Igor Sciavolino: musicista, insegnante e… archeologo

Igor Sciavolino: musicista, compositore, insegnante e…archeologo. “Il bello della musica e in particolare del jazz è mescolare le carte”

Igor Sciavolino: musicista, insegnante e... archeologo
Igor Sciavolino: a 16 anni ho cominciato con la musica e contemporaneamente con l’archeologia e le due cose sono andate in parallelo per 25 anni – Pietra Tonale a Berlino – PAS

Quando hai iniziato a occuparti di musica?

Ho cominciato a suonare il sax a 16 anni mentre facevo il liceo classico. Frequentai 3-4 anni di Corsi di formazione musicale di Torino, che tutti chiamavano e ancora oggi chiamano “Civica”. Poi feci un anno di “perfezionamento” al Centro Jazz, sempre a Torino.

In seguito, presi lezioni private di composizione e orchestrazione da un allora neodiplomato in Composizione al Conservatorio di Torino, Bruno Mosso.

Nel mentre avevo incominciato anche a suonare in quartetti e quintetti jazz con miei più o meno coetanei o con miei compagni di corsi musicali.

In quei primi dieci anni di musica seguii workshop occasionali con Clifford Jordan, Jimmy Knepper, Michael Brecker, Claudio Fasoli, Giorgio Gaslini, Giancarlo Schiaffini, John Surman. Devo molto a questi ultimi tre.

Gaslini mi diede lezioni gratuite di composizione “a distanza”: gli mandavo le mie prime composizioni per lettera e lui mi rispondeva ogni volta con tempestività impressionante, con lunghe lettere di commenti e di consigli, utilissimi, illuminanti e incoraggianti; una generosità e una curiosità verso i giovani veramente gigante.

Da Schiaffini a Siena Jazz imparai nuove forme di improvvisazione e di composizione che mi sono state utilissime per tanti anni e che poi ho ulteriormente sviluppato autonomamente.

John Surman per me era allora una sorta di figura mitologica: quando nel 1994 seppi che a Ravenna teneva un workshop di musica e danza, mi fiondai subito. Lì ebbi pure la fortuna di conoscere Rosita Mariana, una delle danzatrici che facevano parte dello staff del workshop, con cui successivamente collaborai per tantissimi anni.

Quando hai pensato potesse diventare la tua professione?

Non saprei stabilire un momento. Forse semplicemente mi ci sono ritrovato dentro un po’ per volta. Perché comunque c’era fin da subito l’intenzione seria di fare musica, non solo per divertirsi ma pure perché fosse interessante per chi la ascoltasse.

E questo atteggiamento lo avevamo praticamente tutti quanti noi che suonavamo all’epoca. Sto parlando della fine anni ’80 e di tutti i ’90. D’altronde avevamo scelto di suonare jazz, e all’epoca il jazz non era considerata la musica d’intrattenimento per eccellenza…

La cosa curiosa è che a 16 anni ho cominciato con la musica e contemporaneamente con l’archeologia e le due cose sono andate in parallelo per 25 anni. All’inizio ero studente di entrambe per qualche anno, poi ho cominciato presto a lavorare come archeologo già durante gli anni dell’università e contemporaneamente a tenere concerti con band jazz messi su da altri o da me.

La faccenda delle vite parallele, stile Dr. Jekyll e Mr. Hyde, è andata avanti in crescendo, finché nel 1996 sospesi l’attività archeologica, perché mentre stavo suonando professionalmente con Mal Waldron e Tiziana Ghiglioni in giro per l’Italia, le condizioni di lavoro e retribuzione in ambito archeologico, nonostante anni e anni come direttore di scavo, erano precipitate a livelli simili a quelli che leggiamo oggi sui giornali a proposito dei riders o, appunto, degli archeologi e dei restauratori.

Intorno al 2000, mi chiamarono a scavare di nuovo, poi abbandonai definitivamente nel 2009. Non è più cambiato nulla, solo peggiorato.

Nel frattempo, nel 1998 entrai a insegnare alla “Civica” (CFM), dove 15 anni prima ero stato allievo.

Continuo ancora oggi a insegnare: Arrangiamento, Teoria, Musica d’insieme, Laboratori sui mezzi digitali per creare musica.

Ebbi modo di lavorare come arrangiatore sia per musica e progetti altrui (per esempio Fabio Barovero, Roy Paci, Banda Ionica), sia per miei progetti di ampio respiro. Nel 2001 Musica 90 di Torino produsse il mio progetto “Mingus in banda”: la musica di Charles Mingus rivisitata, smontata e “ricomposta” per una vera banda di paese (Nizza Monferrato) e quartetto di jazz (Maurizio Brunod, Fred Casadei, Simone Bosco ed io) con cui girammo alcuni festival estivi.

Nel 2006-2008 il Comune di Cremona mi incaricò di formare un’orchestra di giovani musicisti jazz di Cremona e dintorni: creai la ChantSong Orchestra che aveva come repertorio brani famosi del cosiddetto indie-rock italiano degli anni ’90 e primi 2000.

Dopo aver arrangiato i brani, invitammo i cantanti di quei brani come ospiti (per esempio: Cristina Donà, Cristiano Godano dei Marlene Kuntz, Frankie Hi-nrg MC, Emidio Clementi dei Massimo Volume, Giò dei La Crus) con cui registrammo un cd per Felmay e partecipammo a vari concerti tra cui la prima edizione del Festival MiTo.

Dal 2010 lavoro come responsabile della redazione musicale di Voglino Editrice, che inizialmente si chiamava Musica Practica.

In tutti questi anni, in parallelo a tutto ciò, ho anche condotto uno studio di registrazione mobile, con cui ho realizzato lavori spesso pubblicati in CD di classica, barocca, contemporanea, jazz, indie-rock anche per etichette “major”.

Igor Sciavolino: musicista, insegnante e... archeologo
Igor Sciavolino: Continuo ancora oggi a insegnare: Arrangiamento, Teoria, Musica d’insieme, Laboratori sui mezzi digitali per creare musica

Come e perché hai scelto “quello strumento” e non un altro?

Ero presissimo nell’ascoltare jazz e ad un certo punto decisi che volevo provare a suonare questa musica, oltre che ascoltarla. Scelsi il sax tenore per via di John Coltrane, di cui ascoltavo un sacco di dischi.

In verità, ascoltavo molti più musicisti con gli strumenti più diversi: Monk, Jarrett, Frisell, Motian, per esempio.

E generi diversi: soprattutto musica contemporanea del ‘900: Bartòk, Stravinskij, Ligeti, Pärt.

Al rock ci sono arrivato tardi, quando avevo ormai più di 25 anni. Mi influenzò non poco: mi misi a “elettrificare” il sax e a suonarlo con effetti, distorsioni, whawha, ecc, come farebbe un chitarrista elettrico.

Il mio primo disco “Solitaires à la recherche de la danse” è già così: sax tenore e sax sopranino elettrificati, in solo, senza band e senza sovraincisioni. È del 1994.

Con questo setto “elettrico” portai avanti per tanti anni un duo con il batterista Paolo Franciscone, che poi divenne spesso un trio con la danzatrice di Milano Rosita Mariani (di cui sopra).

Intorno al 2007 sostituii il parco pedaliere ed effetti elettronici con un Mac portatile e mi misi ad elaborare in tempo reale non più solo i miei suoni ma anche quelli di altri musicisti. Per esempio, ne venne fuori il duo NoLogicDuo con impiantista Angelo Conto, dove io non suonavo il sax ma solo più l’elettronica.

Il tuo rapporto col teatro.

Il mio rapporto con il teatro è iniziato in verità lavorando con e per danzatrici, danzatori, coreografe e coreografi di danza contemporanea, con qualche esperimento estemporaneo nel 1992, ma seriamente a partire dal 1994 fino al 2018.

Con il teatro vero e proprio ho avuto a che fare inizialmente (fine anni ’90) suonando dal vivo in scena o a margine della scena chiamato a fare da “colonna sonora vivente”, magari in duo o trio, qualche volta in solo (grazie agli aggeggi elettronici).

Poi ebbi occasione di lavorare a 4 mani con un paio di registi progettando diversi spettacoli: per esempio, 3 produzioni di teatro multietnico multiculturale (anche nella musica che scrissi) per il Teatro Piccolo Regio di Torino negli anni 2000 con Marco Alotto; oppure lo spettacolo “Il dottor Faust accende le luci” di Gertrude Stein per l’allora Teatro Juvarra (1999 poi replicato nel 2000) e a Roma con l’attore e regista Francesco Gagliardi.

In seguito, ebbi modo di lavorare per il teatro come arrangiatore di musiche altrui, analogamente a lavori di arrangiamento per il cinema per film di D’Altari, Mordini e altri.

Igor Sciavolino: musicista, insegnante e... archeologo live
Igor Sciavolino: Scelsi il sax tenore per via di John Coltrane – Live

Qualcosa sulla tua esperienza come autore di musica per la danza contemporanea.

Da quando incominciai nel 1994 ad avere a che fare seriamente con la danza contemporanea, la maggior parte dei miei progetti musicali furono indirizzati in questa direzione.

Con Rosita e Paolo avevamo un trio stabile, a volte ampliato in quartetto con una seconda danzatrice, ma sempre mettendo sullo stesso piano suono e movimento, musica e danza, composizione e coreografia, dove l’improvvisazione era praticata sia da chi suonava sia da chi danzava. Con Rosita ho lavorato fino al pochi anni fa.

Nel 1998 lavorai per il coreografo e danzatore Roberto Castello. Mi invitò a “sostituire” Ezio Bosso alle repliche del suo spettacolo in duo a Copenaghen. Ezio all’epoca era un bravissimo contrabbassista e rimase bloccato in tournée in America Latina con un’orchestra sinfonica.

Roberto mi chiese di sostituirlo in scena, nonostante ovviamente non suonassi il contrabbasso, ma gli interessava l’aspetto creativo musicale più che lo strumento.

Poi lui contraccambiò il “favore” partecipando ad un concerto del mio duo col batterista (che divenne spettacolo) in un festival a Torino: insieme a lui si portò dietro Alessandro Certini, altro fantastico danzatore e, come Roberto, creatore istantaneo di dimensioni teatrali con pochi gesti.

Composi anche colonne sonore registrate per lavori di danza in cui non suonavo dal vivo, sia per la Mariani, sia per Castello, sia per Stefano Questorio.

Prendendo spunto da queste esperienze fondai nel 2001 il festival Interplay di danza con musica dal vivo insieme con Natalia Casorati. Con questa formula durò tre edizioni. Poi abbandonai il progetto, perché da allora il festival prosegue ancora oggi ma senza load dimensione esclusiva della musica dal vivo.

Dal 2012 al 2018 ho lavorato intensamente per Ambra Senatore (dal 2018 è direttrice del Centre Choréographique National de Danse di Nantes) e per la sua compagnia di danza italo francese; più francese che italo, in verità, perché sulle 30 repliche che facevamo ogni anno, circa 25-26 erano in Francia e solo 2-4 in Italia.

Con lei ho lavorato come compositore e sound designer, perciò seguivo la compagnia durante il periodo di creazione, dove si lavorava collettivamente anche con molta improvvisazione che poi veniva fissata in coreografia. Dovevo comporre all’istante piccoli spunti musicali e, tra una prova e l’altra, svilupparli.

Ma utilizzavo anche frammenti di musiche mie e di altri (per esempio Monteverdi) da “sparare” durante le sessioni di improvvisazione per vedere se funzionavano. Seguivo poi la compagnia durante tutte le repliche perché come sound designer curavo l’allestimento sonoro e “suonavo” i vari contributi musicali e sonori durante lo spettacolo.

Per Ambra ho lavorato a due coreografie: “John” e “Aringa rossa”, quest’ultima era decisamente una grossa produzione, 9 danzatori in scena, con repliche anche di parecchi giorni a Parigi al Théâtre de la Ville (l’equivalente della Scala per quanto riguarda la danza contemporanea) ci valse parecchie recensioni entusiaste da parte della stampa nazionale francese.

musicista, insegnante e... archeologo
Igor Sciavolino: La ricerca archeologica

Tuo rapporto col jazz.

È un rapporto che per tanti anni è stato molto conflittuale. Da ragazzino ero uno sfegatato fan del jazz. Quando incominciai a suonare un po’ più professionalmente, cercai subito di percorrere strade meno “tradizionali”, come suonare brani originali invece di standard jazz, fino ad arrivare molto presto a metter su un ensemble “cameristico” con oboe, corno, arpa, piano, clarinetto basso oltre al sax, Limina, si chiamava. Scrissi diversi brani originali e varie trascrizioni e adattamenti da Monk, Frisell, Pârt, Ligeti, Hendrix, Mingus.

Pochi anni dopo (metà anni ’90) fondai un quartetto molto particolare, il Forma Fluens con Roberto Regis (sax), Martin Meyes (corno) e Domenico Sciajno (contrabbasso) in equilibrio tra composizione e improvvisazione: brani nostri originali e di Gavazza e Schiaffini, arrangiamenti da Monk, Motian, Cage.

Rapidamente mi ritrovai abbastanza fuori dal “giro” dei jazzisti, per via di questo stare a cavallo tra jazz e musica da camera o contemporanea e tra jazz e improvvisazione, e quindi non essere visto come 100% jazzista. D’altro canto, non fui considerato abbastanza “compositore contemporaneo” nel “giro” della classica-contemporanea per il fatto di essere anche jazzista, nonostante avessi composto e fossero stati eseguiti diversi brani cameristici in Italia e all’estero. Insomma, per molti anni questo sentirmi al “confine tra”, né da una parte né da un’altra, né carne né pesce, mi corrucciava spesso.

Poi per fortuna lavorando in Francia per la danza mi resi conto che tutto ciò era un falso problema e che il bello della musica e in particolare del jazz è mescolare le carte.

Cosa stai facendo ultimamente e cosa farai nell’immediato futuro?

Oltre al lavoro in casa editrice e all’insegnamento, dal 2018 collaboro stabilmente con Pietra Tonale, un interessante collettivo di giovani musicisti che esplora le varie forme di improvvisazione e composizione senza rinchiudersi in steccati ideologico-estetici.

Ormai il collettivo si è allargato e conta una ventina di elementi stabili più una dozzina di collaboratori più o meno assidui o saltuari. Con Pietra e la sua orchestra in questi anni abbiamo partecipato ai festival Torino Jazz Festival e Jazz Is Dead, e recentemente ha fatto un minitour: Venezia, Vienna, Praga, Berlino e Fusion Festival in Germania.

Suono nel quartetto “postjazz”(?) Serial Disaster del trombettista Beppe Virone, molto particolare perché non abbiamo basso o contrabbasso per scelta: due fiati chitarra e batteria.

A dicembre ho pubblicato un album di musica elettronica, “Enki”, su BandCamp, che racchiude una selezione di lavori fatti nell’arco di 30 anni. Ho intenzione di pubblicare un secondo album di elettronica entro la fine del 2022.

Sto musicando un po’ per volta testi che amo molto dello scrittore Luca Antonini, con cui collaborai tantissimi anni fa. Penso ci saranno vari ospiti vocali, cantanti e non.

Non ho la minima idea di come e dove sarà pubblicato questo lavoro perché ormai il mercato discografico è completamente cambiato, anzi è praticamente scomparso, ed è diventato quasi tutto digitale e online. Anche l’idea di etichetta discografica ha assunto un ruolo molto diverso rispetto a fino a una decina d’anni fa.

 Come possiamo seguire la tua attività?

Questa è la cosa più difficile, eh, eh.

Non ho sito internet. Non ho più Facebook dalla prima pandemia (chiuso per l’overdose di scempiaggini che vi transitavano). Ma notizie sparse su di me compaiono cercando su Google.

Trovate il mio primo disco su iTunes e l’ultimo su Bandcamp.

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Sergio Scorzillo
Sergio Scorzillo
Autore, attore, regista, formatore. Teatro e Musica sono state da sempre le sue grandi passioni e non solo. Il palcoscenico è il luogo in cui riesco a vincere le mie fragilità, a comunicare e a sentirmi utile e vivo
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