Intervista a Luca Bonaffini, autore, cantante, scrittore e regista. Sul concerto di Mantova del 9 agosto dice che “Sarà una serata di attività artistica che, in trent’anni anni, sono riuscito a unire”.
Cosa dobbiamo aspettarci dal tuo concerto a Mantova del 9 agosto? Che impronta hai voluto dare a questo live?
Un concerto. Una serata di musica, parole, ricordi, racconti che, in trent’anni di attività artistica, sono riuscito a unire. Per molti anni ho dichiarato sentitamente che il palcoscenico fosse troppo impegnativo per me, come artista solista. Ho preferito dedicarmi a tributi, regie, reading, direzioni artistiche e cd, ma solo registrazioni. Un percorso documentale che non fosse completamente al buio però, senza la luce abbagliante dei riflettori. Questo è un vero e proprio rientro che, da gennaio 2017 — se avremo mezzi e la gente lo vorrà — potrebbe essere un ritorno all’attività live. Sarà una notte “nuova” con tanto, tanto tiro. I musicisti sono indispensabili: i veri musicisti che amano e sanno fare suonare spartiti, mani, voci e orecchie!
Sei cantautore, scrittore e regista: qual è il mestiere che senti più tuo e perché?
Autore. Sempre autore, direi. La parte di questo mestiere che amo di più è quella creativa. L’aspetto della costruzione di un libro, di un spettacolo, di un album o di uno show concept per me è impagabile. Il resto è applicazione, coraggio e capacità di interpretare ciò che è già in essere.
Nel 2015 Mario Bonanno ha pubblicato un libro dedicato ai suoi trent’anni di carriera, intitolato “La protesta e l’amore. Conversazioni con Luca Bonaffini” Che effetto ti ha fatto un gesto del genere?
Postumo anche questo. Ma gradevole. Mario è uno scrittore e giornalista acuto, preparato e provocatore. Quindi ho potuto dare ampio spazio al “non sconosciuto” Bonaffiniano, svelando parti della mia storia e del mio carattere spesso nascosti. Una gran bella soddisfazione, grazie a Bonanno e a Gilgamesh editrice che ha appoggiato il progetto fin da subito, senza esitazione. Poi, l’elaborazione del passato, le rabbie, le sfide, le piccole vittorie, le grandi sconfitte. Insomma una bella panoramica su ciò che è stato, per non voltarsi indietro troppo, spesso infatti siamo prigionieri di spettri di un passato del quale siamo inconsapevoli. Ecco. Qui la consapevolezza la fa da padrone.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Un album, con tanti inediti e qualche brano ripescato dalla discografia (ma ri-arrangiato). E gli altri (libri, produzioni…) li lascio al divenire. Idee ne ho sempre tante, ma poi nel corso degli eventi si modificano. Non dovevo salire più sul palco, invece eccomi qua!
Con chi ti piacerebbe collaborare?
Con gente onesta e propositiva.
Quale esperienza, mai fatta fino ad ora, ti piacerebbe fare?
Realizzare una colonna sonora. È una cosa difficilissima. Ma amo le sfide.
Quali sono i tuoi modelli?
Se intendi musicali, preferisco chiamarli riferimenti. E allora parliamo di anni ’60 e ’70. Riferimenti alla musica d’oltremanica e d’oltre oceano. E i cantautori italiani, naturalmente. Insomma quelli del vinile!
Ci sono cantanti giovani che credi stiano seguendo un po’ il tuo genere e che ti somiglino?
I giovani si copiano tra di loro, non guardano ai padri o ai maestri. La musica di oggi è la continua celebrazione della paralisi culturale di una società che soffre la malattia del niente. Chi di loro spaccherà quelle regole, farà una vera e propria rivoluzione. Ma l’Italia, in questo, non funziona. Il massimo della rivoluzione è la scoperta di facebook.
Articolo di Paolo Aruffo.