Viaggio tra arte e musica: Roberta Morzetti

Roberta Morzetti: l’arte oltre il tempo

Un’artista che riesce ad illuminare il corpo femminile con autenticità e pienezza, nella sua essenza semplice e forte. Plasma materiali duri, fino a trasformarli in sculture di forme sinuose, dove dietro celano la loro storia piena di complessità.

Le immagini delle sue opere sono scenari per variopinte sinfonie.

Viaggio tra arte e musica: Roberta Morzetti
Narcotica_20

È così che introduco Roberta Morzetti, frizzante e sensibile artista.

Nasce a Tarquinia nell’agosto del 1979. Consegue la laurea con lode presso l’Accademia delle Belle Arti di Viterbo.

Dopo una breve esperienza nel mondo della moda e del teatro, da circa dieci anni si dedica esclusivamente alla scultura.

Dal 2016 Velia Littera, titolare della Galleria Pavart a Roma, diventa la sua curatrice.

Che artista ti definisci?

Sono un’artista che cerca di raccontare attraverso il suo linguaggio, la scultura, la società ed il tempo attuali attraverso la prospettiva della donna contemporanea.

Ovviamente, essendo nata nella patria dei più grandi artisti, non posso non esserne condizionata.

Nelle mie opere infatti spesso, ad esempio, può affiorare una simbologia e delle forme in cui si può intravedere una rielaborazione del Barocco e della rappresentazione della Vanitas.

Tutto questo ed altro si fondono, attraverso il fuoco della fiamma ossidrica, a richiami del mondo contemporaneo.

Cosa significa per te l’arte?

Ovviamente l’Arte per me è un’esigenza, è la mia vita.

Tuttavia non credo che l’Arte possa essere imprigionata in parole o aggettivi poiché si finirebbe per arginare e quindi mutilare qualcosa che ha in sé bagliori di infinito.

L’Arte, quella vera, essendo oltre il Tempo, riesce a vincere sulla Morte.

Che cos’è per te la musica e quanto incide in un tuo percorso creativo?

Per me la musica è un elemento vitale. Sono cresciuta tra i vinili.

L’unico negozio di dischi di Tuscania, il mio paese, Star Sound, è appartenuto per venti anni alla mia famiglia.

Ho quindi trascorso gran parte della mia infanzia sdraiata con mia sorella sulla moquette verde a maneggiare i vinili dei grandi della musica.

Ricordo ancora che il mio primo quarantacinque giri desiderato e scelto fu quello di Luca Carboni e le canzoni erano “Farfallina” e “Silvia lo sai”.

Era il lontano 1987 ed io avevo otto anni.

Ovviamente poi l’amore per la musica, come i veri amori, non è mai terminato ma continua a crescere.

Infatti, appena mi sveglio, inizio ad ascoltare i miei autori. Sicuramente lavoro sempre con la musica di sottofondo che rispecchia i miei stati d’animo.

Essendo una onnivora musicale ascolto di tutto.

Da Corelli alla tecno, per cui riesco a dare la giusta colonna sonora alle mie ore, incluse quelle lavorative.

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Roberta Morzetti e la sua opera Escape_20

C’è un’opera in particolare che ti ha fatto avvicinare al mondo dell’arte?

La prima opera che realmente mi ha fatto capire di poter utilizzare la scultura come linguaggio e che ha costituito il mio giusto” incipit” è stata BebèBangBang.

In verità questo pannello scultoreo alto due metri e che ora si trova al MAAM, Museo dell’Altro e dall’Altrove a Roma, è stato il quarto lavoro ma il primo di un percorso che ancora sto tracciando.

Nella tua arte si può ritrovate una connessione con la musica?

Tutte le mie opere sono in connessione con la musica perché nascono tra le note.

Tuttavia il lavoro che per me è più legato alla musica è Escape_20 proprio perché la sua gestazione è durata diversi anni ed è stata, dal punto di vista emotivo, sicuramente la più complessa visto che l’avevo iniziata con mio padre, e che purtroppo è venuto a mancare, improvvisamente, poco dopo.  Ritornare a lavorare su di lei per me è stato, a dir poco, lancinante.

Ho trascorso molto tempo ad osservarla ascoltando Ryuichi Sakamoto, mentre tentavo di capire se fossi stata in grado di terminarla.

Fortunatamente ho vinto sulla paura e sul dolore ed Escape_20 è per me la scultura più importante ed alla quale sono più legata in assoluto.

Ancora oggi quando la vedo, sento la presenza ed il profumo di mio padre e il pianoforte di Sakamoto.

Articolo a cura di Melissa Brucculeri 

 

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