Manupuma: Cuore leggero, anima piena

Manupuma: c’è qualcosa di profondamente magnetico nel modo in cui  racconta la sua storia. Voce milanese, anima internazionale, spirito nomade

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Manupuma

C’è qualcosa di profondamente magnetico nel modo in cui Manupuma racconta la sua storia. Voce milanese, anima internazionale, spirito nomade. Non è una semplice cantautrice, ma un’artista nel senso più ampio, una che attraversa i linguaggi, che conosce il corpo, la scena, la musica e il silenzio.

Il suo nuovo singolo “Charleston” arriva come una cartolina stropicciata, spedita da un passato fatto di marcette malinconiche e pianoforti storti, che si fanno colonna sonora di emozioni troppo complesse per essere dette a voce piena. Ma lei le fischietta. Come se bastasse quel fischio per tenere a bada l’instabilità delle cose.

“Charleston” non è un caso isolato, ma la naturale prosecuzione di un percorso iniziato anni fa e raccolto oggi nell’album Cuore Leggero, un disco che porta dentro pezzi nuovi e altri rivisitati, con l’aria di chi torna a casa dopo un lungo viaggio e riscopre vecchie stanze con occhi diversi.

Il teatro prima della musica

Manupuma nasce nel teatro. Non nel senso anagrafico, ma in quello artistico. Il suo baricentro creativo affonda le radici nel lavoro fisico, nella voce che attraversa il corpo, in quell’esperienza rigorosa che ha il nome di Naira Gonzalez, attrice e pedagoga del teatro di Eugenio Barba. «Con Naira ho trovato il mio centro di gravità artistico» racconta. Da Gubbio a Roma, passando per il metodo Strasberg e jam session a Los Angeles, il suo percorso non è mai stato lineare. Ma è proprio da questo zigzagare che nasce la sua cifra unica.

Quando torna a Milano, la città che l’ha vista crescere tra i banchi di Brera e le notti nei centri sociali, incontra Michele Ranauro. Nasce una relazione sentimentale e artistica che sarà fondativa. «Andavamo in studio a fare jingle, era un bellissimo modo per sopravvivere» dice con il sorriso di chi sa che a volte si sopravvive prima ancora di vivere davvero.

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L’inizio sotto i riflettori (e le ombre)

Il debutto ufficiale arriva con Musicultura, dove vince il premio per la miglior interpretazione. Poi il contratto con Universal, il singolo “Ladruncoli” che finisce nella campagna mondiale di Moschino, l’apertura del tour teatrale di Joan as a Police Woman. Successi importanti, certo. Ma anche un prezzo da pagare.

All’epoca Manupuma e Michele Ranauro erano una coppia a tutti gli effetti, dentro e fuori lo studio. Scrivevano, vivevano, litigavano e creavano insieme. «Sul palco funzionavamo, eravamo proprio io e lui» ricorda. Ma l’industria ha le sue regole, e la Universal non voleva l’immagine di un duo. Voleva una solista. Una voce femminile da lanciare sul mercato. E così quella magia costruita a due mani si è incrinata. «Per esigenze commerciali i nostri pezzi venivano presi, buttati in lavatrice, mischiati con suoni pesanti per andare in radio. Ma lì dentro c’era la nostra anima più delicata».

La rottura con l’etichetta segna il ritorno all’indipendenza. Una scelta di libertà, ma anche di fatica. «Senza una label hai il controllo, ma anche tutto il peso sulle spalle». Eppure, è proprio da qui che nasce Cuore Leggero, un album che suona esattamente come voleva: jazzato, teatrale, pieno di anima. Michele torna al pianoforte, e qualcosa tra loro si ricompone, almeno dal punto di vista artistico. Un ritorno condiviso alla creazione, fatto di scelte sonore sottili, ricercate, intime. Non più come coppia nella vita, ma ancora come sodali nel suono.

Una voce fuori dai confini

A vederla oggi, Manupuma è una delle voci più originali della scena femminile italiana. Ma il suo cuore, lei stessa lo dice, batte altrove. Nello studio campeggia un manifesto di Nina Simone. Tra le sue influenze cita Janis Joplin, ma poi precisa: «In realtà non mi ispiro a un artista in particolare, ma a dei generi».

E sono generi che non hanno nulla di locale. Il free jazz e il soul su tutti, ma anche quella musica di confine che nasce dalla fusione degli stili, dalle contaminazioni, dal fuoco irregolare di certe esperienze americane e inglesi. «Mi sembrava strano essere italiana all’inizio, perché la musica che amo io ha tutt’altra origine – racconta. Mi piace la musica che viene dalla fusione tra il free jazz, il soul, la rivisitazione operistica della Beat Generation fino ai Beatles. I miei confini vanno dalla East alla West Coast, per poi arrivare in Inghilterra».

E quando canta, non è solo questione di tecnica. «Le influenze per me non sono solo nel modo di cantare, ma nell’anima. Il soul e il blues mi hanno insegnato a cantare con l’anima». E oggi questa voce così piena di geografie lontane è riuscita a trovare la sua lingua anche in italiano. Senza forzature. Senza maschere. Solo lei, e il suono che la attraversa.

 

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Milano, madre e amante

Milano non è solo la sua città, è una parte viva della sua storia. Dalle performance nei capannoni abbandonati di via Malaga, ai concerti improvvisati in Conchetta, fino al ricordo struggente dei binari morti di Santa Rita, Manupuma racconta una Milano underground e romantica, piena di incontri e possibilità. “L’ho amata troppo. Per questo a un certo punto sono scappata.”

Ma Milano è anche il luogo dove potrebbe tornare con i suoi live. Non nei grandi teatri, ma in spazi intimi, pieni di ascolto: «Mi piacerebbe suonare al Franco Parenti. Pianoforte, contrabbasso, giochi teatrali. Voglio un live che catturi davvero».

Un cuore leggero, ma non vuoto

Il titolo dell’album è Cuore Leggero, ma la leggerezza di Manupuma non è mai superficiale. È una leggerezza che arriva dopo aver guardato in faccia le cose difficili. Dopo aver attraversato le fratture, gli addii, i silenzi. È la leggerezza di chi ha imparato a lasciare andare, ma sa ancora sentire profondamente.

Nel suo canto, c’è qualcosa di antico e nuovo insieme. Una voce che non cerca di piacere a tutti, ma che arriva dritta a chi ha voglia di ascoltare davvero.

E forse è proprio questo, oggi, il suo modo più vero di esistere nella musica.

Articolo di Mauro Teti

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Redazione
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