Dato il titolo del suo ultimo lavoro non potevamo non chiedere ad Angelo Schiavi quali fossero questi pensieri Jazz che affollano la mente dell’artista, il quale ci ha risposto dall’alto della sua lunga esperienza di musicista e formatore…
Ciao Angelo, parliamo innanzitutto del tuo ultimo lavoro: Jazz Thoughts, come sono questi pensieri jazz?
In questi pensieri c’è di tutto perché la situazione generale la conosciamo tutti… ma partendo dalle cose buone: è nato tutto da un libro che io ho fatto insieme a Fabrizio Bosso in cui l’improvvisazione viene accomunata alla composizione, siamo poi passati alla sperimentazione insieme a una mia classe di bravissimi musicisti, professionisti, ma molto giovani.
L’album è stato anticipato da un singolo Promised Land, un omaggio all’isola che non c’è, dove le guerre svaniscono, quanto mai attuale…
Sì, è legato alla situazione attuale, sia nazionale che internazionale, se ti capita di guidare vedi che la mentalità della guerra si è spalmata a tutti i livelli, anche nel traffico. C’è tutto un fighting continuo…
Hai collaborato con un grande nome del Jazz italiano: Fabrizio Bosso, come è il vostro rapporto professionale, andate sempre d’accordo?
Con Fabrizio non si può litigare perché è una persona che va dritto al sodo, ha pochi fronzoli: mi permetto di dire che Fabrizio non è solo un grande nome del Jazz italiano, ma è un grande nome del Jazz internazionale, Ho avuto a che fare con tanti trombettisti, ma il controllo della tromba e la musicalità di Fabrizio non sono secondi a nessuno, e anche il rapporto umano è eccellente.
Cosa ne pensi del Festival di Sanremo?
Qualsiasi evento mediatico che si occupi veramente di musica è positivo, certo alle volte vengono spacciate delle cose che tutto sembrano meno che musica, più che altro spettacolo.
Sei un docente, hai detto una cosa importante sull’improvvisazione che va costruita: “Non basta aprire il cuore…”
“Apri il tuo cuore e suona” è un vecchio detto che affonda le radici negli anni ’80, quando passava un concetto distorto dell’improvvisazione e della libertà che il Jazz evocherebbe e significava fare quello che ti viene in mente, anche una paccottiglia di note storte, ma le persone si allontanavano dal Jazz per questo motivo. Fortunatamente negli ultimi tempi questa cosa sta cambiando.
Prima di lasciarci ci riveli quali sono i tuoi miti del Jazz?
Ho avuto tanti miti, è inutile starti a dire quelli che sono stati i miti di tutti: John Coltrane, John Anderson, Freddie Hubbard; ma posso citare anche quelli che ho visto più da vicino come Roy Hargrove o anche musicisti con i quali ho lavorato che avevano una solida preparazione come Andy Gravish o Vince Benedetti, ho avuto la fortuna di incidere con questi nomi e mi hanno parecchio “addrizzato la schiena”.
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