In occasione dell’edizione 2016 di “Piano City” a Milano, Musica361 ha incontrato uno dei suoi protagonisti più rappresentativi, il pianista jazz Gaetano Liguori.
Napoletano di origine ma milanese d’adozione, Gaetano Liguori è uno dei più noti pianisti jazz, il primo italiano a suonare in India, Thailandia, Singapore e Malesia.
Il mestiere l’ha geneticamente ereditato in famiglia dal padre, pure lui musicista, e dalla zio Gegè Di Giacomo, storico batterista di Renato Carosone: «Ho imparato a suonare la batteria a 8 anni…poi ho scoperto che il pianoforte poteva darmi una gamma espressiva maggiore».
Una vita dedicata alla passione per la musica e all’insegnamento in Conservatorio, all’impegno politico e ai viaggi di solidarietà: una carriera ben sintetizzata nel docu-film “Gaetano Liguori – Una storia Jazz” (2015), che sarà proiettato questa sera presso l’auditorium della Camera del Lavoro in occasione del suo compleanno (ingresso libero).
Come è nata l’idea di questo documentario realizzato da Valerio Finessi?
Due anni fa ho pubblicato la mia biografia “Confesso che ho suonato” (2014, Skira). Rievocando tanti aneddoti mi è venuta la voglia di dare un supporto visivo alla mia storia, attraverso le immagini di testimonianze e luoghi indimenticabili che hanno rappresentato tappe fondamentali della mia vita.
Ho messo a disposizione, per la documentazione dei primi anni, i miei filmini privati super 8mm – in cui si vede piazzale Corvetto che con i suoi campi di pecore e pastori negli anni ’60 sembrava la steppa – montati insieme a filmati di repertorio del periodo in cui studiavo pianoforte in Conservatorio o della passione politica in Università, fino a momenti più recenti, ad esempio mentre suono in piazza San Fedele per un’edizione di Piano City.
È un viaggio attraverso i miei luoghi milanesi, intervallato da interviste a personaggi che raccontano come hanno incontrato e “vissuto” Gaetano Liguori: da Franco Fayenz, il primo giornalista che mi ha scoperto, al mio bassista del Trio Idea Roberto Delpiano, passando per Gianni Barbacetto che ha condiviso con me i tempi della Statale. Quindi un documentario in cui si parla di me…ma non parlo solo io! E naturalmente la colonna sonora è la mia musica.
Per questo il sottotitolo è “Una storia jazz?”
Non solo ma anche perché l’andamento stesso della mia vita, proprio come nel jazz, è stato caratterizzato dall’alternanza di certezze e momenti di improvvisazione… (sorride).
Restando ai “suoi” luoghi, perché proprio la scelta dell’auditorium della Camera del Lavoro come sede della proiezione del documentario?
Perché anche la Camera del Lavoro appartiene alla mia storia: ricordo che venivo qui nel 1966-67 a vedere Dario Fo. Ed è molto emozionante pensare che oggi, quasi 50 anni dopo, mi ritrovi a festeggiare il mio compleanno in uno spazio diventato in qualche modo “mitico”.
Un altro capitolo importante della sua carriera è Piano City. Un appuntamento milanese al quale ha sempre partecipato e quest’anno alla quinta edizione: come ricorda l’esordio di questa manifestazione cinque anni fa?
Piano City è un evento che ha risposto ad una scelta per parte mia abbracciata già 40 anni fa, quella cioè di portare la musica fuori dal circuito ordinario: io sono stato tra i primi negli anni ’70 a suonare ad esempio in metropolitana o in piazza Duomo a Ferragosto.
Già all’epoca avevo desiderio, insieme ad altri colleghi, di creare circuiti alternativi cercando nuovi spazi per esibirmi in mezzo alla gente: ho fatto concerti nelle piazze, nelle scuole, nelle università, nei circoli arci, nei kral e persino negli ospedali.
Poi nel 2012 Stefano Boeri, allora assessore, mi parlò di Piano City, un tipo di manifestazione che si allineava a quest’idea di circuito alternativo e che già stava prendendo piede in altre città europee. La prima edizione ebbe luogo alla caserma di via Mascheroni: una maratona musicale di trenta pianisti al chiuso…era dicembre e c’era un freddo polare!
Dopo quella prima edizione però Piano City ha sempre più contribuito ad invitare i cittadini a partecipare ad un nuovo tipo di ascolto e socialità: i pianoforti hanno invaso cortili, stazioni, tram, barche, musei, parchi e scuole, trasformando la città in un unico grande palcoscenico a cielo aperto.
Gli altri quattro appuntamenti si sono tenuti nei luoghi più inaspettati: io ho suonato un anno alla chiesa di San Fedele, un altro anno al teatro Litta, e nelle ultime edizioni al Piano Center di via Palestro 16, dove anche quest’anno mi esibirò, il prossimo sabato pomeriggio.
Il concerto sarà intitolato “Un pianoforte per i Giusti” sostenuto dall’associazione “Il Giardino dei Giusti” a cui io ho aderito già da anni, e per la quale ho inciso anche un album.
Cosa ascolteremo?
Riprenderò i pezzi dell’ultimo concerto che ho fatto a Milano a Palazzo Marino lo scorso 6 marzo, durante la “Giornata dei Giusti”: si tratta appunto dei brani del mio primo disco di solo piano registrato nella Sala Verdi del Conservatorio l’estate scorsa.
Insieme ai brani per i Giusti ne eseguirò anche altri miei storici come “Il comandante” e “La tarantella”. E poi un omaggio a due grandi musicisti, lontani nel tempo ma vicini nella creatività: farò un’improvvisazione sul “Don Giovanni” di Wolfang Amadeus Mozart e su “Hey Joe”, resa celebre da Jimi Hendrix.
Lei è stato anche direttore artistico di alcune manifestazioni musicali: tra i protagonisti di Piano City ci consiglia in particolare qualche nuovo collega, magari da scoprire?
Ci sono indubbiamente tanti giovani promettenti pianisti che meritano di essere ascoltati. Personalmente però resto sempre affezionato a esponenti della vecchia guardia, come Patrizio Fariselli o Roberto Cacciapaglia. Anche perché è un po’ “inquietante” pensare che dalla prima edizione cinque anni fa se ne siano già andati alcuni colleghi come Giorgio Gaslini: in pochi anni mi sono ritrovato ad essere io uno dei più anziani…
Prossimi concerti invece?
Il 2 giugno rappresenterò il jazz ad un altro appuntamento milanese a cui tengo molto: suonerò sulla barca in Darsena col Trio Idea per la Festa del Naviglio, insieme a l’Orchestra dei Popoli.
Prossimi progetti?
Sto finendo di scrivere un nuovo libro che presenterò a BookCity a novembre sull’altra mia grande passione dopo la musica: il cinema western. Si intitolerà: “Non sparate sul pianista – Viaggio nel cinema western”, Skira editore.
Sono sempre stato affascinato da quei film in cui erano in primo piano lealtà, amicizia, impegni presi e parole d’onore…tutti valori magari un po’ romanzati ma nei quali credevo e credo ancora. E non a caso anche uno dei miei dischi si intitola proprio “Noi credevamo…e crediamo ancora” (2011).
Per quanto riguarda la musica invece, sta componendo o lavorando a qualcosa?
È appena uscito un disco a marzo quindi per ora mi risparmio…A settembre invece verrà pubblicata una ristampa su vinile e CD del mio “Collective Orchestra” (1977), storico album al quale hanno preso parte Massimo Urbani, Guido Mazzon e tutti i giovani più talentuosi dell’epoca.
E poi?
…e poi l’anno prossimo andrò in pensione e mi riposerò un po’ (ride)! Senza perdere però la voglia di fare questo mestiere. Il messaggio che spero di aver più trasmesso in questi anni di insegnamento al Conservatorio, o attraverso libri, dischi e interviste è che noi musicisti facciamo il più bel mestiere del mondo…e ci pagano pure!