Tony Canto: ecco la “Casa” di un “sognatore seriale”

Abbiamo intervistato il musicista che unisce le tradizioni siciliane e brasiliane

Bozza automatica 9

È in radio e disponibile in digitale “Casa” (Athena Produzioni Srls /Artist First), il nuovo brano del poliedrico artista Tony Canto, che partendo dalla Sicilia ha conquistato il Brasile fondendo nella sua musica le tradizioni siciliane e brasiliane. “Casa”, scritto dallo stesso Tony, è un brano dal sound brasiliano, marcatamente influenzato dall’armonia, dal ritmo e dal movimento tipico del paese verde oro.

Lo stile musicale di matrice pop internazionale richiama il samba, l’immancabile chitarra classica, suonata dallo stesso Tony,
e le percussioni fanno da anima del brano e accompagnano il testo scritto prevalentemente in italiano, arricchito da
espressioni inglesi e portoghesi. Tony affida alla musica, che è da sempre riconosciuta come linguaggio universale, un
messaggio di unione tra tutti i popoli e della non appartenenza ad una specifica parte del globo.

Ciao Tony, questo singolo rappresenta in qualche modo un tuo debutto…

È la prima volta che pubblico un singolo, ho pubblicato album ma quando si parla di singolo si entra in una logica più pop che a me è estranea perché io faccio altro: i miei progetti sono sempre stati chitarra classica, quartetto d’archi e percussioni minimali. Questo brano è adiacente al tempo che stiamo vivendo, dal punto di vista del testo parla della nostra casa che è il mondo. Qualsiasi cosa succeda si ripercuote su di noi, dai cambiamenti climatici alla guerra.

Un testo molto impegnato, si parla anche di unione tra popoli…

Sì, siamo un popolo unico, poi abbiamo questa convenzione delle nazioni, una cosa forse anche vecchia, infatti dal punto di vista politico è di difficile gestione. È  una questione anche filosofica-antropologica; gli animali ci insegnano questo, loro migrano per necessità di sopravvivenza senza passaporto. Per me le organizzazioni di persone nella storia hanno provocato grandi danni, ma non lo dico io lo diceva un signore molto più in alto di me: John Lennon. Sono dei totem per giustificare altri interessi, interessi economici. Se noi guardiamo al mondo come casa, l’unica casa possibile è l’esistenza, l’amore in senso laico: è chiaramente un sogno, ma è il mio punto di vista. In questa canzone ci sono molte diversità sia dal lato strumentale che da quello testuale, visto che vengono usati italiano, portoghese e inglese.

Sappiamo di questo tuo grande legame col Brasile, come nasce?

La passione nasce quando da adolescente ho sentito João Gilberto in radio e da allora per me è cambiata la vita, perché ho capito che si poteva fare musica cavalcando il silenzio con quell’eleganza. Poi io suono la chitarra classica quindi i ritmi e le armonie brasiliani sono una cosa incredibile. Sono stato varie volte in Brasile, la mia casa discografica è la Dubas Musica, brasiliana, ho fatto due tournée lì e ho suonato con i musicisti che suonano stabilmente con Caetano Veloso, Maria Bethania e Gilberto Gil.

A parte questi grandi artisti quali sono i tuoi punti di riferimento musicali?

Io ho avuto la fortuna, la grande fortuna di essere ragazzino quando è esploso Pino Daniele, una grande fortuna per la mia generazione perché ci ha dato la speranza di essere musicisti, di scrivere le canzoni però rispettando la musica; poi lui secondo me è stato un grande contaminatore che mescolava il blues americano, di cui era figlio, con la vera ricerca della tradizione napoletana. È  stato il mio padre putativo dal punto di vista musicale, quando avevo 14 anni imparavo gli accordi delle canzoni di Pino Daniele (che non erano poi così semplici). Se devo citare uno cito lui, poi ci sono altri come Peter Gabriel e tutti quelli che hanno fatto grande la musica pop.

Sei anche scrittore, il tuo libro si chiama “Il sognatore seriale”, come mai un titolo così particolare?

Ci sono delle sparizioni di persone nel paese dove vive il protagonista e si scoprirà che lui li sogna il giorno prima e rimangono intrappolati nei suoi sogni. Il sogno è un mondo terzo, come può esserlo il teatro, il cinema, dove ognuno è regista anarchico, si fa il proprio film e alle volte questa cosa può condizionare la realtà, ma non è un libro di fantascienza, da come si capisce nel finale. È un libro metaforico e drammaticamente ironico.

Sei il produttore di Mannarino, un autore di culto, come è lavorare con lui?

È molto importante, lo è stato già dagli inizi quando abbiamo lavorato al “Bar della rabbia”, dove c’è “Me So’ Mbriacato”, per intenderci. Ho prodotto e arrangiato quattro album per lui, è un puro, al di fuori dei tempi, segue soltanto la sua stella e questo è molto importante e poi secondo me lui ha inventato non il teatro canzone, quello di Gaber, ma la canzone teatro, cioè crea dei personaggi teatrali che si muovono all’interno dei testi delle sue canzoni come se la sua canzone fosse un palcoscenico: quando comincia la canzone si apre il sipario e quando finisce la canzone si chiude. Un artista puro che mi ha dato tanto, anche io penso di avere dato a lui e stiamo continuando a lavorare insieme, questa estate suonerò anche qualche cosa con lui.

E dal punto di vista umano com’è, andate d’accordo?

Sì, andiamo d’accordissimo, siamo molto amici.

In questi tempi imperversano i talent, tu cosa ne pensi?

Non voglio fare il vecchio bacucco, ma devo essere sincero, raccolgo un pensiero comune di quelli della mia generazione che sono cresciuti con altri musicisti, mi sembra tutto un copia e incolla, un linguaggio comune, non mi ci riconosco molto, anche se ci sono un paio di cose che sono molto, molto interessanti come Madame o Mahmood, sono molto eleganti, molto interessanti e soprattutto molto ben strutturati con un’idea artistica chiara. Il resto mi sembra una cosa mordi e fuggi, senza progettualità.

Madame e Mahmood hanno anche un grande successo di pubblico…

Perché il pubblico riconosce la bellezza, la coerenza, la serietà nell’affrontare le cose. Sarebbe bello che i giovani affrontassero questo lavoro come una cosa seria, perché la musica è una cosa seria.

Sia Madame che Mahmood sanno coniugare qualità e quantità e sono andati al Festival, che è un grande spettacolo di massa, forse artisti del genere qualche anno fa non ci sarebbero andati, tu cosa pensi di Sanremo?

Io penso che bisognerebbe cambiare nome, non Festival della musica italiana, ma della visualizzazione italiana. Siccome non si vendono più i dischi, allora i clic sono importanti; ma questo non vuole dire che in Italia si faccia quel tipo di musica, perché  ti posso assicurare che ci sono tanti ragazzi che fanno musica bella, ma non hanno questa opportunità perché non hanno i milioni di visualizzazioni. Poi possiamo anche interrogarci se queste visualizzazioni sono reali o no, ma non è il mio campo. Non voglio fare il nostalgico, ma voglio solo dire che l’approccio non è sempre artistico, ma numerico…

Quali sono i tuoi impegni futuri?

Adesso ho un progetto musicale che si chiama “Ritratti” che condivido con un grande armonicista jazz che si chiama Giuseppe Milici e da luglio cominceremo a fare concerti in tutta Italia. Porteremo le mie canzoni, la sua musica e faremo degli omaggi a dei grandi della musica internazionale. Inoltre sta per uscire un album di Mario Venuti che io ho prodotto, arrangiato e di cui ho scritto tre canzoni.

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Ruggero Biamonti
Ruggero Biamonti
Autore con esperienza decennale presso importanti realtà editoriali quali Rumors.it (partner di MSN), Vivere Milano, Fondazione Eni e Sole 24 Ore Cultura, si occupa di temi che spaziano dall'intrattenimento al lifestyle.
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