Vedere la musica: Stefano Bidini

Con Stefano Bidini attraverso zone desertiche e spazi aperti, verso l’interiorità che è e rimane, la vera destinazione…

“Il bisogno di uscire di andare a cercare emozioni in paesi lontani per poi riscoprire quanto di bello c’era anche qui: come spesso succede, ci si deve allontanare per vedere la bellezza”.

Vedere la musica: Stefano Bidini
Amo i paesaggi desertici, le zone libere e vuote di qualunque contenuto (Foto © Stefano Bidini)

Stefano Bidini, fiorentino di nascita e milanese per adozione, è passato dalla nazionale di nuoto alla fotografia con la stessa determinazione e volontà. Per partire in viaggio con lui, sono necessarie scarpe comode, spirito d’avventura e voglia di mettersi in gioco. Stefano oggi ha, ormai da vent’anni, un importante studio a Milano e un ufficio a Firenze, tanti collaboratori, ma sorprende come sia rimasta intatta – oltre la cadenza fiorentina- la determinazione e la voglia di fare che aveva agli esordi. Stefano, non vuole esser chiamato artista ma artigiano della fotografia, perché gli piace fare, metterci mano. Definisce il suo, un lavoro avventuroso e ama definirsi fotografo d’azione, dove il movimento e la naturalezza, sono protagonisti.

 “Sono felice se lavoro, perché è per me, linfa vitale. Non faccio nessuna fatica ad alzarmi alle 4 per andare a lavorare, sono momenti impagabili di pura gioia”.

Qual è il segreto del tuo successo?

La mia famiglia è semplice e umile e mio papà che ha novantadue anni, ha fatto l’operaio tutta la vita, ritenendola la sua missione. Da lui ho imparato la dedizione, l’impegno e il valore della fatica. Da ragazzino ho fatto nuoto agonistico entrando a far parte della nazionale di nuoto nei 1500. Abitavo in periferia e per andare agli allenamenti partivo in motorino, col freddo, la pioggia.

Una volta sul ghiaccio ho preso una botta tremenda, ma non mi sono mai fermato. Erano gare faticose, dove si vince con la determinazione, l’impegno, la resistenza e la volontà. Quest’allenamento è alla base della mia professione e mi ha aiutato a perseguire i miei obiettivi.

Il mio lavoro è felicità e divertimento e non solo soldi: mi sveglio alle quattro del mattino, senza sentirne la fatica per la gioia di andare al lavoro, a fare il mio mestiere.

Quando hai capito che la fotografia sarebbe diventata il tuo mestiere?

Dopo il liceo scientifico, ho fatto ISIA a Roma, l’unica scuola statale di Design in Italia per la formazione, ricerca e progettazione. Questa scuola è stata molto importante, ho avuto insegnanti di grande rilievo, grazie ai quali ho imparato non solo la progettazione ma, soprattutto, l’approccio filosofico e mentale al progetto.

Lì ho cominciato a studiare fotografia e probabilmente è questo il mio vero “alfa” anche se ancora inconsapevole di quello che sarebbe diventato il mio mestiere.  Uscito dalla scuola, prima ho nuotato, poi ho fatto il fotografo.

Stefano Bidini Uscito dalla scuola, prima ho nuotato, poi ho fatto il fotografo.
Un equilibrio perfetto tra il mio “occhio” e quello che è l’obiettivo (Foto © Stefano Bidini)

Mi racconti i tuoi esordi?

Non ho mai avuto velleità artistiche, ma mi sono impegnato a fare sempre del mio meglio, come mio padre mi ha insegnato. Ho lasciato il posto fisso nell’azienda dove lavoravo e con l’assegno della liquidazione in mano, sono entrato in un negozio, dove ho comprato una macchina fotografica. Mia mamma ha impiegato una ventina d’anni per capire che lavoro facessi, quando ha visto che non solo ero felice, ma avevo anche una risposta economica finalmente, ha compreso.

I primi anni sono stati avventurosi. Non a caso metà dei fotografi che ho conosciuto erano “ricchi di famiglia”, io sono partito proprio da zero con solo la mia passione, senza appoggi o conoscenze che potessero agevolarmi. Ho imparato a galleggiare, a farcela, grazie agli insegnamenti della mia famiglia volendo costruire e avere certezze.

Ho allestito il primo studio in un piccolo appartamento abbandonato e ho cominciato a fare le cose più ovvie, come i book alle modelle, vivendo in famiglia perché non potevo permettermi altro e non appena avevo due soldi, investivo in apparecchiature per il mio lavoro.

Poi un passo dopo l’altro e tanto impegno, ho aperto un bellissimo studio a Firenze come non ce n’erano ancora in quel momento. In seguito ho comprato lo studio di Milano, perché volendo fotografare la moda, era la scelta più ovvia da farsi.

Ogni fotografo firma in modo inequivocabile, come un pittore, le sue opere. Queste ci parlano del suo autore, della sua sensibilità, la stessa che lo spinge a sottolineare e a mostrarci il suo punto di vista. Che fotografo sei, come ti definisci?

Un fotografo di azione, perché a me piace molto lavorare soprattutto in esterno. Sono alla ricerca del reality e mi piace la naturalezza del movimento e l’azione. Lavoro fino a che mi rendo conto che anche il modello si libera dagli schemi ed esprime il meglio di sé. Il mio obiettivo è di realizzare il bene dell’azienda per la quale ho scelto in quel momento di lavorare e la riuscita per me equivale ad una gara vinta.

I primi anni sono stati avventurosi
L’espressività in questi luoghi che obbligano a una riflessione interiore (Foto © Stefano Bidini)

Una galleria fotografica ci permette di entrare in confidenza con la sensibilità del fotografo. Le sue immagini parlano inequivocabilmente, dell’uomo o della donna che sta dietro l’obiettivo. Equivale a intraprendere un viaggio. Con te, quale sarebbe la meta?

Un viaggio alla ricerca di quelle cose che piacciono a me: un equilibrio perfetto tra il mio “occhio” e quello che è l’obiettivo. Amo i paesaggi desertici, le zone libere e vuote di qualunque contenuto. Viaggi verso l’interiorità, una destinazione che amo profondamente.

Ho avuto la fortuna di lavorare dappertutto, nelle località più disparate ma i deserti sono quelli che mi affascinano di più. Il soggetto è più isolato, il modello, la modella, libera l’espressività in questi luoghi che obbligano a una riflessione interiore. È lì che intraprendiamo il vero viaggio…

In questo ideale viaggio, quali sono i ricordi, le tappe più significative?

Ho avuto la fortuna di avere come mentore Carlo, uno dei primi che ha creduto in me, con il quale ho lavorato nel mio inizio un po’ garibaldino. Nel mio girovagare tentando di piazzare le mie fotografie, sono capitato nel suo studio.

Dopo un po’, insieme, abbiamo deciso di andare in America dove finimmo a Phoenix, tra cactus e saguari, a lavorare per un’azienda che faceva fondine per  Winchester con me che inseguivo il mito dei cowboy e i western e Carlo che voleva vedere il paese del padre che non aveva mai conosciuto.

Quella mia prima volta in America, ha significato molto potendo girovagare dai deserti della California, a Miami con spirito di avventura e stupore … Un’altra tappa, davvero importante, in questi miei primi dieci anni, è stata l’Islanda, dove la forza e la prepotenza della natura mi hanno stregato. In seguito il deserto africano, il Marocco, l’Asia, la Cambogia, la Thailandia e molti altri meravigliosi paesi…

Stefano Bidini fiorentino di nascita e milanese per adozione
Il bisogno di uscire di andare a cercare emozioni in paesi lontani (Foto © Stefano Bidini)

Stefano, se ti mettono davanti all’obiettivo?

È una cosa difficile che non si risolve. Stare davanti alla macchina, che è un occhio al quale non si può nascondere niente, non è facile. Mi piacerebbe essere naturale ma non mi riesce proprio! Questa è la spiegazione di come ci siano persone davvero brave e che l’essere fotografati non sia cosa da tutti.

La musica che ruolo ha nei tuoi servizi fotografici?

Per il risultato delle mie fotografie il soggetto deve essere nella sua situazione migliore e per questo chiedo se vuole sentire musica e quale. Se devo scegliere io, ultimamente ascolto i Red Hot Chili Peppers, per un sound un po’ funky e un po’ rock che mi dà il giusto ritmo. In ogni caso la musica non manca mai in ogni produzione, anche nelle pause e durante il pranzo: è fondamentale e scandisce le giornate di lavoro accompagnandoci in ogni viaggio.

Articolo a cura di Paola Ferro 

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