria del blues durante rock per uno scatto
Federico Cervellieri © La malinconica allegria del blues durante “rock per uno scatto”

Quando e come la fotografia ha preso il sopravvento?

Un po’ alla volta, mi ha conquistato e come succede per l’amore vero, non ho avuto scampo. Qualcosa che covava sotto le ceneri, dentro di me, si è alimentato attraverso le esperienze maturate, tutte, hanno avuto il loro perché. Ero in Australia facevo reportage, ma le persone erano quelle che mi attiravano di più. Anche il mestiere di barman non è casuale e l’incontro con le persone e la loro psiche, mi hanno fatto innamorare. Mi piace riuscire a svelare e sorprendere, chi non riesce a mostrarsi del tutto: questa è la mia sfida. Sono partito dal nulla con una passione che avevo nel sangue ma da reinventare; questo oggi, da più di sette anni è il mio mestiere e sono felice di aver “riportato” un pezzetto di quella radice che aveva piantato mio nonno in Trastevere, di nuovo qui a Roma.

C’è un ambito, una confort zone dove ti senti più a tuo agio con la tua fotografia?

La mia attenzione si rivolge alla musica soprattutto, perché è lì che mi sento più a mio agio. Ho sempre amato la musica e con pazienza e determinazione, frequentando i luoghi dove si fa musica, ho cercato contatti ai quali mi sono proposto. È stata la fotografia stessa a ripagare i miei sforzi e con il passa parola, mi sono fatto il mio spazio. La moda è un altro ambito che mi piace molto, perché i modelli, per mestiere, tendono a nascondere la loro personalità stuzzicando la mia voglia di svelarla.

Invito al viaggio: un concerto e la bellezza di un errore di messa a fuoco
Federico Cervellieri © un concerto e la bellezza di un errore di messa a fuoco

Musica e fotografia: Rock’n Art + Rock per uno Scatto

Rock’n Art + Rock per uno Scatto per uno scatto nasce dall’incontro artistico tra Riccardo Nifosì, ideatore diRock’n Art una rassegna di arte e musica e la mia “creazione, Rock per uno Scatto. Chiacchierando del suo evento abbiamo pensato di includere Rock per uno Scatto. Questa mia idea nasce dalla voglia di dare la possibilità di liberarsi di ogni inibizione, fosse anche solo per uno scatto. Un modo per rivedersi, potendo andare oltre le proprie paure, “specchiandosi” in un io che spesso, per i pregiudizi dettati dalla società, non riusciamo ad esprimere. La nostra simbiosi si è trasformata in stimata amicizia e una collaborazione, dove continuiamo a convogliare idee, portando avanti le nostre amate professioni, come videomaker Riccardo ed io come fotografo, con la complicità della musica.

Quando non lavori, lasci la macchina fotografica a casa, o sei uno di quelli che non se ne separa mai?

Cerco sempre di averla con me, se qualcosa attira la mia attenzione, devo poter catturare quell’immagine, magari di uno sconosciuto, in uno scatto al volo: talvolta è proprio quello l’attimo fuggente da cogliere, quello che mi regala stupore e meraviglia.

Invito al viaggio: il chitarrista di Fasma Red durante la preparazione prima del video clip
Federico Cervellieri © il chitarrista di Fasma Red durante la preparazione prima del video clip

Quando fotografi cosa cerchi?

Il mio primo obiettivo è entrare in contatto con la personalità dell’artista, senza obbligarlo a fare cose che non gli appartengono. Comprenderlo, senza spingerlo. Il tempo è tiranno, è poco, ma bisogna ottenere il massimo. Con tanti di loro, fortunatamente, si instaura un bel feeling, grazie al quale, la sua libertà di espressione, rimane al centro. Aspetto il momento in cui il corpo si rilassa e si lascia andare e il mio clic, deve coglierlo.

Che rapporto hai con la post- produzione?

Sono nato con la pellicola dove non si poteva fare più di tanto. Lo scatto è l’attimo da cogliere, che poi va, fugge. Dopo è finzione, la post- produzione se portata agli eccessi, non fa per me.  Mi piace lavorare con le luci e prediligo i chiaroscuri, che possono sottolineare e dare risalto, sfumature invisibili agli occhi. Mi piace conferire alla composizione una certa teatralità. Non mi piace la firma sotto la foto, ma mi piace fare in modo che chi guarda, con un’occhiata, la riconosca come mia.

Invito al viaggio: Federico Cervellieri un lottatore di MMA per uno shooting su richiesta la seconda e ultima in bianco e nero
Federico Cervellieri un lottatore di MMA per uno shooting su richiesta la seconda e ultima in bianco e nero

Ami farti fotografare?

Mi ritraggo da solo, per capire meglio certe dinamiche, per studio, ma diversamente se mi metti in posa, mi metti in soggezione. Preferisco il dietro le quinte.

Con te che viaggio facciamo?

Il mio viaggio fotografico è quello dei colori, la mia vita è in bianco e nero. Il mondo è fatto di colori, mentre dentro di me, non ci sono mezze misure. Sono molto introspettivo e riservato, ma quando scatto, lo faccio a colori. Ho provato il bianco e nero, in un solo scatto, che piace, ma quando la riguardo non la vedo, non mi appartiene.

Invito al viaggio: Federico Cervellieri una ballerina di samba
Federico Cervellieri una ballerina di samba

Che cosa chiedi alla fotografia?

Chiedo a me stesso attraverso la fotografia di cogliere quello che mi circonda, soprattutto di far sorridere le persone, scardinando anche le introversioni, le diffidenze, che forse sono anche le mie.

Cambieresti qualcosa del tuo percorso?

Sono felice del mio oggi e non rimpiango niente. Sono convinto che tutto quello che ho fatto, avesse come scopo di portarmi qui.

Invito al viaggio: Federico Cervellieri The Core durante uno shooting per il loro album2
Federico Cervellieri The Core durante uno shooting

Cos’è la fotografia in una parola per te?

Amore, amore vero. Non è passione, non è un innamoramento che come si accende, si spegne, si esaurisce. Credo di più nella dedizione, giorno dopo giorno, quella che costruisce un rapporto, che ti fa crescere. Una relazione per la vita, appunto. Il fotografo è come un pittore, ma a differenza del pittore che dipinge quello che ha in mente, il fotografo ha in mente il dipinto e lo cerca per fotografarlo.

“Sono un libro aperto, esplodo e non implodo, mai.”

Invito al viaggio: Emilia Di Maggio tra pittura e fotografia
Invito al viaggio: Emilia Di Maggio tra pittura e fotografia – autoscatto, quando mi sperimentavo fotografandomi

Emilia Di Maggio è una siciliana passionale ed istintiva che esplora con le sue fotografie l’animo umano. Parlando con lei, capisco perché tante donne la scelgano per farsi ritrarre, anche spogliate. Di Emilia si percepisce subito la determinazione, che non sfocia mai in prevaricazione, ma avvolge e rassicura.

L’arte la fa sua, dapprima con la pittura per poi chiamarla a fissare le immagini con la macchina fotografica. In lei c’è un connubio esplosivo di passione, colori, pennellate con le quali “firma” le sue fotografie. Un fiume in piena, una donna che ha tanto da raccontare e lo fa senza risparmiarsi.

Chi è Emilia Di Maggio?

Spero di avere ancora tanto tempo per scoprirlo, mi auguro di trovare nuove sfumature. Io vivo di sfumature, rimango affascinata costantemente di passionalità e istinto. Sono una donna tenace, che qualche volta ha temuto di non crederci abbastanza, ma alla fine ha deciso di lasciarsi andare. Vivo di passione e arraffo dovunque ce ne sia.

Invito al viaggio: Emilia Di Maggio tra pittura e fotografia "Cammino"
Dal progetto “Sospensioni dell’anima”. “Cammino”, una delle immagini che amo di più. Percorso dedicato alle donne e alla loro sottomessa sofferenza

Dove affondano le tue radici?

Sono siciliana, nasco il 15 gennaio del’75 nel paese di mia madre ad Alcamo in provincia di Trapani. Rimane sempre il bello se quello che hai vissuto lo hai vissuto bene: io amo profondamente la mia terra e vado fiera delle mie radici.

Come e perché la fotografia?

Mi è sempre piaciuto guardare e immortalare quello che i miei occhi vedono. All’inizio ho utilizzato la pittura, poi quasi per caso, è affiorato un desiderio che era rimasto in disparte. In fondo era la stessa voglia di “raccontare” con i miei pennelli, ma ad un certo punto mi sono scoperta attratta e divertita dalla macchina fotografica.

La pittura, in fondo, mi isolava. Era meraviglioso lavorare con i miei colori, ma per fare questo mi rendevo conto che stavo troppo sola. Piano piano è emersa la mia voglia di stare con gli altri e la fotografia, mi obbligava, mi spingeva a “dialogare” in modo diverso relazionandomi con il mondo al di fuori di me.

L’inizio è stata pura sperimentazione, ho fotografato amici, sconosciuti e questo mi faceva stare in compagnia, quella che mi mancava. Forse, era destino che il disegno mi portasse a sperimentare la solitudine, spingendomi poi a trovare un altro modo di ritrarre.

Invito al viaggio: tra pittura e fotografia Cover degli Eufonia
Invito al viaggio: Emilia Di Maggio tra pittura e fotografia Cover degli Eufonia

Emilia, con te che viaggio si fa?

Sono stata definita da alcuni amici, visionaria. Mi piace viaggiare non importa se ad occhi aperti o chiusi…. Le mie fotografie, quelle che scatto liberamente, al di fuori del lavoro, sono quelle che mi permettono di arrivare alla mia essenza.

È un viaggio tra i miei pensieri, quello che ascolto dagli altri, dalla cronaca, traducendo le mie sensazioni (sono un po’ dark). Sono messaggi che non sempre arrivano come li avevo pensati, ma arrivano.

Mi è capitato di ascoltare dei commenti, tra il pubblico di una mia mostra e mi ha sorpreso e resa felice, capire che loro riuscivano ad andare oltre il mio intento, sorprendendomi. Questo, ti confesso, mi rende davvero felice.

La mia fotografia concettuale, si serve dell’immaginario per creare immagini che per quello che va di corsa è nuda e cruda, astratta, ma a chi si ferma, offre nuovi punti di vista anche a me ed è meraviglioso. Lo stupore è fondamentale, sempre.

Emilia fotografa e make-up artist, con la passione per il teatro…

Vero! Sono anche una make-up artist che se ci pensi bene è corollario delle mie competenze. Credo che il trucco in una fotografia, sia un’altra componente fondamentale, come la luce giusta. Tutto è in qualche modo collegato e passa attraverso la mia passione per il teatro dove ho fatto anche la regia e che mi ha regalato la voglia di raccontare con immagini, costumi, scenografie.

Un esercizio che sul set fotografico ha la sua importanza. Io non nasco nell’analogico, quindi mi è mancata quella magia che tanti dicono avesse. Io mi avvalgo e mi affido al mio gusto, che arriva dalla pittura. Quella pennellata da pittrice, non riesco a metterla da parte, quindi mi piace metterci qualcosa di mio.

Cosa chiedi alla fotografia?

Chiedo di lasciarmi sfogare, coltivando la speranza di lasciare qualcosa, se possibile, agli altri. Mi piacerebbe che chi si è fatto ritrarre da me, possa nel tempo, riguardare quel ricordo e non dimenticarSi, grazie anche a quel mio lavoro.

Invito al viaggio: tra pittura e fotografia "Angelus"
Dal progetto Te Deum Laudamus una delle tre immagini dove evoco questi tempi di Covid 19, che tanto mi ricordano la peste. Questa è “Angelus”

Quando la fotografia è diventata il tuo mestiere, hai dovuto scendere a compromessi con la tua arte?

Per vivere, di questo bisogna piegare e proiettare la passione in una direzione che possa anche “darti da mangiare”. Ho indirizzato il mio interesse verso le famiglie, le donne i bambini. Un settore che mi permette di indagare nell’animo umano.

Mi dedico alla Fine art che si avvicina molto alla mia attitudine al disegno e coniuga la mia vena pittorica, accarezzando le corde dell’evocazione.

Poi ho scelto di trasferirmi a Ferrara, dove la ritrattistica e il mio modo di concepire la fotografia sono meglio comprese. Pensa che la settimana prossima verranno due diverse famiglie dal mio paese, per farsi ritrarre. Questa è per me una grande soddisfazione!

Ti definisci una ritrattista?

Ho scelto il ritratto, perché mi attira poter delineare la personalità, il carattere, l’anima del mio soggetto. Ogni volta è un nuovo viaggio; tante sono le donne che si rivolgono a me per un nudo d’autore e spesso non sono né perfette, né particolarmente giovani.

Una bella sfida per me che vado fiera che si affidino al mio “occhio” per farlo. Non amo fotografare cose, ma persone. Ho bisogno di un’anima, di uno scambio.

Le fotografie di Daria Biancardi vogliono essere proprio quello. Lei cantava, era una serata tra amici e ho cercato di cogliere la sua meravigliosa essenza, non solo l’artista ma la donna.

Invito al viaggio: Emilia Di Maggio tra pittura e fotografia Daria Biancardi
Invito al viaggio: Emilia Di Maggio tra pittura e fotografia Daria Biancardi

Se potessi tornare indietro cambieresti qualcosa?

Se guardo le mie fotografie, trovo qualcosa che cambierei in alcune, mentre in altre no. In entrambi i casi mi rendo conto dell’evoluzione che c’è. Ci sono fotografie che non riuscirei mai più a fare così, perché le cose scorrono, cambiano.

Spesso racchiudono un momento, una motivazione fatta di spilli e petali: un’energia che non era del tutto positiva, ma sfogo.

Sospensione dell’anima, è uno di questi: una raccolta di dieci fotografie, sul femminicidio. C’è stato un periodo in cui mi sono autoritratta attraverso degli autoscatti, analizzandomi. Era un periodo così, quelle foto lì non le cambierei mai. Quello era e quello testimoniano. Si produce di più quando si sta male, purtroppo.

Invito al viaggio: Emilia Di Maggio tra pittura e fotografia

Oggi sono un po’ più felice e faccio altre cose, tecnicamente sono migliorata, ma le fotografie che ho scattato, sono parte del mio bagaglio, del mio vissuto. Tutto quello mi ha attraversato in qualche modo l’ho filtrato e lasciato andare. Credo che sia fondamentale fare tesoro delle esperienze ed elaborarle.

Non tornerei mai indietro. Se devo pensare a me, è chiaro che ero più carina vent’anni fa, lo riconosco. Ma voglio andare avanti e mai indietro. Io mi godo tutto quello che mi sono conquistata, questa consapevolezza e tutto quello che ho costruito. Vorrei solo tornare indietro per riabbracciare mia madre.

Colore o bianco e nero?

Il bianco basterebbe, che è luce e scomposizione dei colori. Ma non mi basta, ho bisogno di nero, che spesso prevale. Cerco di filtrarlo. Il resto dei colori è una conseguenza del bianco che li contiene tutti. Ho avuto un periodo di grande ricerca del bianco e nero, con il quale secondo me si dicono cose che difficilmente si possono dire con i colori.

Il bianco e nero non si può cambiare in corsa, ci vuole una luce particolare e degli accorgimenti. Oggi mi servo delle caratteristiche giuste per utilizzare il colore, che nella Fine Art è fondamentale. Amando la pittura mi piace virare il colore, arricchendolo. Tendo a tonalizzarlo come fa un pittore sulla tavolozza, in fondo coniugo la pittura e la fotografia, che sono la mia grande passione.

Invito al viaggio: Emilia Di Maggio tra pittura e fotografia - Fine art dedicata ai bambini
Invito al viaggio: Emilia Di Maggio tra pittura e fotografia – Fine art dedicata ai bambini

Una fotografa e un video maker…

Un binomio vincente! Scherzi a parte, sono grata al mio compagno, Simone Paruta che è un bravissimo video maker. Perché se è vero che non è tutto rose e fiori, vivere, e lavorare insieme, è inconfutabile che ci motiviamo a vicenda e insieme siamo migliori.

Siamo critici, ci diciamo qualunque cosa, anche aspramente, ma evidentemente tra noi c’è un legame forte e qualcosa di speciale… A lui sono davvero grata per avermi spinta e sostenuta in questo sogno che è diventato il mio mestiere.

La fotografia è racconto, memoria, traccia ma qualche volta, è poesia

Invito al viaggio: Gianfranco Jannuzzo Giuseppe Sanzo
Invito al viaggio: Gianfranco Jannuzzo – Agrigento, 21 luglio 1979 – Giuseppe in groppa al suo asinello

Gianfranco Jannuzzo, ho avuto la fortuna di ammirarlo più volte a teatro, dove ne ho apprezzato la sua innata eleganza. Un attore sorprendente che può far sorridere o riflettere, ma in entrambi i casi e a prescindere dal testo, riesce ad entrare in confidenza con il suo pubblico. Una conferma scoprire la sua passione per la fotografia, dove non mi ha meravigliato ritrovare la sua “essenza” in immagini che sono pura poesia, dove il bianco e nero ha la sua stessa signorilità.

Una sensibilità esercitata su tanti palcoscenici, che arriva di certo dalla sua amata Girgenti, dalla sua famiglia che ha tessuto una trama di affetti che ancora lo anima. Il nostro incontro, questo breve, intenso viaggio che mi ha permesso di fare con lui, è stato a dir poco sorprendente. Ancora una volta ho toccato con mano come la grandezza dell’arte, sia proprio quella di abbattere ogni umana demarcazione, ogni confine, ogni muro.

L’arte non si rinchiude né si limita e Gianfranco, o Iannuzzo come spesso viene chiamato, ne è la riprova. È uscito da poco il suo libro fotografico Gente mia, a cura di Angelo Pitrone edito da Medianova, dove racconta la sua Girgenti (Agrigento) con scatti realizzati a partire dagli anni ’70, fino agli ultimi del 2020, dove mostra, ancora una volta la sua sensibilità come uomo e come artista.

Invito al viaggio: Agrigento, 29 ago 1979- Via Santa Maria dei Greci
Invito al viaggio: Gianfranco Jannuzzo – Agrigento, 29 ago 1979- Via Santa Maria dei Greci

Ti ho visto tante volte a teatro, dove mi ha sempre affascinato il tuo eclettismo e non posso non esprimerti tutta la mia ammirazione…

Ti ringrazio e mi fai arrossire, ma accetto di buon grado un complimento che sento sincero. Ho studiato tutta la vita per potere ottenere questo eclettismo che mi riconosci, uno dei complimenti più belli che si possa fare ad un attore. Avendo studiato con il più grande di tutti, il paradigma assoluto dell’eclettismo in Italia, Gigi Proietti, l’ho imparato e questa patente, me la tengo ben stretta.

Spesso in teatro, ho avuto la sensazione di spiazzare il pubblico, perché ho studiato allo stesso modo testi di Shakespeare e Pirandello, o di Iannuzzo. Ma il teatro è magico e il rapporto con il pubblico, speciale. Ho avuto il privilegio di imparare da Gigi e da tutti i grandi con i quali ho lavorato e sono riconoscente a tutti loro.

 

Recitazione e fotografia, questo è il dilemma?

La passione per la fotografia e la recitazione, vanno di pari passo e sono nate insieme. Già qualche anno prima di decidere di fare l’attore, facevo ritratti ai miei amici, che non mi sopportavano più e si scansavano quando mi vedevano arrivare con la macchina fotografica. (Gianfranco se ne esce con una frase in dialetto agrigentino che vorrei farvi sentire!) La voglia di fotografare i volti, la gente è sempre stata forte e innata. Tutte e due le cose, recitare e fotografare, rispondono alla stessa esigenza di comunicare con gli altri.

Invito al viaggio: Leone (AG), 15 ago 1979- Venditore di fichi d'india
Invito al viaggio: Gianfranco Jannuzzo – Leone (AG), 15 ago 1979- Venditore di fichi d’india

Come nasce questo libro?

Il libro nasce per caso e dalla benevolenza di un mio amico carissimo Ryuichi Watanabe, proprietario della New Old Camera di Milano, che è diventato il punto di riferimento di tanti e dei più grandi fotografi professionisti e dove il 27 di ottobre, lo presenterò. A rendere possibile il progetto, l’amico Antonio Liotta che oltre ad essere medico, ha la passione per l’editoria e lo ha edito con Medianova.

La cosa più difficile è stato scegliere, tra le tante collezionate, perché per me erano tutte importanti e preziose. Mi ha aiutato un amico fotografo professionista di Agrigento, Angelo Pitrone che ne ha curato magistralmente anche la prefazione, costringendomi a farne una scelta crudele, insegnandomi a scriverne un racconto.

Invito al viaggio: Gianfranco Jannuzzo

Gente mia è un racconto senza parole, dove le immagini si sostituiscono alla parola scritta …

Sì, è un racconto dove a corredo delle immagini ho voluto scrivere qualcosa di biografico, che va contro la mia naturale riservatezza, ma come in teatro, ho superato per esigenze di “incontro”. Io ricerco il rapporto con le persone in un viaggio attraverso sentimenti che sono di tutti. Il complimento più bello che mi viene riconosciuto in questo libro è che sono fotografie concesse, non rubate. Non si dovrebbe chiedere, Henri Cartier – Bresson, uno dei mostri sacri della fotografia, si rivolterebbe nella tomba.

Invito al viaggio: Carmelo e la moglie ricomprano la loro casa
Invito al viaggio: Gianfranco Jannuzzo – Agrigento, 7 Ago 2020 Carmelo e la moglie Emigrati in Belgio tornano dopo quarant’anni e ricomprano la casa che avevano dovuto vendere

Mi hanno fatto entrare nelle loro case, mostrandomi il meglio, quello che hanno di più prezioso. A quel punto, si è aperto un mondo. Una tra tutte, c’è una fotografia dove vedi due persone sul balcone, lui a torso nudo, che si sono tenuti la mano per tutto il tempo. Loro nel centro storico della mia Agrigento, che io chiamo Girgenti perché questo era il suo nome, nella parte alta quella araba, sono tornati dopo essere emigrati in Belgio per lavorare nelle miniere.

Così facendo hanno sistemato quattro figli che grazie al loro sacrificio, si sono laureati. Dopo aver assolto i loro doveri di genitori, sono voluti tornare a casa, ricomprando proprio quella che avevano venduto. Una storia bellissima di cui come agrigentino, ma anche come italiano sono fiero.

Un fenomeno che non riguarda solo noi meridionali o il mio orticello del centro storico agrigentino, per fortuna, ma tutta l’Italia. Sono grato al lettore del libro e allo spettatore che viene a teatro, per la certezza che mi danno di come questi sentimenti siano comuni a tutti noi. Siamo orgogliosi di essere italiani anche se ogni tanto, ce ne dimentichiamo. Queste fotografie raccontano storie, con davvero poche parole.

Un viaggio a ritroso per ritrovare i luoghi dove sei nato e dove affondano le tue radici. Una raccolta di immagini scattate a partire dagli anni ’70, fino al 2020…

Andavo a visitare posti dove mamma e papà erano nati, quando tornavo ogni estate, ad Agrigento.  Ci eravamo infatti trasferiti a Roma, quando io avevo solo dodici anni, primo di cinque fratelli; un trasferimento che decisero per avere una sede universitaria, quando fosse arrivato il momento. Appena fui in età di innamoramenti fotografici con le prime macchine, romanticamente, tornavo dove i miei genitori Giuseppe e Liliana, avevano vissuto.

Invito al viaggio: Roma , 24 Mar 1979 Autoritratto
Invito al viaggio: Gianfranco Jannuzzo – Roma , 24 Mar 1979 Autoritratto

Papà viveva in un quartiere arabo sulla collina detto Santa Maria dei Greci, che prende il nome da una cattedrale bizantina; mamma invece, abitava in un quartiere più elegante, uno di quelli che se la tirano un po’, con i viali dove si andava a fare lo struscio. Mamma e papà si sono amati moltissimo anche se provenivano da luoghi così diversi e apparentemente estranei.

Dopo quasi quarant’anni sono tornato a fotografare ad Agrigento, che non ha perso la sua anima, anche se sono spariti il maniscalco, l’impagliatore di sedie e al loro posto ci sono degli stranieri, che noi agrigentini abbiamo accolto con naturalezza e il rispetto dovuto, consapevoli come sia doloroso sempre e comunque lasciare la propria terra.

Pensa che abbiamo dato il cuore ad un Santo nero, San Calò, anche se il santo patrono sarebbe San Gerlando, alto e biondo. Potevo evitare di affermare che Agrigento è la città più bella del mondo…ma non ho resistito! Gente mia è un libro per raccontare l’amore per le persone, i luoghi, gli oggetti.

Che tipo di viaggio si fa con la tua fotografia?

Attraverso l’imprescindibilità del rapporto umano. Ho prodotto tante fotografie, ma quando mi è stato proposto da alcuni amici il censimento dei cortili di Agrigento, io ho risposto volentieri, ma di quei cortili voglio fotografare chi ci vive. Tutti quelli che vivono nei cortili, nei centri storici, sono un po’ degli eroi.

Perché sono case faticose, che necessitano di restauri accurati, ma vuoi mettere la bellezza di quei balconcini con grate barocche, dei vecchi portali fatti da maestri scalpellini greci, bizantini? Le facce, lo sguardo di chi mi apriva casa, invitandomi ad entrare. L’ospitalità è il dono più prezioso, impareggiabile.

Invito al viaggio: Gianfranco Jannuzzo
Gianfranco Jannuzzo – Galleria 2 16 Giu 2017

Il dialogo, la cura e il rispetto sono il fil rouge che lega il teatro e il tuo rapporto con il pubblico, così come i protagonisti dei tuoi ritratti?

Era il sogno che aveva Gigi Proietti di formare rampolli: “Siete qua- diceva- non perché ve lo ha ordinato il medico, ma perché avete del talento. Datevi da fare, nessuno vi regalerà niente. Potete emulare, copiare quelli che sono più bravi, ma se trovate la vostra strada è meglio.” Cura e rispetto dello spettatore sono importanti come instaurare un rapporto, un’intesa con il soggetto che voglio ritrarre.

Non ti è mai capitato di vedere un ritratto dove la persona, che sia un personaggio famoso, un estraneo o uno di famiglia, non lo riconosci, ma vedi solo uno sguardo vuoto? Ma se invece c’è quella luce negli occhi, se vedi riflessa la sua anima allora è “Tana!”. La fotografia è racconto, memoria, traccia, ma qualche volta è poesia.

Mi piacciono molto le scene dove le persone si muovono, casualmente. Quando creo il rapporto e guardo in camera, se non si instaura quel rapporto di fiducia, l’anima di quello sguardo non la becchi mai, neanche se sei il più grande in assoluto, come Ferdinando Scianna o Berengo Gardin.

Colore o bianco nero?

Bianco e nero, alcuni ci hanno insegnato a fotografare anche le fiamme. Il colore distrae, distoglie dai particolari, vince il più prepotente, impedendoci di vederne i particolari, ci perdiamo qualcosa. Invece il bianco e nero ci costringe ad andare oltre, ad immaginare, facendo uno sforzo meraviglioso e poetico. Non importa immaginare i colori, perché li hai in testa.

Armonia pura tra i grigi, le ombre, sfumature impercettibili, ma meravigliose. Da ragazzo ho fotografato anche i templi, i monumenti, in luce e controluce, ma se c’è una persona che passa di lì è sempre più bello. Ci sono le proporzioni e il movimento.

Invito al viaggio: Gianfranco Jannuzzo - Milano, 27 luglio 2017
Invito al viaggio: Gianfranco Jannuzzo – Milano, 27 luglio 2017

Mi piace che ci sia un elemento umano o animale come nella mia fotografia del Colosseo Quadrato (Palazzo della Civiltà italiana) all’Eur di Roma, dove con un gioco di prospettiva sembra un cavallo che tiri la sua carrozza.

Che cosa chiedi alla fotografia?

Di fermare quel momento, di preservare il tempo. È il rapporto con il tempo che ci fa fare una fotografia. La donna che ami, il luogo che vuoi ricordare, è un’illusione pensare di trattenere quel sorriso, quell’espressione.

Ne sono consapevole ed è in qualche modo la relazione che c’è tra il teatro e la vita, dove lo spettatore sa bene che è una finzione, ma il mio compito è di far dimenticare la realtà facendolo entrare nella storia. La fotografia, in fondo, quando è riuscita, ha lo stesso potere magico e imperituro.

Questo viaggio continuerà tra le pagine di Gente mia, per conoscere le storie che Gianfranco Jannuzzo ha voluto raccontare, senza l’ausilio delle parole, permettendoci di percorrere con lui non solo le stradine della meravigliosa Girgenti, ma di varcare la soglia delle loro abitazioni, arrivando alla parte più intima, dove sono il cuore e l’anima delle persone. Voglio ringraziare Gianfranco per avermi fatta entrare nel suo “camerino” potendolo vedere da vicino, che è molto di più che guardare. Un grazie speciale anche a Massimiliano Beneggi che lo ha reso possibile.

Ho conosciuto la macchina fotografica e mi sono perdutamente innamorato, la fotografia è educazione e rispetto

Invito al viaggio: Roberto Cimini, attrazione fatale 1
Invito al viaggio: Roberto Cimini, attrazione fatale – Stefano Magnanensi compositore direttore dell’orchestra di Domenica In

Andrea Roberto Cimini è nato in Liguria ma abita a Roma, da quando aveva solo dieci mesi. Roma era nel suo destino come la fotografia, che nella sua famiglia è stata una costante. Roberto da trent’anni è il fotografo di riferimento per settimanali e con puntualità e precisione racconta il mondo dello spettacolo.

La sua caratteristica, dice, è l’educazione e il rispetto che sono necessari ed irrinunciabili, quando ci si avvicina per ritrarre una persona che sia famosa o no.

La sua passione è nata osservando il padre stampatore e poi capo reparto di un laboratorio, dove si intrufolava per osservarne i gesti. Un mondo meraviglioso dove le immagini prendevano vita, attraverso un lungo processo di bagni, asciugature, che da bambino attiravano la sua attenzione.

L’idea di Roberto di seguire le orme del padre, viene parzialmente disattesa, quando lui s’innamora perdutamente della fotografia, che diventa il suo mestiere e – come dice lui – non conosce vacanza, perché la più bella è sempre una trasferta di lavoro con la sua immancabile macchina fotografica.

Roberto com’è nata questa passione?

La pellicola è sempre stata una di famiglia: mio papà era stampatore e poi capo reparto, idem lo zio Giorgio mentre lo zio Mario era operatore del cinema e nel dopoguerra ha lavorato in film come Morte a Venezia, per citarne solo uno! Come se non bastasse ha anche insegnato fotografia al centro sperimentale di Cinecittà.

Ho studiato fotografia alle scuole professionali pensando di fare lo stampatore, perché mi emozionava vedere nascere l’immagine che prendeva vita su un foglio di carta. Ad un certo punto, però, ho conosciuto la macchina fotografica e mi sono perdutamente innamorato. Alla fine degli anni ’60 quando era stagione e Roma era piena di turisti, da aprile a ottobre, mio papà per andare al lavoro prendeva il primo autobus alle cinque e tornava a mezzanotte.

La sera con mamma gli portavamo la cena ed io vagavo nelle camere oscure, lo seguivo per vederlo lavorare. Per me era un parco giochi fantastico dove rimanevo incantato dal lungo processo delle pellicole e delle fotografie che entravano nei bagni. Ho impresso nella memoria le pellicole volteggiare durante l’asciugatura, in una danza. Avevo sette otto anni e per me è stato un vero colpo di fulmine.

Invito al viaggio: Roberto Cimini, attrazione fatale Mara Venier
Invito al viaggio: Roberto Cimini, attrazione fatale – Mara Venier

Quell’attrazione fatale come è diventata il tuo mestiere?

Avevo tanti progetti che un brutto incidente in moto, proprio in Liguria, ha spazzato via. Sono rimasto bloccato per tre anni, dovendo recuperare i trami subiti, che hanno stravolto la mia esistenza.

Quando mi sono ripreso, ho fatto il commesso in un negozio di dischi, ma l’incontro casuale, o destinico, con il PR di Rocco Barocco, Biagio Arixi, mi ha riacceso la scintilla.

Grazie a lui ho conosciuto grandi fotografi con i quali ho collaborato per poi mettermi da solo. La fotografia, come ogni grande amore, può perdere la strada, allungarla, ma torna sempre. Questo è il mio mestiere e, per vie traverse, sono tornato a casa.

Cosa ti ha dato la fotografia?

Lavoro per un’agenzia la Pixonline e i miei scatti, ritraggono personaggi del mondo dello spettacolo. Chiunque io fotografi, mi regala qualcosa, arricchendomi. Credo che il rispetto e la fiducia siano fondamentali ed irrinunciabili.

Il mio lavoro è stimolante e mi aiuta a comprendere le persone anche quando le cose non vanno così bene ed il lavoro è complicato. Ogni incontro è stato importante e credo di essere diventato migliore, anche grazie a questo.

Che tipo fotografo sei?

Fotografo cercando di fare una cosa elegante e pulita rispettando quello che il committente richiede. Spesso lavoro in case private e quindi, ancora di più, è necessario muoversi in punta di piedi, senza irrompere. La pulizia della fotografia è fondamentale per me e forse è proprio questa la mia caratteristica.

Anche quando, per ragioni d’immagine, devo fare un ritratto sensuale, non rinuncio all’eleganza. Non amo il Photoshop e credo che le fotografie non andrebbero manipolate più di tanto, per cui cerco di scattare al meglio, con le luci giuste, un buon trucco e la giusta composizione.

Invito al viaggio: Roberto Cimini, attrazione fatale - Luigi Miliucci e Tommaso Martinelli
Invito al viaggio: Roberto Cimini, attrazione fatale – Luigi Miliucci e Tommaso Martinelli autori

Come funziona il tuo lavoro?

Per un certo periodo ho fatto degli eventi, perché c’era un po’ di crisi, sfruttando le occasioni per incontrare personaggi. Questo è un lavoro che si nutre di contatti, di relazioni, di passa parola.

Il posato è la mia specialità, non necessariamente in studio; molto spesso faccio servizi a casa loro, per poterli raccontare al meglio tra le loro cose e in un ambiente che li rappresenta.

Spesso sono in trasmissioni, come Domenica In, o sui set dei film, ma ammetto che non mi fa impazzire essere fotografo di scena, perché sono obbligato a stare vicino all’operatore e chi comanda è il regista, non si ha molta libertà d’azione e la creatività è mortificata.

Oggigiorno, l’artista gira con il macchinone e il cachemire, (una volta morivano di fame) e grazie al lavoro prezioso di truccatori e parrucchieri, il lavoro, per noi, è diventato più semplice. L’unico che ancora fatica è il paparazzo che deve trovare lo scatto giusto, al volo.

Sei molto discreto e non parli volentieri dei tanti personaggi famosi che ritrai. Puoi fare un’eccezione per noi?

Quello che mi piace è incontrare le persone e sto volentieri in mezzo alla gente soprattutto per lavoro. Per il resto del tempo, che è ben poco, amo la vita ritirata. Dicono di me che so stare al mio posto e credo che in quest’ambiente, sia un complimento.

Tra i tanti posso dirti che Vera Gemma, figlia di Giuliano, mi piace moltissimo come persona, così come la Pandolfi, graziosa, gentile e sempre molto disponibile. Leo Gullotta, che è un mostro di bravura, la prima volta che lo fotografai, a fare compere al mercato, gli chiesi se potesse muoversi, cercando di cambiare posa e atteggiamento tra uno scatto e l’altro.

Lui con un sorriso, fece un gesto con la mano, a rassicurarmi che non dimentico. Il servizio fu strepitoso. Poi c’è anche chi, per un capriccio, perché non si vede come vorrebbe, ti cancella un intero servizio. Insomma, da raccontare ce ne sarebbe davvero tanto!

Invito al viaggio: Roberto Cimini, attrazione fatale Emanuela Aureli
Invito al viaggio: Roberto Cimini, attrazione fatale – Emanuela Aureli

Quando non stai lavorando, a cosa ti dedichi?

Per me la passione è quello che faccio, non altro. Sono scapolo per cui il mio lavoro è tutto, sono spesso in viaggio per lavoro e i viaggi migliori, li ho fatti lavorando in compagnia della mia macchina fotografica, dalla quale non mi separo mai. 

Qual è il tuo viaggio con la fotografia?

Un viaggio ricco di soddisfazione perché così tanta gente ha creduto in me. Ho perso mio padre diciassette anni fa, ma mi manca ancora. Lui era il mio punto di riferimento, il mio faro. Credo che oggi sarebbe soddisfatto, anche se all’inizio avrebbe voluto per me un posto fisso, conoscendo bene l’ambiente e le difficoltà.

Solo non aveva fatto i conti con questa passione che inconsapevolmente mi aveva trasmessa. Ho un ricordo vivido del giorno della mia Prima Comunione, quando entrando in Chiesa, pensai che volevo fare il fotografo. In quel momento, è cominciato il mio viaggio in cui mi sono affidato e fidato. Un viaggio spesso anche molto complicato, in cui viene messa a dura prova la passione, che però, vince sempre.

Invito al viaggio attrazione fatale Linda Taddei la Pupa e il secchione
Invito al viaggio: Roberto Cimini, attrazione fatale – Linda Taddei La Pupa e il Secchione

Che cosa chiedi ancora alla fotografia?

Ho voluto con tutte le mie forze di poter fare questo mestiere e sono grato alla vita per aver esaudito il mio desiderio. Chiedo di poter continuare a farlo al meglio, con tutto me stesso.

Roberto si è raccontato con la stessa “pulizia” e ordine che predilige nelle sue fotografie. Mi ha colpito il racconto di quando bambino, osservando i gesti del padre stampatore, inconsapevolmente, s’innamora di quello che oggi è il suo mestiere. Attraverso le sue parole l’ho visto aggirarsi in laboratorio la sera, fantasticando su quello che le pellicole, da lì a poco, avrebbero rivelato, in quello che potrebbe essere la trama di un film…Grazie.

Il mondo è un bel posto e bisogna farlo vedere, è una responsabilità che, come fotografo, sento moltissimo. Abbiamo il compito di fare in modo che le cose belle, rimangano

Gari Wyn Williams e il Lato Positivo delle cose
Gwion Hallam – Come persona di madrelingua gallese è stato un onore poter fotografare Gwion Hallam vincitore della corona per la poesia nel Eisteddfod 2017 un festival annuale di cultura e lingua gallese, premio prestigioso ed ambito

Gari Wyn Williams è nato in un piccolo paesino del Galles, di madre lingua gallese di origini celtiche. Studia al college fotografia per passione, ma nella prima parte della sua esistenza veste con giacca e cravatta e fa come mestiere, il contabile. Ma quando la passione è grande, niente e nessuno può arginarla e Gari, ad un certo punto capisce che l’unica cosa che conti davvero, è essere felice e per esserlo deve fare questo nella vita: il fotografo.

La sua filosofia è quella di guardare al lato positivo delle cose, cercando sempre e comunque il bello che il mondo e la vita ci offrono. Abbiamo il compito di mostrare e preservare e il fotografo ha una grande responsabilità a riguardo. L’incontro con questo gallese, che mi ha colpito con le sue fotografie dense di sentimenti, mi ha toccata profondamente.

Sono racconti, immagini che non hanno bisogno di parole, ma che ci fanno “viaggiare” tra le persone e comprendere i loro sentimenti. Osservando, quelle scattate in Piazza San Pietro, tra i fedeli, mi è sembrato di cogliere il raccoglimento di ognuno ed anche di sentirne le preghiere accorate e silenziose.

Gari Wyn Williams e il Lato Positivo delle cose 1
Gari Wyn Williams e il Lato Positivo delle cose – Con le gemelle identiche Eirian e Eleri sull’isola di Anglesey in Galles. Un momento magico quando ho chiesto loro di abbracciarsi ed è arrivata questa bellissima reazione

Ciao Gari, raccontami di te

Sono nato il 26 febbraio ’68, in un piccolo villaggio, nel Parco Nazionale di Snowdonia, in Galles. Quando torno a casa parlo solo gallese con i suoi tanti suoni gutturali di lingua celtica. Oramai vivo a Roma da circa una decina di anni, dopo aver fatto un po’ di avanti e indietro.

Ho studiato fotografia a Leicester, dove ho trovato lavoro in un’agenzia per la quale seguivo la Premier League, fotografando il calcio ed eventi vari per il giornale.

In seguito, ho cominciato a fare foto tipo reportage di viaggi, che sono piaciute a diverse banche di immagini con le quali ho quindi collaborato vendendo le mie fotografie. Poi in Italia ho collaborato con quella che oggi è la Olycom, facendo attualità, press call, eventi di ogni genere.

Quando hai lasciato il Galles?

A diciotto anni me ne sono andato a vivere a Londra, dove ho anche imparato l’italiano grazie ad un corso della BBC che ho seguito per radio e studiato sui libri. L’italiano mi attirava per la sua musicalità, molto diverso dalla mia lingua celtica!

Poi forse era già scritto il mio destino e la via per Roma… Ho fatto bellissime esperienze, nel mio paesino del Galles, ci sono persone che non mai andate via da lì e siamo solo duemila persone, ma Roma per un fotografo è una meraviglia.

Gari Wyn Williams
Passeggiando in zona Portuense mi sono imbattuto sul negozio dei sarti Valerio ed Elia Pietrangeli – fratelli ottantenni. Dopo una chiacchierata sono tornato la giornata seguente per fare il shoot. Una bellissima esperienza.

Il tuo mestiere sembrava dover essere quello del contabile. Come è “scoppiata” questa passione?

La mia passione è cominciata proprio a Londra, quando ero impiegato come contabile e un signore mi vendette una reflex analogica. Prima avevo solo una macchinetta compatta, ma in quel momento, è scattato qualcosa dentro di me.

La vena artistica che probabilmente avevo ereditato da mio padre, che dipingeva sull’ardesia, era venuta allo scoperto. In seguito, ho comprato filtri e tutto quello che mi poteva servire, seguendo l’istinto. Rivedendo le mie fotografie di allora, trovo che siano pessime.

La fotografia è tutta un’evoluzione, ma un po’ alla volta, provando e riprovando, ho capito di poter crescere. Questo è stato quello che mi ha permesso di proporle poi alle banche immagini, che con il loro gradimento, mi diedero la consapevolezza di essere pronto.

Come è cambiata la tua vita?

Quando la mia vita era in giacca e cravatta dalle 9 alle 5, odiavo la mia vita. Ritrovarmi in giro per Roma a seguire eventi, era bellissimo, ma meno sicuro. È stata la passione a non lasciarmi scampo, obbligandomi ad andare avanti e la macchina fotografica ce l’ho sempre con me. Ho pensato – meglio povero, ma felice. Non me ne sono mai pentito.

il Lato Positivo delle cose
Gari Wyn Williams e il Lato Positivo delle cose – con l’attrice Sara Valerio nella quale le ho chiesto di recitare una parte di paura e rabbia

In questo momento storico, come se la passa la fotografia?

Il mercato è saturo e c’è la corsa al ribasso, le banche ora ne approfittano, trattenendo buona parte dei compensi. Una volta compravo The Guardian solo per la fotografia che era molto curata e bellissima.

Oggi non osserviamo più niente, non sappiamo più guardare, siamo distratti e, di conseguenza, la qualità delle fotografie, purtroppo è scaduta. Oggi invece di goderci un tramonto, lo fotografiamo, perché è più importante dire di esserci stato piuttosto che gustarsi il momento.

La fotografia è vittima di questo, siamo cacciatori di like sui social e i giornali, le riviste non le compriamo più. La fotografia deve piacere a me, va bene se piace anche agli altri e manifestano il loro gradimento, ma non è fondamentale.

Gari Wyn Williams e il Lato Positivo delle cose

Che tipo di viaggio ci inviti a fare con la tua fotografia?

Cerco di cogliere un momento, quel momento è un’emozione, dove c’è simmetria e una magia, una sintonia di tutti gli elementi. Se sono ritratti, il mio obiettivo è scovare un’emozione vera. Quando le persone sono troppo in posa, è difficile, perché in quel caso sono schermate.

Quello che cerco con pazienza, è quel momento di disattenzione, in cui cadono le difese, le timidezze, anche inconsce, per rivelare la loro vera natura. Rivedendo le fotografie, scopro dettagli che mi erano sfuggiti: una piega del viso, un atteggiamento delle mani che fanno la differenza e sottolineano la nostra unicità e la vera bellezza.

Questo è il viaggio che spero di offrire con i miei scatti, senza filtri, per vedere sempre il lato positivo delle cose, il bello che c’è nel mondo e dentro di noi.

Gari Wyn Williams Ponte Milvio
Gari Wyn Williams il lato positivo delle cose – Ponte Milvio, La gente viene e va su… Posto meraviglioso

Cos’è la fotografia?  

Ogni fotografia è un racconto dove la costruzione, la luce, l’inquadratura, sono fondamentali. Il bianco e nero lo amo moltissimo, per la sua neutralità. Il colore distrae e distoglie dalla narrazione.

Se uno ha un colore degli occhi di un bel blu, l’attenzione va tutta lì, impedendoci di vedere oltre.  La postproduzione non deve stravolgere la foto, non mi piace patinare al massimo. Bisogna far vedere la realtà, al meglio. Il nostro vissuto è parte del racconto.

Quando faccio i ritratti, devo avere un progetto un’idea di quello che voglio fare, poi mi adeguo alle circostanze. Gli shooting devono adattarsi ad ognuno e sono incredibili proprio per questo.

Potendo scegliere, sicuramente preferisco la luce naturale, un set all’aperto non ha limiti. In Italia è meraviglioso: c’è tutto l’anno non come in Galles!

Gari Wyn Williams e il Lato Positivo delle cose

Quando sei libero di scegliere cosa fotografi?

A me piace fotografare per strada, persone qualunque. Cercando di cogliere il momento. Mi piace girovagare e raccontare. Quando trovo un punto interessante, mi fermo e aspetto che qualcuno entri in scena. La fotografia è paziente, non può avere fretta.

Per me anche se la foto è sfocata può essere bella. Un certo periodo ho fatto solo fotografie sfocate, sperimentando. L’importante è quello che c’è dentro la foto, quello che comunica, non è la perfezione quella che conta. Negli ultimi cinque anni ho cominciato a fare ritratti e sono cresciuto molto.

Ho sperimentato tantissimo, perché ogni progetto necessita di una sua luce. Non c’è nulla di scontato e difficilmente fotografo per due volte la stessa persona. Le foto migliori arrivano alla fine, quando la persona si lascia andare, o prima se riesco a cogliere un momento di distrazione. Bisogna avere pazienza.

Gari Wyn Williams e il Lato Positivo delle cose Colosseo
Il Colosseo dopo il diluvio universale come sempre a Roma esce il sole e regalandoci nuovi punti di vista di posti, inimmaginabili

Ti piace essere fotografato?

Sì e no, ma credo sia un’esperienza da fare. Serve per capire meglio come ci si senta, imparando sulla propria pelle. Mettersi nei panni dell’altro, è sempre utile e andrebbe fatto sempre, non solo sul set, ma anche nella vita.

Se dovessi definirti come fotografo, cosa diresti di te?

Mi piace fotografare il bello del mondo. Il mondo è un bel posto e bisogna farlo vedere, è una responsabilità che, come fotografo, sento moltissimo. Abbiamo il compito di fare in modo che le cose belle, rimangano. Lo faccio prima di tutto per me, prima ancora che per gli altri.

Questa filosofia è anche nelle mie fotografie, che hanno sempre uno sfondo pulito e una semplicità di fondo. Sono una persona positiva e cerco di mostrare il lato positivo delle persone, lo cerco anche quando è nascosto. Ho come priorità di trovare per ognuno la luce giusta, lasciandogli “respiro”.

Deve avere il suo spazio e poter respirare. Non c’è niente di predefinito, ma un progetto che viene fatto su misura come un abito sartoriale, per ognuno. Questa è la meravigliosa scommessa, che faccio ogni volta. Imparo qualcosa di nuovo e cresco, perché non sia arriva mai.

Quando studiavo fotografia, ci fu proposto di fare un servizio fotografando dei senzatetto. Quando si fa una cosa del genere, non è osservazione, ma sfruttamento di una condizione. Per gli homeless, la strada è casa, sarebbe come se entrassimo nella dimora di qualcuno, senza chiederne il permesso, invadendo la loro privacy. È fondamentale, per me, muovermi con il dovuto rispetto sempre e comunque.

 il Lato Positivo delle cose Andrea D'Ottavio
Shoot con Andrea D’Ottavio, ballerino del Teatro dell’Opera Roma. Questo scatto per me raccoglie potenza e grazia – due elementi in un certo senso contrastanti

Se potessi farvi ascoltare la nostra chiacchierata, sentireste le risate e come sia stato facile comprendersi. Gari è diretto, sincero e non solo si è raccontato, ma mi ha ascoltata.

Una capacità innata, la sua, di leggere nell’altro, di avvicinarsi con pazienza e perspicacia. Temevo che in quanto “gallese”, fosse più ritenuto e meno spontaneo.

Invece, mi ha spiazzata con la stessa magica semplicità che ho trovato nelle sue fotografie, che sembrano essere famigliari anche solo dopo una prima occhiata, costringendoci però, a rivederle ancora.

Grazie Gari, continua a mostrarci quanto di bello ci sia nel mondo e forse – come dici tu – vedremo anche il meglio che c’è in noi.

Alessandro Bachiorri: Dalla serie C alla fotografia

Fotografare è arte che ci permette di vedere e guardare, con occhi diversi. Non si tratta solo di tecnica e di filtri, ma di un’immaginazione che passa attraverso l’anima. Ogni fotografo firma in modo inequivocabile, come un pittore, le sue opere. Queste ci parlano del suo autore, della sua sensibilità, la stessa che lo spinge a sottolineare e a mostrarci il suo punto di vista. Le fotografie possono essere una “voce” ulteriore e inaspettata. È un viaggio da intraprendersi con occhi e cuore. Un ritratto non è solo un ritratto, ma la possibilità di andare oltre, di avvicinarci e vedere al di là delle apparenze.

Invito al Viaggio: Alessandro Bachiorri
Invito al Viaggio: Alessandro Bachiorri – The Zen Circus

Alessandro Bachiorri è un giovane fotografo romano di talento. Sulla sua identità, se Amadeus (con il quale lui ha lavorato) dovesse darne qualche indizio a I Soliti Ignoti, utilizzerebbe alcune parole chiave: musica, pallavolo, fotografia. Alessandro è tutto questo e meravigliosamente ogni sua attitudine si intreccia con l’altra, tessendone una trama che fa di lui il grande professionista di oggi e la bella persona che ho avuto la fortuna di incontrare.

Alessandro: musica, pallavolo e fotografia…

Avevo solo tredici quattordici anni quando scoprii di essere affascinato e incuriosito dalla fotografia. Giocavo a pallavolo ero in serie C e avrei voluto iscrivermi all’università dello sport e fare l’allenatore. Per un soffio non riuscii ad entrare, quindi cercai un’occupazione, pensando poi di ritentare l’anno successivo. Trovai lavoro in uno studio fotografico scoprendo che quella passione vissuta sul campo e non sui libri come avevo fatto fino a quel momento, era meravigliosa e sorprendente. Da lì, si è spalancato per me un mondo e la certezza che fosse proprio quello che volevo per me.

Invito al Viaggio: Alessandro Bachiorri Avevo solo tredici quattordici anni quando scoprii di essere affascinato e incuriosito dalla fotografia
Invito al Viaggio: Alessandro Bachiorri – Avevo solo tredici quattordici anni quando scoprii di essere affascinato e incuriosito dalla fotografia

Hai qualche rimpianto?

Non tornerei indietro, io sono tutto questo: suono il pianoforte, sono un appassionato di musica, ho calcato palchi per concorsi e con diverse band con le quali ho suonato. Ho giocato a pallavolo con impegno, militando in serie C, con grande soddisfazione e oggi faccio il lavoro più bello che ci sia.

Questo mi ha permesso di trovarmi di fronte ad artisti che ho sempre ammirato. Ho cominciato a fare questo mestiere a diciannove anni e a ventidue ho avuto l’opportunità di lavorare per una etichetta musicale, per la quale seguivo i tour, facevo le fotografie per le cover, insomma tutti quelli scatti che servono a promuovere un artista e il suo prodotto discografico.

Ho scoperto in questo modo, come sia bello lavorare in un ambiente che ami, dove è fondamentale immedesimarsi sia con l’artista che con il pubblico. Il punto di vista è diverso, ma entrambi devono essere rispettati. Il pubblico vuole qualcosa di più che solo il palco, ama il dietro le quinte, mentre il cantante, come è ovvio, predilige il palco, il pubblico, le luci.

Io, grazie alla mia esperienza e alla mia professione, riesco a vederli entrambi, con il giusto equilibrio. Nessun rimpianto, ma la soddisfazione di aver coniugato ogni mia attitudine, in un mestiere che mi rende felice.

Invito al Viaggio: Carolina Rey
Invito al Viaggio: Alessandro Bachiorri – Carolina Rey

Quanto è stato importante la disciplina, l’allenamento la formazione della pallavolo?

L’equilibrio, la posizione imparata a pallavolo, nel mestiere che faccio, è importante. Stare sempre un passo indietro, rispettando la propria posizione, è fondamentale. Credo molto nelle coincidenze e probabilmente tutto quello che ho fatto aveva lo scopo di farmi crescere e acquisire competenze che oggi sono la mia fortuna.

La delusione cocente di non essere entrato all’università dello sport, per pochissimo, in realtà era la via per fare il mio mestiere. S’intrecciano fili invisibili, che solo a distanza di tempo e spazio si rivelano essere un disegno meraviglioso. Nel mio lavoro è sempre tutto collegato. L’allenamento, la costanza e applicazione, servono ad ottenere risultati che arrivano con i progetti importanti, anche dopo anni.

Una cosa che mi hanno sempre insegnato è di guardare all’arte tutta, ho visto tantissimi quadri tantissime opere che mi hanno insegnato tanto nella composizione della fotografia, dove il giudizio estetico è importantissimo. Ho imparato con lo sport a rispettare orari e modalità che, oggi, fanno parte di me. È necessario avere tanti interessi, perché il processo di creatività si alimenta con la curiosità. Questa è la conditio sine qua non, di ogni forma d’arte e anche nella vita.

Invito al Viaggio: Morgan
Morgan

Se dovessi dire di te…

Quando sto lavorando, metto da parte Alessandro. Cerco l’empatia con la persona che ho davanti per realizzare il meglio per lui. Metto indietro, il mio egocentrismo, perché “sono a servizio”.

Chi fa il fotografo solo per hobby, ha una libertà di azione e pensiero che è impagabile, ma se lo si fa per mestiere, il raggio d’azione è completamente differente. Credo che la mia formazione nella pallavolo, anche in questo caso, mi abbia formato.

Il senso della posizione, il rispetto degli spazi è fondamentale.

Invito al Viaggio: Alessandro Bachiorri 4
Invito al Viaggio: Alessandro Bachiorri – Ultimo

Parlami del tuo lavoro

Oggi lavoro soprattutto in televisione e nel cinema: questi negli ultimi anni, sono gli ambiti che più mi affascinano. Tra le tante trasmissioni ultimamente, ho fatto Via dei Matti su Rai 3. Un’esperienza meravigliosa che mi ha permesso di vedere da vicino e relazionarmi con artisti che ho sempre ammirato, come De Gregori, Baglioni e i tanti ospiti che sono stati in “casa” Bollani.

Un lavorone pazzesco in un programma scritto benissimo, con la professionalità e la ricerca della perfezione di Bollani che è sorprendente. Un mese di lavoro, intensissimo e giornate intere per registrare puntate di solo mezz’ora.

Sono set impegnativi dove ci si interfaccia con grandi artisti, che si rendono disponibili, a riprova che proprio i più grandi, sono anche i più capaci di relazionarsi con tutti, con semplicità e con empatia, rispettando il ruolo di ognuno. Per uno come me che suona il piano e ama la musica, è meraviglioso.

Invito al Viaggio: Alessandro Bachiorri
Elena Sofia Ricci

Volutamente ho scelto di definire viaggio, questo mio incontro perché mi permette di entrare in confidenza con la sensibilità, oltre che il punto di vista del fotografo. Le sue immagini parlano inequivocabilmente, della donna o dell’uomo che sta dietro l’obiettivo. Un modo per conoscere, osservare, mettendo in primo piano chi solitamente non si mostra. Con te Alessandro, che viaggio facciamo?

Un viaggio dentro i grigi, quei toni che mettono in risalto solo la persona che ritraggo che è al centro: i suoi colori, sono gli unici a dover risaltare. Il mio viaggio è di avvicinamento al loro essere, per scoprirne anche i lati più nascosti, metterne in risalto il carattere. La sfida vinta è quando, mi sento dire: “Grazie, mi hai fatto scoprire qualcosa di me che non conoscevo.” Questa è la mia più grande vittoria e la meta alla quale tendo sempre. È il compimento della mia missione, la vittoria del set, in pallavolo.

Qual è la tua strategia per riuscire nell’intento?

Tecnicamente agli attoriali, do molta libertà, simulando magari una scena, per trovare e carpire l’emozione giusta. Voglio poter mettere in risalto la loro tempistica, lasciandoli liberi di esprimersi, senza limitarne il movimento o l’espressione. Anche in questo caso, è importante mantenere i piedi ben piantati a terra e rispettare i tempi. L’equilibrio fa la differenza.

Invito al Viaggio: Garrison
Invito al Viaggio: Alessandro Bachiorri – Garrison

Quando non lavori, che rapporto hai con la fotografia?

Fa parte di me e mi accorgo che inconsciamente cerco l’inquadratura, ma spesso non porto la macchina fotografica. Fermo l’immagine dentro di me e mi basta.  Una volta postavo un sacco di foto anche sui social, oggi mi godo le cose in maniera più intima.

Preferisco godermi con gli occhi quello che ho davanti: sono curioso, mi piace viaggiare e vedere tante cose. La fase che avevo in principio a vent’anni solo per fotografare, è passata. Adesso come adesso, mi piace cogliere i momenti particolari nel mio lavoro. Solo quando vado ad un concerto, non resisto e scatto tantissimo.

Amo tanto la musica e in questo caso, senza macchina fotografica non andrei mai. È sbagliato che sia vietato poter fare le fotografie ai concerti, perché chiunque dovrebbe poter portare a casa il suo ricordo

Alessandro dice di Alessandro…

Il mio più grande difetto è la testardaggine e il mio più grande pregio, forse, il sorriso (che non perdo mai) e l’empatia. Mi piace stare a contatto continuo con la gente, questo mi ha insegnato a comprenderli, a leggere anche il non detto, facilitandomi il compito e lo svolgimento al meglio del mio lavoro.

Sono tranquillo, con i piedi per terra, uno che sa reagire ad ogni situazione imprevista, cosa che sui set è all’ordine del giorno. Questa era la mia caratteristica nella pallavolo dove spesso, al cambio di allenatore, mi veniva proposto un ruolo diverso, al quale sapevo adattarmi senza tradire la mia capacità di risolvere problemi.

So giocare di squadra ed ho capito come anche nel lavoro, sia importante e fondamentale. Quello che si può fare confrontandosi con altri professionisti, interagendo, è un valore aggiunto irrinunciabile. Oggi ho formato una piccola squadra, due fotografi e due operatori video, applicando anche nel lavoro quegli elementi imparati e sperimentati nello sport: un valore aggiunto di incredibile valenza, perché l’unione fa la forza.

Invito al Viaggio: Neva Leoni
Neva Leoni

Che lo sport sia formativo non solo per il fisico, ma soprattutto per la persona, l’ho sempre pensato. La bella chiacchierata con Alessandro, mi ha confermato questa convinzione.

Sentendolo parlare con passione del suo ruolo in squadra e di come oggi quelle sue caratteristiche siano anche i tratti salienti del suo mestiere di fotografo, mi ha permesso di capire come addirittura nella composizione di una fotografia, del suo equilibrio, si possano ritrovare quegli schemi del campo da pallavolo.

Nelle sue parole che esprimono determinazione, creatività ma anche precisione, professionalità ho avuto il privilegio di incontrare il ragazzino che amava la fotografia, lo sportivo, il musicista che fanno oggi di Alessandro un fotografo di talento, ma soprattutto un uomo in gamba.  

Un viaggio alla scoperta delle anime e della loro autenticità

Invito al Viaggio: Sara Galimberti "collezionista" di anime
Invito al Viaggio: Sara Galimberti “collezionista” di anime – Deep Scatto dalla terrazza di Sara

Sara Galimberti è nata al mare, quello ostiense che ancora oggi è il suo punto di riferimento, il suo rifugio. Per lavoro è spesso in viaggio, ma lei ha fatto la sua casa dove quel mare lo può vedere e sentire. È stato come ritrovare un’amica, quelle che non importa per quanto tempo non ci si vede, perché basta davvero niente, per ritrovare la sintonia e la voglia di raccontarsi.

Il liceo classico e una curiosità verso la filosofia indirizzano Sara a sperimentare (con successo) ogni forma di espressione, dal teatro, alla musica per chiudere il cerchio con la fotografia: il corpo, la voce, gli occhi. Una creativa a trecento sessanta gradi, ma anche una sportiva. Sara, infatti, ha fatto scherma, spada e fioretto, a livello agonistico e i suoi scatti, hanno la precisione delle sue stoccate, dove l’intuito, la velocità, sono fondamentali. Per Sara oggi la “spada” è la macchina fotografica che mai “ferisce”, ma colleziona anime.

Sara parlami di te…

Nonostante il mio cognome tradisca origini del Nord, sono nata a Roma, ad Ostia. Per questo sono profondamente legata al mare e non posso vivere senza sentirne il rumore e il salino sulla pelle. Da alcuni anni vivo in un attico da dove ogni giorno faccio il mio saluto al mare, prima di cominciare la mia giornata. Per lavoro mi sposto parecchio, ma tornare per me è fondamentale, perché è quello il mio posto.

Dal mio studiolo se ho la fortuna di lavorare a casa, mi godo il panorama ritrovando il mio equilibrio, la mia essenza. Ho fatto il liceo classico e frequentato per un po’ filosofia; mi sono iscritta all’Istituto superiore di fotografia nel 2008, grazie ad un interesse ereditato da mio padre che era un vero appassionato e che mi ha lasciato un nutrito archivio fotografico.

Invito al Viaggio: Sara Galimberti
Invito al Viaggio: Sara Galimberti “collezionista” di anime – Roma, Backstage sfilata

Sei una creativa che ha sperimentato diverse forme d’arte, mettendosi in gioco con il corpo, la voce e gli occhi. Mi racconti qual è stato il tuo percorso?

Il mio alfa è stata la recitazione, poi il canto e la fotografia che mi ha permesso di chiudere idealmente un cerchio, facendomi sentire pienamente me stessa. Con la musica sono arrivata in finale a Sanremo giovani nel 2007, con Amore Ritrovato. Ad un certo punto ho capito che c’era di più.

Ho scavato e guardato dentro di me, recuperando la passione che avevo già da bambina, dedicandomi del tutto alla fotografia che mi rappresentava a 360 gradi e la musica è diventata un hobby. Ho ascoltato e dato spazio alla necessità di raccontarmi attraverso lo sguardo e il silenzio meditativo.

Cosa ha condizionato la tua fotografia?

La musica è stata propedeutica e fondamentale per il mio modo di fotografare. Sono stata un atleta nazionale di scherma e questa parentesi mi ha formato, disciplinata e abituata alla concentrazione, all’allenamento. È stato un amore a prima vista, quasi fosse una memoria karmica. Avevo otto anni e facevo già una serie di sport, tra cui la pallavolo che aveva praticato papà, quando ho assistito per caso una gara e ho voluto prendere in mano la spada: da quel momento, non ho più smesso.

Prima con il fioretto, poi con la spada, ho raggiunto un livello agonistico molto alto, ma ad un certo punto ho dovuto seguire il mio istinto e l’attrazione che avevo per le arti, ho salutato tutti e ho voltato pagina. Tutte queste passioni hanno contribuito a sviluppare la mia sensibilità nella fotografia. La musica in particolar modo, con la ricerca continua di frequenze benefiche, mi aiuta a trovare il giusto equilibrio e l’empatia necessaria a “vedere” oltre le apparenze.

Invito al Viaggio Giorgio Tirabassi
Invito al Viaggio: Sara Galimberti “collezionista” di anime – Giorgio TIrabassi

Sei stata un’eccellenza nello sport, hai calcato il palco di Sanremo con la musica, eppure hai avuto il coraggio di cambiare. Sei ripartita con determinazione con la tua professione di fotografa, riuscendo a dimostrare, ancora una volta il tuo talento. Come hai impostato e avviata la tua nuova carriera?

Ho studiato e fatto tanta gavetta, partendo con i ritratti in studio e parallelamente, facendo i miei reportage per Roma. Con pazienza ho costruito una rete variegata di uffici stampa, produzioni televisive e cinematografiche.

Credo tanto nel fare rete e, anche oggi, ho due studi di riferimento, perché per me la collaborazione, lo scambio sono fondamentali e irrinunciabili.  Ho cercato di creare il mio modo, il mio stile e oggi ho una identità definita che è la mia vera essenza.

Quando puoi scegliere che cosa fotografi?

La natura, in tutte le sue forme, ma anche ritratti nella città, casuali. Il ritratto e il racconto delle anime sono ciò che amo e l’empatia, l’ingrediente che non può mai mancare. È un viaggio condiviso e l’obiettivo, diventa il mio occhio. Quello che mi interessa è la storia, quello che ci sta dietro. Anche in esterna, prima di arrivare a scattare ho bisogno di avere il tempo per trovare la giusta intesa, un caffè, per chiacchierare, rompere il ghiaccio.

Non solo, ma quando c’è la possibilità ho sempre con me una playlist per ricercare con la musica la giusta frequenza sulla quale sintonizzarmi con il mio soggetto, del quale riesco a percepire le contrazioni del respiro e fino a che non siamo connessi, non scatto. Cerco sempre una comunione di intenti, solo così in uno scambio reciproco, trovo lo scatto migliore: quando capisco che si lascia andare, è il momento di cominciare, non prima. Amo i ritratti distratti, fatti a distanza per cogliere al volo e senza, fraintendimenti, il meglio.

Invito al Viaggio: backstage sfilata
Invito al Viaggio: Sara Galimberti “collezionista” di anime – Momento Backstage sfilata

Se fosse un viaggio, dove ci porteresti?

Un viaggio nelle emozioni, nella frequenza e scambio continuo. Un viaggio alla scoperta delle anime e della loro autenticità.

Come ti presenteresti?

Sono una fotografa curiosa e attenta, fuori dagli schemi. Innamorata della vita, generosa ed empatica, perché bisogna saper dare ma anche ricevere. Concreta e organizzata, da ex sportiva sono molto disciplinata e affidabile. Rispettosa del soggetto e della sua intimità, dei ruoli. La fase di scelta deve essere condivisa con il soggetto che deve poter dire la sua, riconoscersi.

Invito al Viaggio: Napoli - Il mattino ha l'oro in bocca
Napoli – Il mattino ha l’oro in bocca

I tuoi grazie, a chi vanno?

A Tommaso Martinelli e Luigi Miliucci che sono coloro che mi hanno incoraggiata di più, spingendomi soprattutto a capire quello che avevo dentro. Mi sento di ringraziarli per avermi spinta a cercare la mia strada. La mia gratitudine va anche alla terapeuta che mi ha aiutata a guardarmi allo specchio, a guardare dentro curando le mie ferite mettendo a fuoco la mia immagine e al mio maestro di scherma (che sento ancora adesso).

Grazie a questo percorso ho avuto gli strumenti per elaborare la perdita di mio padre, morto all’improvviso in un incidente. La sua perdita, paradossalmente, mi ha fatto sentire sintonizzata e viva più che mai grazie anche a quanto lui aveva seminato dentro di me, che poco alla volta ha cominciato a fiorire. Grazie alla mia famiglia e alla fotografia che è stata la mia salvezza.

Invito al Viaggio: Sara Galimberti "collezionista" di anime 2
Emanuele – Occhi di cielo

Ciao Sara, sei generosa e riconoscente, ma nel salutarci sono io a doverti ringraziare per aver condiviso ogni cosa di te: i successi, le gioie ma anche il dolore. Quel dolore che ha scavato più profondamente la tua anima, rendendola capace di trasformare la sofferenza e la separazione, in dono. Tuo padre, ne sono certa, è molto fiero di te.

Giovanni Pirri: “La mia urgenza è comunicare”

“Se si è ispirati dalle persone giuste si ha voglia di fare e contagiare il prossimo: l’arte è un dono da condividere”

Invito al viaggio: Giovanni Pirri, la passione per l'arte Attimi
Invito al viaggio: Giovanni Pirri, la passione per l’arte – Attimi

Giovanni Pirri è una di quelle persone che vorrei avere come vicino in un lungo viaggio, anche quelli interminabili dei voli internazionali. Lui sa essere discreto anche quando lavora e la prima cosa che mi ha colpito, vedendolo lavorare, è la sua attenzione agli altri. Giovanni ha una grande passione per la creatività e l’immaginazione.

L’arte e la cultura sono fonte di ispirazione e la missione di Giovanni Pirri è di far sì che tutti, senza distinzioni, possano goderne. Era ancora ragazzino quando ha fondato con un amico un giornalino: oggi è un imprenditore, aiuto regista a Canale 21, autore di format televisivi, esperto di reportage giornalistici e da cinque anni si occupa della comunicazione video del Festival Internazionale della Danza e delle Danze. Un creativo a trecentosessanta gradi che non vuole dimenticare, ma fissare ricordi indelebili, grazie alla fotografia.

Giovanni parlami di te…

Mi piace lasciarmi interpretare dagli altri, attraverso quello che faccio perché fare, è comunicare. Ho una grande passione per l’arte, la cultura a trecento sessanta gradi. Da piccolo giocavo a fare il telegiornale e a sedici anni, con un amico facevo il giornalino della scuola il Jolly 2000 con i trasferibili.

Avevo sedici anni era il 1984 e guardavo al 2000 come un mondo affascinante fatto di persone con teste grandi e senza mani. La delusione nello scoprire che quelle astronavi erano di cartone è stata una cocente delusione. Ho una grande passione, smodata, per la creatività e l’immaginazione.

 

Invito al viaggio: Draghi Moderni
Draghi Moderni

Come sei passato dal portare giacca e cravatta a prendere in mano la macchina fotografica?

Sono sempre stato rispettoso nei confronti della mia famiglia e forse sono diventato ragioniere proprio per questo, senza contare che in giacca e cravatta mi piacevo! Curavo contabilità per artisti quando ad un certo punto ho ricordato quali fossero i miei giochi di bambino e ho cominciato la transizione, recuperando quei sogni. Dopo aver fatto il mio dovere, ho deciso di saltare al di là della barricata.

Ho cominciato a raccontare quello che era per me il mondo dell’arte con parole scritte e immagini. Ho ripreso a studiare e a raccontare. Dapprima le parole, poi i video e infine la fotografia. Ho aperto una Star Up, un giornale dove l’arte era protagonista raccontata e vissuta sul campo per poter raccontare liberamente quello che vedevo.

Quanto sono importanti i sogni?

I sogni non possono mancare, perché se è vero che si può sognare e immaginare, allora è anche possibile realizzarli: sono la spinta che ci fa buttare il cuore oltre l’ostacolo, aiutandoci a superare le paure e i nostri limiti. I sogni vanno perseguiti con intensità e dedizione per dare loro consistenza.

Invito al viaggio: Volo
Volo – I sogni non possono mancare, perché se è vero che si può sognare e immaginare, allora è anche possibile realizzarli: sono la spinta che ci fa buttare il cuore oltre l’ostacolo, aiutandoci a superare le paure e i nostri limit

Giovanni come hai dato consistenza ai tuoi sogni?

Ho costruito i miei sogni, consapevole che ognuno ha un prezzo da pagare: la solitudine, una separazione, un addio. Ho deciso di amarmi con tutte le conseguenze del caso, di seminare e trovare il coraggio di dire no, imparando a gestire la mia capacità di leggere negli occhi degli altri. Allinfo è il mio progetto che è cominciato con me e con me finirà, è il mio viaggio.

È un figlio, fratello di mio figlio Lorenzo che ha preso in mano la macchina fotografica e ha cominciato a lasciare in giro cavalletti, microfoni, macchine fotografiche. Per lui è stato il lasciapassare per la costruzione della propria autostima, in piena pandemia, quando si è ritrovato come tutti in balia degli eventi: la fotografia lo ha agganciato offrendogli una grande opportunità.

Forse era già “tutto previsto” perché la manina che c’è nel logo di Allinfo è la sua, quando durante l’ecografia gli chiesi di salutarmi.

Qual è il tuo rapporto con la fotografia?

Il modo di fissare momenti. Prima sono arrivate le riprese e poi la fotografia. Non sempre, riprendere aiuta a fare buone fotografie perché queste, richiedono attenzioni diverse. Per me è stato codificare le parole con una rappresentazione concreta, simbolica e sintetica. La fotografia è l’apice della piramide.

Invito al viaggio: Giovanni Pirri by Lorenzo Pirri
Giovanni Pirri (Foto © Lorenzo Pirri)

Come ti definiresti?

Non ho mai pensato ad una definizione per me stesso, mi sono sempre sentito un curioso, un viaggiatore attento “sulla coda delle immagini”. Cerco di tirare fuori quel bene che provo quando osservo qualcosa.

Le immagini sono la mia cura, per me e per chi ho ritratto. Sono nutrimento, mi danno conferma di aver fatto le scelte giuste. Ogni scatto è sempre una ricerca, mai una espressione di tecnica.

Quando sei libero di fotografare, cosa attira la tua attenzione?

Amo le geometrie dei voli, cerco di stare attento a quello che c’è intorno al soggetto e la composizione per me è importantissima e nasce prima di guardare nell’obiettivo.

Scatto fotografie naturalistiche e dettagli, l’isola felice delle cose. Amo i sorrisi e li colleziono, perché sono come una giornata di sole. Qualsiasi fotografia, nasce prima nella testa, poi negli occhi e nella macchina fotografica.

Invito al viaggio: Scatto fotografie naturalistiche e dettagli, l’isola felice delle cose. Amo i sorrisi e li colleziono, perché sono come una giornata di sole
Scatto fotografie naturalistiche e dettagli, l’isola felice delle cose. Amo i sorrisi e li colleziono, perché sono come una giornata di sole

La fotografia, che cosa è per te?

Quello che mi fa soffrire è di perdere qualcosa, ho paura di dimenticare. Il valore più grande che abbiamo è la memoria, anche se la nostra società dimentica velocemente.

Io non voglio perdere il ricordo, voglio fissare quel momento. Siamo attraversati da opportunità spesso travestiti da problemi, dietro ogni problema c’è davvero una nuova opportunità. Ho cominciato a guardare da un altro punto di vista e la fotografia mi ha aiutato a farlo.

Quali sono stati gli incontri importanti in questo viaggio con l’arte?

Cinque anni fa ho incontrato la danza e non l’ho più lasciata. Ho avuto la fortuna di incontrare Carla Fracci al Festival Internazionale della Danza e delle Danze, dietro le quinte, dietro le immagini, nel privato quando festeggiò il suo ottantesimo compleanno. Un incontro prezioso e indelebile con una donna speciale che ha saputo con passo leggero, attraversare le nostre vite.

Un esempio che mi ha cambiato la vita, con la sua capacità di conquistare il mondo con la sua umiltà. Poi l’incontro con Numa Palmer, cantautrice musicista e produttore, che ha scoperchiato il vaso delle mie certezze. Mi sono sentito ancora più aperto all’ascolto in una nuova opportunità di crescita: come se avessi avuto l’opportunità di fare un up grade alla velocità della luce.

Invito al viaggio: Giovanni Pirri, Carla Fracci
Carla Fracci e Beppe Menegatti

Dagli incontri nascono idee, si moltiplicano l’energia e le cose buone. Un altro momento che non dimenticherò è quando in piena pandemia, mi arrivò la proposta di lavorare in TV, proprio in quell’unico momento di sconforto, quando pensavo che non ci fossero prospettive per il mio lavoro. Ho avuto fiducia e in quel momento, è stato il mio premio, per averci creduto.

Credo che la mia fortuna più grande, sia stata di incontrare le persone che mi hanno permesso di leggere la realtà nel modo giusto permettendomi di vederne ogni aspetto, di guardare da punti di vista diversi.

Cosa ti diresti a quel ragazzino che giocava a fare il telegiornale?

Se incontrassi Giovanni ragazzino, gli direi di inseguire i suoi sogni consapevole che sia l’unica strada possibile per diventare l’uomo che sono. Ogni esperienza, anche negativa, porta a fare passi avanti, il senno di poi non esiste, ho cercato di costringermi il meno possibile a scegliere e quando l’ho fatto ho cercato di assumermene la responsabilità.

Per dire le cose, ho deciso di usare le parole e non le mani, una scelta fatta a quindici anni con il giornalino. Il mio motore è sempre stata la voglia di comunicare e condividere, anche per chi non ne aveva voglia o strumenti per farlo. Rassicurerei Giovanni, dicendogli che ce l’avrebbe fatta.

Invito al viaggio la passione per l'arte
Ho una grande passione per l’arte, la cultura a trecento sessanta gradi

Se la tua fotografia fosse un viaggio, quale sarebbe?

Un viaggio attraverso l’arte, la musica, la danza e gli incontri con gli altri che non sono così diversi da me: nella diversità siamo simili, siamo tutti esseri umani.

Un viaggio anche per comprendere ciò che non capisco, fotografare mi permette di fissare le cose che ho solo intravisto, per riflettere, rivederle, ragionarci dopo averle archiviate. Amo le cose semplici e spero che s’intraveda anche nelle mie fotografie.

Le parole ricorrenti in questa lunga chiacchierata sono condivisione, gli altri, l’incontro. Giovanni l’ho incontrato davvero e quello che ho intravisto in lui, si è rivelato in realtà solo la punta di un iceberg: lui ha moltissimo da comunicare e lo fa con gentilezza, a modo, senza forzare la mano.

Un modo di essere non così scontato, in un mondo dove si sgomita e si cerca di saltare la fila, ma che per Giovanni è una scelta maturata già a sedici anni con il giornalino, quando scelse le parole come unica arma. È vero: “Dagli incontri nascono idee, si moltiplicano l’energia e le cose buone”.

Grazie

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