Lalla Francia: «Ci vuole armonia per fare musica»

Musica361 intervista Lalla Francia, una signora della musica italiana che non ha bisogno di presentazioni. E che oggi corona la sua straordinaria carriera alla direzione della Accademia09 di Milano.

Lalla-Francia
Lalla Francia.

Equipe 84, Fiorella Mannoia, Al Bano e Romina Power, Jovanotti, Eros Ramazzotti, Fiordaliso, Pupo, Francesco De Gregori, Francesco Salvi, Giorgio Faletti, Biagio Antonacci, Toto Cutugno, Articolo 31, Fabio Concato, J-Ax, Umberto Tozzi, Ricchi e Poveri, Matia Bazar, Enzo Jannacci, Gianni Togni, Massimo Bubola. Sono solo alcuni dei nomi degli artisti con i quali ha collaborato Lalla Francia, eccellente cantante e leggendaria corista presente nei dischi dei più importanti interpreti e cantautori della storia della musica leggera italiana, nonché vocal coach di grande esperienza. Dal 2009 è docente e direttrice dell’Accademia09 di Milano.

Prima tappa al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano studiando violino e pianoforte. Volontà sua o di famiglia?
Vengo da una famiglia in cui tutti sono sempre stati ben più che semplici appassionati di musica: a cominciare da mia nonna, corista all’Opera di Firenze. Mio padre, cameriere ad Anghiari, cantava benissimo, spesso lo chiamavano per fare le serenate. Anche mia madre aveva una bella voce: i ricordi più belli da piccola sono di lei che faceva i mestieri cantando alla finestra con tutto il quartiere che si radunava ad ascoltarla. Mia sorella Eloisa è pure lei musicista, ha studiato pianoforte e lirica e insegna. Quando mia sorella ed io abbiamo deciso di studiare seriamente musica i miei si dimostrarono subito favorevoli senza pensare che quella sarebbe diventata una professione. Io avrei persino voluto frequentare il liceo ma fu per prima la mia insegnante di violino che si oppose, perché pensava che mi avrebbe distratto: diceva che ero nata per fare la musicista.

Seconda tappa: a 15 anni con la sorella Eloisa fonda il gruppo Le Particelle, che pubblica un solo album. Cosa ricorda di quella prima esperienza discografica?
Ah sì…(sorride). Il disco si chiamava Azimuth 1. Si trattava di un gruppo nato semplicemente dall’amicizia comune tra colleghi: tutti noi lavoravamo con Paola Orlandi, sorella di Nora, che aveva fondato un coro qui a Milano. C’era il batterista Andy Surdi, Donato Renzetti, oggi uno dei più grandi direttori d’orchestra/opera, gli autori e compositori Maurizio Fabrizio e Salvatore Popi Fabrizio e Sergio Menegale. Il produttore discografico della CGD ci aveva sentito cantare nei dischi degli altri e ritenendoci un gruppo vocale meraviglioso ci propose questa operazione. Così realizzammo questo disco nel quale avevamo riproposto in italiano cover di pezzi famosissimi, ad esempio di Simon&Garfunkel. Anche la copertina era particolare, ognuno di noi era travestito eccentricamente: io ad esempio avevo un tutù da ballerina. La foto fu realizzata da Cesare Montalbetti, in arte Cesare Monti, nonché fratello di Petruccio dei Dik-Dik, per decenni il fotografo per eccellenza di tutte le copertine dei dischi di musica leggera italiana. Si trattò comunque di un gruppo senza alcuna velleità: erano tempi in cui c’era la possibilità di sperimentare e ci fu permesso di assecondare questa voglia.

Siamo sempre al 1971: viene chiamata dalla famosissima Nora Orlandi per partecipare al Festival di Sanremo nel gruppo dei 4+4. Come ricorda della prima volta a Sanremo soprattutto data la giovane età?
Se ripenso alla mia prima volta a Sanremo oggi mi viene da ridere: il patron del Festival, Gianni Ravera, era preoccupatissimo perché ero minorenne. Tanto che i miei genitori andarono a firmare in Questura a Milano per avere il permesso per esibirmi. Ricordo che mi alzavo il mattino presto e cominciavo a truccarmi: mi mettevo ciglia finte, il rossetto e disegnavo la riga nera intorno agli occhi per sembrare più adulta. Quell’edizione era al salone delle feste del Casinò, con l’orchestra in buca e il coro sul palco insieme agli artisti. Ho ricordi bellissimi: ho cantato per la prima volta dal vivo con Lucio Dalla, Little Tony, Patty Pravo, Josè Feliciano, Domenico Modugno, Adriano Celentano e Nicola di Bari e Nada che hanno vinto con Il cuore è uno zingaro. Era un evento veramente importante per la musica. Quando ancora era veramente il festival della musica e non un evento televisivo come oggi. Non c’era ancora spazio per i comici o altro, l’attenzione era tutta per gli interpreti, i musicisti, gli autori e gli arrangiatori: il festival della musica appunto.

Da quella prima edizione di Sanremo poi ne sono seguite tante altre. Una che ricorda in particolare?
Nel 1984 ero a Sanremo con Albano e Romina, e gli ospiti erano i Queen. Arrivarono ciascuno con un aereo diverso per evitare che il gruppo potesse estinguersi completamente in caso di incidente. Quando entrarono in teatro io mi trovavo dietro le quinte perché subito dopo toccava a noi. E quando Freddie Mercury e gli altri passarono, i bodyguard schiacciarono contro le pareti qualsiasi cosa potessero schiacciare per agevolare il loro passaggio. Freddie, coi suoi pantaloni bianchi e a petto nudo, era bello come Gesù: appena saliti sul palco ci fu un boato in sala. E in più ricordo che Brian May, il chitarrista dei Queen, “mi batteva i pezzi”…

C’era simpatia?
Mi faceva il filo. Dopo l’esibizione mi fermai a parlare col pianista Michael Logan, il padre dell’attrice Veronica Logan. Stavamo parlando in camerino e spunta ad un certo punto questo tizio allampanato, magro magro e con questo capoccione di capelli: Brian May. Aveva capito che Mike era inglese e si inserì nella nostra conversazione. Mike allora mi dice: Brian vorrebbe conoscerti. E io “Nice to meet you”… Lo rincontrai altre volte durante il Festival, mi lasciò persino il bigliettino da visita, perché all’epoca non esistevano ancora i cellulari. Ma non lo chiamai mai. Sarei potuta diventare la signora May, chissà! Però a me non piaceva e non successe nulla…

Dai primi anni ’70 ha inizio la sua sterminata carriera di corista in sala d’incisione: c’è qualche artista con il quale ha mantenuto anche un rapporto d’amicizia oltreché professionale?
Ho ottimi rapporti con Francesco De Gregori, Fiorella Mannoia e Fausto Leali: con loro è rimasta proprio un’amicizia. Ho comunque un bel ricordo di quasi tutti quelli con cui ho lavorato e penso che sia stato reciproco. Probabilmente perché per me ha sempre contato prima di tutto essere professionalmente ineccepibile. Quando lavoro mi dedico completamente ad un artista e diventa inevitabile entrare in sintonia. Non è necessario poi che nasca per forza un rapporto, però mentre stai lavorando ci vuole empatia. E soprattutto ci vuole armonia per fare musica.

Dotata soprattutto nell’armonizzazione è riuscita a ritagliarsi uno spazio anche come corista solista al di fuori del quartetto. Mai pensato di diventare una cantante in proprio?
L’unica soddisfazione come solista è stata cantare standard jazz quando misi insieme un quartetto vocale a Milano che si chiamava “Looking up & Fly down”. Eravamo 6 musicisti strumentisti e 4 cantanti, facevamo il repertorio dei Manhattan Transfer. E poi ognuno di noi faceva un pezzo da solista. In formazione avevamo Riccardo Fioravanti, Danilo Riccardi, Michael Rosen, Luca Colombo, Lele Melotti alla batteria, Sandro De Bellis alle percussioni. Con quel gruppo ho potuto cantare Round Midnight o The man I love, è stato bello. Però a parte quell’esperienza a me non è mai interessato più di tanto avere un ruolo da popstar o rockstar. Mi sarebbe piaciuto fare jazz però sono consapevole che prima di tutto il mio lavoro è sempre stato quello di “sporcarsi le mani con la musica”: ho sempre dovuto prima di tutto pensare a sostentarmi facendo questo mestiere oltreché divertirmi.

Importanti le collaborazioni anche con grandi artisti internazionali soprattutto al Pavarotti&Friends: ricordi di Pavarotti o di quelle edizioni?
Il maestro era un uomo dolcissimo, un grande signore e artista. L’ho conosciuto nelle ultime tre edizioni del Pavarotti&Friends. Insieme a Sting, Eric Clapton, James Brown, i Queen e soprattutto Bono che ha cantato un Ave Maria con un testo scritto da lui contro la guerra: ho pianto in diretta tutte le mie lacrime. Anzi piangevano anche i sassi: ci fu un livello di commozione sul palco che non mi dimenticherò mai. Poi ricordo George Benson che mi ha baciato la mano… e per tre giorni non me la sono lavata! E l’ultimo anno le chiacchiere e le vodke con Ian Gillian dei Deep Purple nella hall dell’Hotel Fini di Modena. È il bello di questo mestiere: non è che si può sempre lavorare!

C’è ancora qualcuno con cui sogni di collaborare a livello nazionale o internazionale?
Mi sarebbe piaciuto con Stevie Wonder. Mi piace molto la sua anima: sono anche andata a veder un suo concerto, è capace di trasmetterti emozioni pazzesche. Mi è mancato poi di ascoltare dal vivo, non parliamo di collaborare, Ella Fitzgerald per me la più grande in assoluto: lei è “la voce” al femminile, esattamente come poteva essere Frank Sinatra al maschile. Ha una musicalità infinita, un genio: vocalmente, musicalmente, armonicamente, nel gusto, nell’intonazione, nella presenza, nell’uso del microfono, nell’intelligenza nell’interagire con i musicisti. Tutte caratteristiche che ne fanno un genio.

Una canzone a cui sei particolarmente legata nella tua vita, in generale?
Ho da sempre nel cuore Woman di John Lennon. Credo che sia una bellissima canzone molto poetica ma non sdolcinata, una dedica d’amore autentica che anche a me avrebbe fatto piacere ricevere nella vita. Se un mio amante musicista mi avesse scritto una canzone così sarei stata beata.

In un’intervista hai dichiarato che oramai non riusciresti a vivere ancora la vita del periodo delle tourneè. Non rimpiangi nulla di quella vita?
Mi mancano le risate che si facevano, quell’atmosfera come essere in famiglia. Mi manca lo spogliatoio insieme ai colleghi, l’andare a mangiare tutti insieme. E poi tutto quello che ti arriva dal pubblico quando sali sul palco, un pugno nello stomaco. L’ho rivissuto quando sono stata all’Arena di Verona con De Gregori nel 2015: abbiamo avuto un calore e un’ovazione che avrei preso il microfono e mi sarei buttata in mezzo alla folla. Quello mi manca molto. Forse l’unica cosa che mi manca. Però ho detto basta.

Ultima tappa (televisiva), dal 1997 al 2006, con Demo Morselli e la Demo Band a Buona Domenica, Maurizio Costanzo Show e a Tutte le Mattine. Poi cosa è successo?
Dopo quel periodo ho avuto un momento di rifiuto totale di tutto il circo mediatico. Poi nel 2006 ho partecipato ad un evento molto bello con i Nomadi per i 50 anni della loro carriera con la Omnia Symphony Orchestra diretta da Bruno Santori, con la quale abbiamo registrato anche un CD e DVD live. E devo dire che con quell’esperienza mi sono sentita di nuovo “nella musica”. Però ho cominciato a sentire che c’era qualcosa da cui dovevo disintossicarmi. Per cui quando mi chiamarono per fare uno stage in una nuova scuola di musica la ST di Cologno Monzese accettai, proprio per fare qualcosa di diverso: ed è stato invece l’inizio di una nuova fase della mia carriera oggi dedicata all’insegnamento.

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Lo Staff dell’Accademia 09.

Dal 2009 è direttrice e vocal coach all’Accademia 09: come si è trovata dal palco all’insegnamento?
Ho scoperto una tenerezza che non credevo di avere: a volte ti trovi davanti allievi indifesi o consapevoli di avere “qualcosa di sbagliato” e tutto questo stimola in me la voglia di trasmettere esperienza e toccare i tasti giusti, aiutandoli a superare le proprie fragilità e sostenendoli molto anche a livello umano, oltreché professionale. Ho scoperto di avere una pazienza quasi infinita!
Quello che mi piace soprattutto dell’insegnamento in questa scuola è il lavoro che si fa con passione in ogni disciplina. E chiaramente con professionalità: ho portato con me ad esempio Stefano Pulga, Mario Natale, Emilio Foglio e Alberto Centoifanti, professionisti motivati ad insegnare, che non abbandonano la scuola perché vanno in tournée. Io per prima da quando insegno ho rinunciato a Sanremo e all’ultima tournée di Dalla e De Gregori, perché avevo saggi ed esami finali. L’insegnamento è una professione, non un tappabuchi.

Restando al suo ruolo di insegnante: cosa è cambiato nel mondo del vocal coach da quando ha iniziato a oggi?
Quello che purtroppo noto ultimamente è che è diventato un mestiere che molti non meritano di esercitare. Mi riferisco a quei musicisti che si improvvisano rendendosi conto che è forse più facile insegnare canto che non chitarra, oppure pianoforte. Un musicista può dare dei rudimenti ma, nello specifico, è come se io mi mettessi ad insegnare pianoforte: lo so strimpellare per il mio lavoro ma non ho la tecnica per insegnare. Senza contare quelli che si riempiono la bocca perché vanno a vedere su internet le lezioni di canto… Più di tante tecniche come voicecraft o belting comunque l’unica valida per imparare a cantare è la base della lirica. E poi esercitarsi continuamente per l’intonazione, le scale, gli arpeggi e la respirazione, fondamentale.

Un consiglio ad un giovane che vuole avvicinarsi professionalmente a questo settore?
La cosa migliore oltre a formarsi bene è essere curiosi, capire bene cosa c’è dietro ogni aspetto della professione, individuare cosa piace e perché “veramente” piace.

Oggi si può ancora vivere di sola musica?
Per me sì. Non bisogna mitizzare il passato: i decenni passati hanno avuto pregi e difetti, questi tempi offrono altre occasioni che non avevamo noi, e non parlo dei talent. Oggi ad esempio c’è il web: se hai qualcosa da dire ne hai la possibilità. Una volta dovevi sperare che qualcuno ti desse credito e poi metterti in mano a professionisti: alcuni facevano bene e altri male. Per certi versi è quasi meglio adesso… Resta il fatto che se vuoi qualcosa devi andartela a prendere, senza aspettare che ti arrivi. Intanto esercitarsi 24 ore su 24 come un atleta. E poi concentrarsi su tutto quello che vuol dire “fare musica”: provare, scrivere pezzi, crearsi un canale sul web…

Prossimi progetti professionali oltre all’insegnamento?
Sto lavorando come coach e corista per un’artista nuova. E sono sempre aperta a collaborazioni con altri. Adesso però l’insegnamento è soprattutto la mia professione e vorrei coinvolgere il più possibile i miei ragazzi in tutto ciò che mi viene proposto. Per la mia gloria ho già dato. E avuto.

Un ringraziamento particolare a Tommaso per la realizzazione di questa intervista.

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Luca Cecchelli
Luca Cecchelli
Giornalista, laureato in linguistica italiana e da sempre curioso indagatore dei diversi aspetti del mondo dello spettacolo. Conduttore radiofonico e collaboratore per diverse testate e rubriche di teatro e musica, svolge parallelamente l’attività di ufficio stampa e comunicazione. Spettatore critico e melomane, è assiduo frequentatore di platee e sale da concerto oltreché batterista per passione e scrittore. Quello che ama di più però è scovare nei libri o in originali incontri e testimonianze retroscena culturali della storia della musica e incredibili aneddoti rock, di cui in particolare è appassionato conoscitore.
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