#Notedicarta: “Chi ha paura dei Rolling Stones? Eccessi e successi della più grande rock’n’roll band del mondo descritti dalla stampa italiana”

Rolling Stones o Beatles? Senza dubbio questa domanda rappresenta una delle più grandi rivalità della storia della musica. Di fatto, però, la meteora dei Beatles si snoda attraverso appena dieci anni della storia della musica internazionale, dal 1960 al 1970, contro una carriera, quella dei Rolling Stones iniziata nel 1962 e ancora attiva.
E poco importa, come sostengono i beatlesiani di ferro, che le loro canzoni sono “per sempre” perché questo succede per la maggior parte delle band nate in quel magico decennio, quel decennio in cui si formarono Pink Floyd, Led Zeppelin, Queen, Deep Purple, AC/DC, Genesis, Dire Straits, Jethro Tull, Eagles, The Who, Black Sabbath e l’elenco potrebbe allungarsi ancora aggiungendo, ovviamente, Rolling Stones e Beatles.
Ma, per tornare alla domanda iniziale, le due band britanniche hanno rappresentato non solo due lati della stessa medaglia, quella della musica, ma anche i due lati della società del tempo. Jagger era il vicino di casa indesiderabile e indesiderato, quello che avrebbe messo a dura prova la virtù delle figlie.

Brutto, sporco e cattivo, insomma, come lo furono gli Stones. Dall’altro lato il visetto grazioso di McCartney che, seppur con i capelli lunghi, portava in dote quell’aria di bravo ragazzo che avrebbe convinto la madre a lasciar uscire con lui la figlia.
Dal punto di vista musicale, poi, diventa difficile confrontare due band che, a parte una labile identità comune riguardante il blues e il rithm’n’blues, hanno sviluppato il proprio percorso artistico verso il pop, seppur inglese, dei Beatles e quello più rock degli Stones.
Che i Rolling Stones abbiano spesso pagato il prezzo della loro cattiva fama è da sempre noto, ma ora Alberto Pallotta, scrittore e critico cinematografico romano, grande conoscitore del gruppo britannico, con il suo “Chi ha paura dei Rolling Stones? Eccessi e successi della più grande rock’n’roll band del mondo descritti dalla stampa italiana” edito da Arcana edizioni, lo mette nero su bianco, qualora ce ne fosse bisogno.
Trecentoventi pagine, suddivise in capitoli ognuno dei quali dedicato a un episodio o a un aspetto iconico relativo alla band.
Il libro di Pallotta ripercorre le ragioni che stanno dietro la loro cattiva fama, dalla loro nascita nel 1962 nel segno di Robert Johnson e Muddy Waters, al primo articolo apparso sulla stampa nazionale nel 1964, dai continui scontri con la censura e con le forze dell’ordine, alle

ripercussioni che quella nomea ebbe sul pubblico italiano, generalmente conservatore e suscettibile di fronte alle disavventure degli Stones che culminarono con l’omicidio di uno spettatore durante lo storico concerto di Altamont quando, il 6 dicembre 1969, i Rolling Stones salirono sullo sgangherato palco di un concerto organizzato al circuito di Altamont, in California, come risposta della costa occidentale degli Stati Uniti al festival di Woodstock, avvenuto poco prima.
Quasi 300mila le persone che avevano già assistito alle esibizioni degli artisti che avevano preceduto gli Stones, i quali, essendo una delle band rock più famose del mondo, erano gli ultimi a suonare.
Durante lo show Meredith Hunter, un giovane afroamericano fu accoltellato a pochi metri dal palco e questo evento lo trasformò in uno degli eventi più tristemente noti della storia del rock, segnando il momento in cui, secondo molti critici musicali, si chiusero tragicamente gli anni Sessanta della cultura hippie e del pacifismo.
“La stagione del grande rock ha solo sfiorato il nostro Paese, dove il pop è stato sempre più amato e la musica dei Beatles è stata sempre ritenuta più tranquilla e orecchiabile. Da noi, tanti anni fa, erano pochissimi quelli che conoscevano l’inglese e il prodotto anglosassone, nei suoi termini incomprensibili, metteva a disagio la massa.

Erano molto più confortanti le cover di brani famosi, tradotti, spesso, con tutt’altro significato, nella nostra lingua. Se i Beatles erano dei rivoluzionari, degli innovatori, gli Stones erano dei sovversivi che attingevano dal blues. Entrambi erano frutto di corposi movimenti generazionali, ma tra loro erano molto diversi”, scrive Pallotta.
Unico limite, che però non inficia la qualità del lavoro di Pallotta sono le fonti. Pallotta ha compiuto la sua (peraltro encomiabile) ricerca attingendo agli archivi di pochi quotidiani e nella sua ricerca, e quindi suo libro, mancano diverse testate nazionali su cui scrivevano autorevoli critici musicali, i rotocalchi e la stampa specializzata.
Il fatto che, tra le fonti, non ci sia “Ciao 2001” rappresenta una pecca non di poco conto.
A proposito della domanda iniziale, invece, io non ho alcun dubbio sulla risposta e, per onestà intellettuale nei vostri confronti, ve la scrivo: Rolling Stones.