Stefano Giambanco, professione scenografo: le vibrazioni di uno spazio

Stefano Giambanco professionista dell’arte della scenografia, lavora da ormai più di trent’anni su set di film, fiction e pubblicità.

 

La funzione scenografica ha un ruolo fondamentale nel racconto di una storia. Una location significa non solo la scelta del contesto del luogo, ma si riferisce anche al tempo. Tempo inteso come luogo storico, un passato recente o remoto, il presente o un’epoca futura come nel caso della fantascienza. La scenografia ha la potenza di impreziosire e cogliere la vera essenza di un racconto, come una bella cornice con un quadro.

Nella progettazione di una scena, la bravura dello scenografo sta anche nel manipolare lo spazio e gli oggetti che ha a sua disposizione.

Questa disciplina così ampia, fluida e versatile sposa bene con molte forme d’arte, come la musica ad esempio.

Il rapporto tra musica e scenografia spesso è complementare. Con la loro unione si creano emozioni e bellezza.

L’ambientazione colma il vuoto dove le parole non riescono ad arrivare, perché le parole non arredano lo spazio.

Nell’intraprendere questo viaggio nel mondo della scenografia ho avuto il piacere di essere accompagnata da Stefano Giambanco. Professionista dell’arte della scenografia, lavora da ormai più di trent’anni su set di film, fiction e pubblicità.

Stefano Giambanco, professione scenografo: le vibrazioni di uno spazio
Stefano Giambanco

Raccontami della tua professione. Come nasce la tua carriera da scenografo?

Totalmente per caso, perché non avendo potuto fare studi specifici, in quanto all’epoca mia fine anni 70 oltre all’Accademia delle Belle Arti non c’era una formazione in quest’ambito. Dopo essermi diplomato a 18 anni, mia madre non mi ha mandato all’artistico, io a quel punto ho detto e ora cosa mi invento?! Ho frequentato un liceo assurdo con un’impronta militare, dove finiti gli studi si poteva intraprendere la carriera nell’aeronautica militare. Ma non era proprio la scuola che faceva per me, infatti al secondo anno ho mollato.

E poi che è successo?

Ho deviato facendo il geometra. Mi hanno insegnato a costruire, ci stava molta pratica, infatti è stata la mia base di architettura, che mi è tornata molto utile. Sicuramente mi sarebbe piaciuto fare l’accademia delle belle arti ma ho comunque accumulato una parte tecnica molto specifica che ha fruttato nel tempo.

Non sapevo che volevo fare lo scenografo, io volevo fare l’artista, punto! Non avevo ancora le idee ben chiare.

Finiti gli studi, sono entrato per caso, in un giro di restauratori di opere d’arte, avevo 19 anni. Ho imparato il mestiere facendo molta gavetta sui ponteggi dove mettevo mani su affreschi di noti artisti che risalgono al 400’. Ho studiato sul campo, rubando con gli occhi. Ma con il passare del tempo avevo capito che ero portato per qualcosa di più dinamico.

Un giorno, una mia amica che all’epoca frequentava l’accademia d’arte drammatica, mi disse che un amico della madre, scenografo, cercava un’assistente per un film sugli antichi romani, e così mi presentai.  Rimasi folgorato da questo mestiere, e avevo capito che era il lavoro adatto a me. Mi sono lanciato senza una preparazione specifica, ma tutte le esperienze precedenti mi sono tornate utilissime.

Sei uno scenografo affermato che ha lavorato su tanti set di film e fiction, ma quale tra queste esperienze hai un ricordo anche legato alla musica?

Mi sono divertito molto sul set del film “Ogni lasciato è perso” con la regia di Piero Chiambretti. Un film assurdo, che ho amato anche da un punto di vista scenografico, dove ho dato sfogo alla creatività andando anche un po’ sopra le righe. Un racconto autobiografico di sè stesso, di quando è stato lasciato dalla sua fidanzata e lui era impazzito dal dolore.

Mi ricordo di quando facevamo i sopraluoghi. Giravamo io e lui in macchina alla ricerca delle location, mentre mi faceva da cicerone per Torino metteva sempre molta musica, essendone un grande amante. Poi ovviamente durante le riprese avevamo tutti bisogno di concentrazione quindi si cercava molto silenzio. È stata una grande esperienza.

E poi ovviamente un altro ricordo che mi ha lasciato il segno è stato sul set di “Radiofreccia” con Luciano Ligabue.

Raccontami di più di Radiofreccia. Com’è stato lavorare per un artista che veniva proprio dalla musica e non dal cinema?

Spettacolare. Pensa che prima del film non avevo mai sentito la musica di Luciano Ligabue. Ascoltavo i classici cantautori come De Gregori, ma Ligabue non l’avevo mai approfondito. Mi piaceva anche molto l’elettronica tedesca. Diciamo che avevo abbandonato la famosa chitarra dei campeggi.

In Radiofraccia ero il direttore artistico, quindi ho curato sia i costumi che la scenografia. Luciano è un personaggio incredibile, molto rocker. Mi sono affezionato perché ho passato quasi un anno insieme a lui, tra preparazione e riprese. È stato fichissimo anche entrare nel vivo nella sua vita. Un’esperienza anche a livello emotivo molto forte, incredibile! Si era creata un’atmosfera unica e indimenticabile.

Mi ricordo di quando giravamo, lui aveva prima le canzoni in testa e poi le scene. Infatti quando abbiamo letto il copione ci ha fatto sentire la colonna sonora che era già pronta.

Quando è finito ho pensato, un altro film cosi con quell’atmosfera e quell’energia di primo pelo con tutti non l’ho più provata. Ho vissuto bellissime esperienze in tantissimi altri lavori, ma così emozionante con un artista appunto che veniva dalla musica non l’ho più vissuta.

Tu suoni qualche strumento?

Si, da piccolo. Mi divertivo molto a suonare la chitarra nei campeggi, dove intrattenevo le comitive. Suonavo i classici: Battisti, De Gregori e Pino Daniele. Poi per un periodo ho iniziato a suonare anche le percussioni. Mi esibivo nei concerti del liceo, andavo a suonare al liceo artistico Giulio Romano di Roma.

Qual è secondo te un elemento essenziale per chi intraprende questo mestiere?

La cosa più importante nel mio lavoro, ma anche in tanti altri, è sicuramente la curiosità. Soprattutto per chi sceglie di prendere un percorso artistico e creativo come lo è anche nella musica. Questo credo che sia una componente fondamentale, non smettere mai di cercare e ricercare nuovi stimoli.

 

Articolo a cura di Melissa Brucculeri

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