Arturo Toscanini, Maestro contro tutto (amato da tutti)

Dalle battaglie contro il fascismo alla rivalità con Ravel: Arturo Toscanini ha sempre fatto valere la sua autonomia artistica

"Musica Maestro": i grandi Direttori d'Orchestra si raccontano 1
La nuova puntata di Musica Maestro è dedicata ad Arturo Toscanini

Arturo Toscanini non è solo uno dei Direttori d’Orchestra più famosi del nostro Paese, ma è anche uno dei personaggi più iconici dell’intera cultura italiana. In pochi, infatti, possono vantare la sua carriera che lo ha fatto stimare in tutto il mondo. Si può essere ovunque e ancora oggi, a distanza di 65 anni dalla sua scomparsa avvenuta il 16 gennaio 1957, si può essere certi che il nome di Arturo Toscanini sia conosciuto come un sinonimo di garanzia e rigore. Morale, oltre che professionale.

Vediamo meglio per quali motivi Arturo Toscanini rappresenta un modello da imitare per ogni Maestro.

Nato a Parma nel 1867 da due sarti, dopo pochi anni si appassionò immediatamente alla musica operistica seguendo il grande amore per di suo padre per l’arte. Notando la sua grande propensione a memorizzare in breve tempo le poesie, una sua maestra si offrì per dargli lezioni di solfeggio e pianoforte. Passò qualche tempo e quella capacità di ripetere a orecchio le melodie potè trovare maggiore sfogo nei corsi della Regia Scuola di Musica. Quella che diventerà il Conservatorio di Parma.

A soli 13 anni iniziò a suonare violoncello nell’orchestra del Teatro Regio. Successivamente, in Brasile, si trovò a soli 19 anni a dover sostituire il Direttore Lorenzo Miguez e il suo vice Carlo Superti, entrambi entrati in piena contestazione con pubblico e orchestra.

Fu così che, incitato dai colleghi, Arturo Toscanini iniziò il suo percorso di Maestro d’Orchestra, trovandosi immediatamente a suo agio con la bacchetta in mano. A quel punto aveva già in pugno la situazione. Tornato in Italia, fu scelto direttamente da Alfredo Catalani per dirigere la sua Edmea a Torino. Nel 1892 diresse la prima di Pagliacci, di Ruggero Leoncavallo, al Teatro Dal Verme di Milano. Tre anni dopo, per Arturo Toscanini arrivò il debutto al Teatro Regio di Torino, dirigendo il Sigfrido di Wagner, che da sempre lo appassionava per la sua poetica musicale.

Con la moglie ormai sua manager, Toscanini divenne quindi Direttore della Scala, apportando non poche innovazioni. Anzitutto ottenne un impianto di illuminazione scenica più moderno (con le luci di sala rigorosamente spente durante la rappresentazione). Quindi fece costruire nel Teatro la fossa per l’Orchestra che ancora oggi possiamo ammirare dal loggione. In questo modo l’Orchestra si trova a essere isolata rispetto al pubblico e al palcoscenico. E si concede una assoluta concentrazione.

Il Direttore deve pretendere rigore e disciplina, sotto ogni aspetto e con tutti.

Fu così che Arturo Toscanini impose delle regole ferree: divieto di arrivare in ritardo all’opera, divieto di tenere il cappello durante la messa in scena, nonché eliminazione dei bis.

Tutto questo sempre per consentire esclusivamente una unità di intenti tra musicisti, cantanti scena e costumi.

Nel 1901, per la prima volta dopo vent’anni, in occasione della traslazione della salma di Giuseppe Verdi dal Cimitero Monumentale alla Casa di riposo per musicisti (sita in piazza Buonarroti), Toscanini fece suonare nuovamente alla Scala il Va, Pensiero.

L’anno successivo si trasferì a New York presso il Teatro Metropolitan, tornando nel paese natio negli anni della prima Guerra Mondiale. In quell’occasione diresse una banda sul Monte Santo per distrarre gli animi dei combattenti. A fine guerra, iniziò la riorganizzazione dell’Orchestra della Scala.

Dopo avere appoggiato l’amico D’Annunzio nell’occupazione di Fiume, e dopo un’iniziale condivisione delle idee fasciste, diventò una mina vagante contro ogni propaganda mussoliniana. Si schierò al punto da rifiutarsi di suonare la Turandot alla prima di Milano, in caso di presenza del Duce. Nel 1931, addirittura, rifiutò di suonare Giovinezza e Marcia Reale in un concerto bolognese.

Da quel momento, si procurò tutta l’ostilità fascista e la sua censura, costringendosi a tornare in America e suonare sempre solo all’estero.

Ovviamente nemmeno in Germania, vista l’avversione anche ad Hitler per il quale rifiutò un personale invito a dirigere in un festival tedesco.

Ma non è solo in campo politico che Arturo Toscanini mostrò tutta la sua personalità. Nel 1930, infatti, diresse il Bolero di Ravel rivedendolo nel finale, fase in cui accelerò i tempi. Ravel rispose che per il suo Bolero c’era una struttura e una durata (17 minuti) ben precise da cui non si può prescindere. Il Maestro, tuttavia, con il suo modo “metronomico”, ossia assolutamente rigido, di dirigere l’orchestra, si confermò deciso oltre ogni più aspra critica. Il pubblico, infatti, era dalla sua parte.

Nel 1937 fu creata la NBC Symphony Orchestra, che Toscanini diresse per quasi vent’anni diventando così un personaggio anche delle televisioni americane. Tornato in Italia nel 1946 per dirigere il Concerto della ripertura scaligera, tre anni dopo il Maestro rifiutò l’onorificenza di “senatore a vita”, dando così una lezione a ogni altro intellettuale dell’epoca e anche a quelli del futuro. A un vero musicista non occorre una poltrona parlamentare per esprimersi artisticamente, del resto.

Nel 1954, a 87 anni, Arturo Toscanini diresse il suo ultimo concerto, con la NBC, interamente dedicato a Wagner.

Indimenticato, celebre per la memoria che non lo tradiva nemmeno quando dirigeva, di consueto, senza leggere la partitura, il Maestro fu un grande esempio di come la musica richieda varie qualità. Anzitutto la voglia di perfezionarsi continuamente; quindi il rigore e il rispetto delle regole; infine la piena autonomia rispetto alle idee di chiunque altro.

 

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Massimiliano Beneggi
Massimiliano Beneggi
Massimiliano Beneggi, laureato in filosofia con una tesi sulla comicitá contemporanea riletta attraverso Bergson e Freud, è appassionato di musica e teatro. Racconta con rigore aneddotico la storia del Festival di Sanremo e della musica italiana, suggerendo ogni volta spunti filosofici e inediti.
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