Massimo Zanotti: I dettagli di colore, la mia ragione di vita

Massimo Zanotti: Umanità e precisione, fondamentali per un Direttore
Il Maestro Massimo Zanotti è un veterano del Festival di Sanremo, ma ha lavorato anche a tanti album con Big della musica: da Renato Zero a Claudio Baglioni fino ad Adriano Celentano)

Il Maestro Massimo Zanotti racconta il suo percorso da Direttore d’Orchestra

 

Quando Massimo Zanotti, nel 1995, lavorò per la prima volta sulle partiture di alcune canzoni in gara al Festival di Sanremo, forse non immaginava di avere riscontri importanti come suo padre Fio. Eppure la meticolosità nel lavoro e lo spirito di sacrificio, probabilmente nel DNA di famiglia, lo hanno reso praticamente da subito un Direttore d’Orchestra con peculiarità ben precise e distinte che identificano una delle personalità più apprezzate nel campo musicale.

Da Paola Turci a Cesare Cremonini, fino a Nek, Loredana Bertè, Eros Ramazzotti, Celentano, Morandi, Renga e tantissimi altri, quando gli artisti collaborano con Massimo Zanotti sanno di avere a che fare con un Direttore che fa della creatività ma anche della gentilezza e dell’attenzione ai dettagli le sue cifre principali. Valori che, per fortuna, hanno ancora una centralità nella musica e grazie ai quali arrivano poi risultati straordinari.

Massimo Zanotti è il diciottesimo ospite della nostra rubrica Musica Maestro.

Nel tuo caso ipotizzare come ti sei avvicinato alla musica potrebbe quasi scontato, ma immaginavi già da piccolo di diventare il Maestro Massimo Zanotti?

Assolutamente no. Effettivamente sono nato in una famiglia di musicisti: da mio nonno ai miei zii fino ai miei genitori. Mia madre si diplomò in violoncello mentre aspettava me che, nella pancia, venivo coccolato da quel suono meraviglioso. Abitavamo in un piccolo appartamento a Bologna dove mio padre aveva il pianoforte nella mia stanza e ci lavorava tutte le notti. Insomma respiravo le sette note in ogni momento della mia giornata, eppure per molto tempo dalla musica sono rimasto distaccato.

Come cambiarono le cose?

Quando venni ad abitare a Monzuno, in provincia di Bologna, tutti i miei amici suonavano nella banda del paese. Per stare con loro, iniziai quindi a suonare il corno: avevo undici anni. In seguito studiai lo strumento alla scuola di musica di Fiesole; quindi mi avvicinai al pianoforte e a 14 anni entrai in Conservatorio per frequentare gli studi di Composizione. Quando avevo circa 18 anni un negoziante regalò a mio padre un trombone, che io iniziai a studiare da autodidatta entrandoci piano piano in sintonia fino a farlo diventare il mio strumento principale ed in seguito a diplomarmi. L’attività di scrittura e arrangiamento, però, mi ha sempre accompagnato nel tempo. Grazie allo studio, al lavoro e tanti sacrifici sono riuscito a farla diventare la mia caratteristica principale.

C’è una missione che senti di avere quando dirigi l’orchestra?

L’unica “missione” che ho è quella di poter essere la versione migliore di me, per meritare il rispetto delle persone che ho davanti.

I musicisti dell’orchestra sono un indicatore perfetto: se comprendono che hai consapevolezza di ciò che stai facendo e chiedendo loro, allora ti seguiranno con entusiasmo e con grande spirito di squadra. Ritengo altresì fondamentale il rapporto umano, l’empatia, la condivisione di emozioni. Un’orchestra col cuore aperto suonerà sempre in maniera molto più viva e magica.

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Massimo Zanotti è il diciottesimo ospite della rubrica Musica Maestro

Com’è il rapporto con il cantante durante l’esecuzione che lo vede già concentrato e teso davanti alle telecamere?

In quel momento, e comunque sempre, credo che sia importante dare serenità e positività, magari può capitare attraverso un incrocio di sguardi, un gesto d’intesa. Poi devi sempre capire la persona con cui hai a che fare, c’è chi in quel momento magari cerca energie anche attorno a sé e chi invece si isola nella concentrazione. Anche l’aspetto psicologico e la comprensione dell’altro sono sempre importantissimi.

C’è un gesto che caratterizza il Maestro Massimo Zanotti?

Ho un approccio rispettoso ma non troppo formale. Mi è capitato di dirigere spesso persone che conosco, in qualche caso persino ex colleghi: viene quindi spontaneo propormi con educazione, salutando subito tutti gli orchestrali prima di chiunque altro sul palcoscenico e dando la mano al primo violino. L’aspetto umano è per me prioritario e determinante.

Dal punto di vista tecnico qual è la direzione perfetta?

Quella che lavora su una scrittura ben orchestrata e ben distribuita: quando la musica è scritta bene ogni musicista si sente in una perfetta relazione con tutto ciò che ha intorno e questo gli consente di suonare nel suo giusto spazio e con i giusti riferimenti. La conseguenza di ciò è un’esecuzione migliore, più sentita, assieme ad una maggiore efficacia di tutta l’orchestra.

Quando vedo i musicisti che si divertono eseguendo musica scritta da me, sinceramente sento di aver centrato un obiettivo importante.

Quanto tempo richiede un lavoro di orchestrazione con tutta l’attenzione ai dettagli?

Se voglio essere sicuro che tutti i dettagli siano a posto certamente ti posso dire che non è un lavoro veloce. Se ci aggiungi che chiedo a me stesso sempre il massimo, è facile tirare le conclusioni! Mi capita spesso di ricevere brani già arrangiati nella parte ritmica, sui quali io devo scrivere e registrare tutta la parte orchestrale, archi, fiati ,percussioni, coro e quant’altro. Quei dettagli di colore sono tutta la mia ragione di vita: alla fine di un lavoro devo sentirmi totalmente felice di riascoltarlo. Dipende anche molto dalla canzone, perché quando è bella ed è già scritta bene, è come se contenesse in sé il suo destino finale e ti può suggerire tanto.

Il tuo lavoro più significativo fino a questo momento?

Difficile rispondere: ho potuto collaborare con Artisti molto importanti nel corso del tempo, ricordo delle bellissime sessioni di archi con Eros Ramazzotti, con Biagio Antonacci, con Nek. E sicuramente le direzioni a Sanremo, tutte bellissime e sentitissime: con la Bertè (nel 2019, Cosa ti aspetti da me, ndr) quasi ci scappava il colpaccio! (già ottenuto lavorando alle partiture di Senza pietà nel 1999, Doppiamente fragili nel 2002 e Occidentali’s Karma nel 2017, ndr).

Ma credo che il lavoro che ha avuto più riscontro sia la cover di Se telefonando con Nek nel 2015.

Molti giovani oggi credono che la canzone sia di Nek: gliel’avete cucita addosso come non è mai accaduto per nessun’altra cover presentata a Sanremo!

Quell’arrangiamento, realizzato per la parte ritmica dal mio amico Luca Chiaravalli e per la parte orchestrale da me, è diventato un po’ un classico e molti ancora oggi lo prediligono come vestito rispetto addirittura alla versione originale: recentemente anche Il Volo nell’omaggio a Ennio Morricone.

Quell’orchestrazione la realizzai in due giorni senza andare a letto: come sempre i tempi erano stretti sotto Sanremo! Il pezzo, però, è bellissimo; la linea melodica è stupenda e questo mi ha aiutato molto nello scrivere le contromelodie degli archi. Nek poi è un cantante eccezionale e ha fatto decollare il tutto.

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Massimiliano Beneggi
Massimiliano Beneggi
Massimiliano Beneggi, laureato in filosofia con una tesi sulla comicitá contemporanea riletta attraverso Bergson e Freud, è appassionato di musica e teatro. Racconta con rigore aneddotico la storia del Festival di Sanremo e della musica italiana, suggerendo ogni volta spunti filosofici e inediti.
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