“Cip!”, arriva il nuovo album di Brunori Sas. Cip, un suono secco ma anche luminoso che introduce a canzoni fanciullesche, secondo la descrizione dello stesso Dario Brunori

Brunori Sas, voliamo sulle ali di "Cip!"
Brunori Sas. Foto: © Leandro Emede

“Il disco precedente, di tre anni fa, “A casa tutto bene”, aveva a che fare con un clima di paura. In “Cip!” ho voluto raccontare l’amore”, spiega Dario Brunori, per la musica Brunori Sas. “A volte mi sono imbarazzato a rileggere alcune cose, mi sono sentito un personaggio da libro new age da autogrill vedendomi parlare di amore universale”. Eppure, le canzoni adesso ci sono e le possiamo ascoltare tutti, proprio in “Cip!”.

“C’è una certa tensione spirituale in questo disco. Vivo in una terra, la Calabria, in cui ci piace perdere un dato tempo per contemplare, ma la mia è anche una terra pragmatica che ti dice sempre in qualche modo ‘chi te lo fa fare’. Questo album ha che fare con il mio tentativo di recuperare il fanciullino, un certo sguardo, una certa spiritualità e religiosità. Sì, ho pensato a Pascoli. Il problema di oggi, secondo me, è anche poetico; io sentivo di andare in una direzione poetica scrivendo le canzoni, anche a rischio di diventare naif. Volevo che in questi brani ci fossero rimandi a una religiosità non legata a una confessione particolare, e sono andato a ripescare anche Einstein: ho ripreso alcuni suoi concetti scrivendoli senza le sue formule noiose”.

Il mondo di Brunori Sas

La parola mondo ricorre in diverse canzoni: “Volevo cambiarla ma poi mi sono detto che era giusto ci fosse una parola chiave. Ho cercato di vedere il mondo da lontano, con una visione legata all’idea di essere buoni e non sentirsi fessi nell’esserlo: dobbiamo far sentire gli opposti in armonia”, spiega Brunori.

Sempre parlando di contenuti, “Ho buttato lì una forma di accettazione delle cose che vedo fuori e dentro di me, che non è rassegnazione: se le cose sono così vedi se puoi cambiarle, se no attendi, oppure c’è una terza opzione che è soffrire. Io nel disco suggerisco di riconciliarsi con quel che è, fosse anche brutto”.

Il tour, in partenza a marzo, toccherà i palazzetti italiani compreso il Forum di Assago, vale a dire che ci sarà il pubblico dei grandi numeri: “In questo momento sono felice che ci sia stato nella mia carriera un certo percorso e che tutto stia arrivando nel momento giusto. Le mie scelte mi hanno portato nei miei tempi e nei miei modi ad allargare il pubblico, non ho mai inseguito in maniera precisa un obiettivo di notorietà. Sicuramente c’era il desiderio di cantare per un pubblico, senza però pensare se fosse piccolo o grande. Tra Dario e Brunori Sas non c’è una grandissima differenza, il rapporto con il pubblico è tranquillo. Adesso sono solo un po’ più osservato”.

“Tutti amiamo senza fine” è il terzo disco della band livornese Siberia. Come è chiaro e dichiarato fin dal titolo, il fil rouge dell’album è l’amore percorso in tutte le sue pieghe e le sue mille declinazioni

"Tutti amiamo senza fine" come i Siberia

È un titolo impegnativo, chiuso da quel “senza fine” così chiaro, che i Siberia (Eugenio Sournia, Luca Pascual Mele, Cristiano Sbolci Tortoli, Matteo D’Angelo) spiegano così: “Tutti amiamo, tutti cerchiamo il bello di questo sentimento che però ha anche piccolezze e aspetti dolorosi se non negativi: è forse il sentimento più umano tutti, questo volevamo dire con titolo”.

L’amore è il tema probabilmente più descritto e affrontato nella musica, ma il problema che risultasse scontato per i Siberia non è mai esistito: “Di questo pensiero ce ne siamo un po’ fregati, le canzoni le abbiamo composte in maniera spontanea. I nostri dischi precedenti era più impostati, la scrittura colta e letteraria non corrisponde a quello che siamo a livello umano, fortunatamente”.

Ovvero, “Siamo una banda di dodicenni in gita”.

Siberia: scrivere con sincerità

L’altro aspetto che i Siberia sottolineano è la verità che hanno messo nelle nuove canzoni, altro concetto caro a ogni cantautore: “Noi siamo stati sinceri nel senso che dentro a questo disco ci siamo tutti: Eugenio prima portava le canzoni al resto del gruppo, questa volta ha scritto con Cristiano”.

Eugenio precisa che “In passato arrivavo con lo scettro dell’unicità di chi aveva in mano il microfono e la penna, stavolta è stata un’esperienza più condivisa a livello biografico. Tra l’altro, questo disco lo abbiamo registrato in presa diretta, cosa mai successa prima”.

Siberia: anche l’estetica ha un suo perchè

Per quanto riguarda la copertina dell’album, una collana con un ciondolo tenuto sul palmo della mano, i Siberia spiegano che “C’è dentro un elemento di sensualità velato da una carica di malinconia. Eros e thanatos sono insieme, l’oro è un elemento che rimanda al sacro per come veniva celebrato nel passato, prezioso ma anche con una certa pesantezza. È quindi una copertina volutamente giocata sulle contrapposizioni”.

Appuntamento in tour, a partire da febbraio: “Abbiamo tre dischi da cui attingere, per cui vorremmo pensare a scalette diverse per rendere i concerti un po’ differenti, per far divertire di più il pubblico e anche noi, e per incentivare le persone a tornare a vederci. Poi, tra quest’idea e la sua realizzazione c’è di mezzo la pigrizia, un fattore da non sottovalutare”, ridono.

L’album “10 years” celebra la brillante carriera di Il Volo: non un punto dopo 10 anni ma una virgola, per continuare sulla stessa strada del pop lirico

Il Volo, in volo da 10 anni
Il Volo: Foto: © Julian Hargreaves

Il Volo da 10 anni raccoglie successi in tutto il mondo. Per celebrare una carriera da numeri 1 è stato pubblicato “10 years”, un best of in versione cd e dvd con immagini del concerto che hanno tenuto a Matera.

L’album raccoglie i brani più rappresentativi di Il Volo, da “My way” a “O sole mio” a “Grande amore”. Paladini del belcanto all’italiana, i tre ragazzi dalle ugole d’oro interpretano anche brani evergreen americani nei numerosi concerti che tengono in tutto il mondo. “Cerchiamo di seguire i passi dei grandi artisti, come Bocelli e Pavarotti, e portare il belcanto anche alle nuove generazioni. Ci piacerebbe un giorno essere eredi di questi grandi artisti: ce la stiamo mettendo tutta da 10 anni”.

L’anno prossimo si riparte per un altro tour in America e in Giappone, posti dove i ragazzi di Il Volo sono di casa. “L’album “Musica” è stata una conseguenza del Festival di Sanremo, questo album invece, “10 years”, è il vero disco del nostro decennale e sarà pubblicato in tutto il mondo”.

Attimi difficili ce ne sono stati, in questi 10 anni?

Ignazio: “Nel 2014 c’è stato un momento di transizione, abbiamo cambiato etichetta, in 10 anni i momenti difficili ci sono stati. Molti sono i momenti belli, chiaramente. Cantare per il Papa, con Quincy Jones, in tour con Barbra Streisand… queste sono esperienze indimenticabili”.

Con questo disco mettete un punto rispetto al passato?

Ignazio: “Non è un punto ma una virgola per fare seguire altri 10 anni e poi altri 10. Noi siamo un gruppo da progetto, non è facile da spiegare questa cosa. Ragioniamo sempre se fare solo cover o se fare canzoni inedite, stiamo già pensando al futuro. C’è in progetto un evento per la Pasqua del prossimo anno”.

Gianluca: “Comunque abbiamo capito che la nostra chiave, quello che siamo, è il pop lirico. Abbiamo sperimentato altro, ma abbiamo capito che la nostra strada è questa. La moda cambia, noi cantiamo il classico cercando di renderlo moderno. Siamo dei ragazzi, abbiamo l’età per farlo ma non ci permettiamo di stravolgere “O sole mio”, ad esempio”.

Voi siete visti come l’essenza dell’italianità…

Ignazio: “Noi portiamo di base la cultura italiana nel mondo, quella della nostra tradizione. Non seguiamo la cultura di oggi, della trap, della musica che va forte in questi anni. Però noi ascoltiamo di tutto”.

Gianluca: “Non siamo attaccati al passato, non è che non accettiamo il cambiamento musicale. Noi capiamo ogni genere, è giusto che i ragazzi ascoltino una musica che sia di moda, che ascoltino Salmo per esempio – che io stimo molto. Bisogna però avere anche cultura musicale, ascoltando dai Beatles a Lucio Battisti“.

Cercate autori per nuovi brani?

Ignazio: “Ascoltiamo sempre nuovi autori. La difficoltà è che in Italia siamo gli unici a fare questo genere, è difficile scrivere per noi. Però stiamo già lavorando su canzoni inedite. Il Volo non è da streaming, lo ascolti 2 o 3 volte al giorno. La trap la ascolti 100 volte, non si può fare un paragone. Fare un brano nuovo per noi è più complesso che fare una cover”.

Da alcuni messaggi apparsi sui social sembrava ci fosse in ballo qualcosa con Ermal Meta, è così?

Piero: “No, non c’è un progetto per ora con lui”.

E l’Italia, dov’è nei vostri piani?

Ignazio: “Non ce ne siamo dimenticati”.

E infatti, ecco le date dei prossimi concerti italiani:

30 agosto all’Arena di Verona

31 agosto all’Arena di Verona (nuova data)

4 settembre al Teatro Antico di Taormina

5 settembre al Teatro Antico di Taormina (nuova data)

26 novembre al Pala Alpi Tour di Torino (nuova data)

30 novembre al Mediolanum Forum di Assago, Milano (nuova data)

4 dicembre al Palazzo dello Sport di Roma (nuova data)

“La differenza” è il nuovo disco di Gianna Nannini, nato con un percorso di lavoro durato circa un anno raccontato così dalla stessa Gianna

Facciamo "La differenza" con Gianna Nannini?
Gianna Nannini. Foto: © Daniele Barraco

Ecco com’è nato “La differenza”, il nuovo album di Gianna Nannini.

“Mamma quando smetti di cantare?, mi diceva mia figlia. Così ho preso in affitto una stanza orrenda dove poter cantare e lavorare, e lì è nato il disco, a Londra”, racconta la Nannini. “Poi sono andata a Nashville alla ricerca del rock, ma quello fatto con il mio stile. Volevo trovare una strada per ritornare al blues dell’album “California” e ripartire da lì”.

Così è stato: “Abbiamo fatto vere session con le parole inventate al momento. Il disco è nato live in studio, le canzoni che ascoltate sono il primo o il secondo take dei brani. Ho trovato una band che suonava così, difficile trovarla ma io ce l’ho fatta”.

Per questo “Il mio disco ha un suono rock ma acustico, come avessi fatto un album suonato con una chitarra alla Ed Sheeran, e invece quella che suonava era una band. E ho cantato meglio registrando così, si nota il feeling che ci ho messo, mi sentivo come quando sono sul palco”.

Sentire Gianna Nannini parlare così fa nascere una domanda: cos’è rock? “Rock è spaccare”.

Perché intitolare questo album “La differenza”? “Noi siamo tutti così differenti che non si va mai d’accordo, ma è bello che sia così: l’unica cosa che abbiamo in comune noi esseri umani è la differenza. Bisogna accettare l’opinione diversa degli altri: il mio messaggio è che tu fai la differenza”.

Le canzoni di questo nuovo album parlano di amore, anzi quelli raccontati e cantati “Sono tutti conflitti d’amore. Parlo anche di meccanismi tossici in “L’aria sta cambiando”, meccanismi che inquinano i rapporti tra le persone e poi di conseguenza l’ambiente. Nelle mie canzoni d’amore vado oltre, ho una visione. Se fai blues devi prima attraversare i sentimenti”.

Gianna Nannini canta con Coez, in “Motivo”: “Mi è piaciuto un sacco un suo brano, l’ho chiamato, ci siamo visti e mi è piaciuto anche come essere umano. Ho scritto il pezzo e lui ha fatto la sua parte, ha un bellissimo timbro di voce”. Con Pacifico torna una collaborazione ormai rodata: “Pacifico non voleva che ci passassimo i testi al computer, come facessimo i compiti. No, questa che facciamo è musica è viva: ormai dopo 12 anni siamo come basso e batteria, è stupendo lavorare con lui”.

Nomi di giovani interessanti con cui magari collaborare? “Salmo e Massimo Pericolo. È bello unire la melodia con il mondo dei rapper, che portano in primo piano la parola. Però – riflette Gianna – è importante comunque trovare la tua identità musicale”.

Venendo al tour, l’evento sarà il concerto allo stadio di Firenze il 30 maggio prossimo, poi da novembre Gianna Nannini incendierà i palasport più importanti d’Italia e infine, da maggio, conquisterà i palchi d’Europa.

La musica di Zucchero è “D.O.C.” come il suo nuovo album, genuino, intimo, senza compromessi, composto da 11 brani a cui si aggiungono 3 bonus track

Uno Zucchero "D.O.C." per il mondo
Zucchero. Foto: © Robert Ascroft

Il disco è frutto del lavoro di Zucchero con il contributo di artisti come Francesco De Gregori, Pasquale Panella, Rag’n’bone Man (che ha collaborato alla realizzazione del primo singolo lanciato, “Freedom”), Davide Van De Sfroos fra gli altri. Per introdurre il disco, Zucchero precisa che “Io vivo come tutti i tempi che stanno passando. Questa volta nei testi ho lasciato perdere i doppi sensi, che ci sono nelle canzoni più uptempo, mentre prima li usavo molto di più perché i tempi attuali non sono così goliardici e sereni”.

Spiega poi Zucchero che “Scegliere il titolo dell’album è stato un po’ una tribolazione. Dentro al disco ci sono il pop, il soul, un accenno al gospel: trovare un titolo che racchiudesse tutto non è stato facile. Sono tempi sospicious i nostri, tempi sospettosi e sospesi. Questo era il primo titolo che avevo ipotizzato, ma io voglio cantare in italiano anche all’estero e quel titolo suonava groppo anglofono”. Ed ecco allora “D.O.C.”.

Imprevedibile l’incontro con Van De Sfroos: “Musicalmente ho pensato a come non fare un album che suonasse necessariamente come il precedente. Ho fatto molta ricerca. Per i testi sono partito pensando alla mia vita e a quello che mi circonda, non solo in Italia ma anche girando il mondo. In ogni canzone c’era una luce, parlavo di uno spirito, quasi come se ci fosse un inizio di redenzione che per un ateo incallito come me significa cominciare a mettere in dubbio molte cose. C’è un avvicinamento a qualcosa di superiore, di grande, potrebbe anche essere lo spirito di mia nonna, non lo so cosa sia. C’è una speranza, chiamala fede. Una fede in qualcosa. Ma io ne avevo già parlato, ad esempio in “Così celeste”. Sono geloso di questo album perché parlo di cose molto intime”.

“Freedom”, libertà, è “Una parola usatissima, ma siamo davvero liberi? Non lo siamo, la nostra è una finta libertà, siamo condizionati dai social, dai media… io infatti sto tra i monti con gli animali, per cercare di essere più libero possibile”, riflette Zucchero.

A proposito di genuinità, “Mi sento contornato da gente che vuole essere cool (con riferimento al brano “Vittime del cool”, nda), che ha un atteggiamento da vip. C’è molta apparenza, ma non so perché ci sia bisogno di essere cool a tutti i costi. Vorrei che la gente si manifestasse nuda, com’è veramente. Genuina”.

Sulla copertina del disco ci sono le radici, “Più vado avanti, più sono profonde. Qualche frase in dialetto nelle canzoni c’è, fa parte del fatto di essere genuino. Sono concetti caldi, mi tolgono la malinconia quando mi capita di sentirla mentre sono all’estero”.

Da aprile a dicembre 2020 sarà tempo del nuovo tour mondiale, con l’Arena di Verona per 12 concerti tra il 22 settembre e il 4 ottobre. Il tour parte dall’Australia perché “Ci hanno chiesto di suonare tre sere in un importante festival blues”. E quindi Zucchero va. Così come andrà il 9 dicembre Beacon Theatre di New York per partecipare al Rainforest Fund 2019, concerto benefico organizzato da Sting. Come poteva mancare Zucchero?

Tiziano Ferro ha presentato il suo ultimo album, “Accetto miracoli”. Noi lo descriviamo attraverso le persone che ne fanno parte, così come l’ha raccontato Tiziano in conferenza stampa

Conosci "Accetto miracoli"? Tiziano Ferro ce lo racconta così

V come Victor

Parliamo del marito di Tiziano Ferro per motivi legati alla musica. “La mia vita è cambiata, e questo si riflette nelle nuove canzoni. Avevo scritto “Accetto miracoli” subito dopo aver finito l’album precedente (“Il mestiere della vita”, da cui ci separano ormai tre anni, nda). Stavo facendo le valigie per tornare a casa, tre giorni prima di prendere l’aereo incontro Victor: mai avrei pensato di imbarcarmi in una relazione che avrebbe portato al matrimonio. Io mi sento italiano ed europeo, ma vivo a Los Angeles perché la vita mi ha portato là. Per me il continente più bello è il nostro (Tiziano ci verrà in tour, la prima data italiana negli stadi è il 30 maggio a Lignano, poi dall’11 novembre andrà in Europa a partire da Bruxelles, nda). LA è un posto alienante ma io non ho mai vissuto questo aspetto, ci sono arrivato con amici, musicisti, ho trovato l’amore, io sto in una scatola fatta di cose belle che sta lì. Non mi sentirò mai a stelle e strisce, siamo due cose diverse io e gli USA, l’Europa è casa mia”.

T come Timbaland (e come Tiziano): “Accetto miracoli” nasce – anche – dal loro incontro

“Quasi per caso prendo un caffè con Timbaland, un mio mito, un guru dell’r&b, e mi ritrovo con una canzone e mezza prodotta con lui. Che il giorno dopo mi chiama e mi propone di fare qualcosa insieme. Per me ha significato uscire dalla zona di confort e dalla famiglia di collaboratori con cui avevo sempre lavorato (ma tra i coautori troviamo ancora Emanuele Dabbono e Giordana Angi, nda), ha voluto dire presentarmi da zero a Timbaland che, ovviamente, non parla italiano e non capiva quello che cantavo. Con lui mi sono accorto che con la musica si può ancora giocare”. Comunque, nel disco anche Tiziano per la prima volta diventa produttore di se stesso, nel brano “In mezzo a questo inverno”.

J come Jovanotti

Con lui c’è l’unico duetto del disco, in “Balla per me”. Ricorda Tiziano che “Lui è stato mio primo idolo. È stato il primo a occupare un posto sulla parete con un poster, avevo il suo diario e l’astuccio. A carnevale mi sono vestito da Jovanotti, ho fatto impazzire i miei girando per negozi a Latina alla ricerca di un chiodo rosso, poi avevo le bretelle, il cappellino con scritto boy. Aprii un fanclub dedicato a lui, in classe. Un mio compagno vinse la sfida perché ne fondò uno per Gianni Morandi e a quello si iscrisse la maestra”, racconta ridendo. “Lorenzo raccontava cose coerenti con la vita che vivevo. L’ho conosciuto nel 2005 a New York. Lui mi dice che mantengo sempre una certa timidezza quanto gli parlo, credo non mi passerà mai perché è una sorta di venerazione superiore che ho per lui. Lorenzo stava lavorando al suo disco con Rick Rubin, sono andato da lui in studio con questa canzone e in 48 ore è stato fatto tutto: il pezzo è una bomba e lui è pazzesco”.

M come nonna Margherita

Il brano “In mezzo a questo inverno” è dedicato alla nonna Margherita, è ispirato a lei: “La canzone parla della separazione da una persona importante. Ho pensato a quando ho perso mia nonna Margherita, l’ultima rimasta. Avevo vissuto con lei a 19 anni, quando avevo litigato con i miei. Con la sua scomparsa ho scoperto cosa vuol dire perdere una colonna della vita, lo sapete tutti. Se mia nonna sapesse della canzone si incazzerebbe, era dura, aveva fatto due guerre… La canzone è declinata al maschile, ognuno la può interpretare liberamente ma a me è stata ispirata da un episodio ben preciso. Faccio fatica ad ascoltarla, non dico sia la canzone più importante del disco ma…”. E la frase si perde.

U come Ultimo

Racconta Tiziano: “Adoro la trap e mi diverte il reggaeton, ma mi spiace andare solo in quella direzione. In questo panorama arriva Ultimo e riempie gli stadi, facendo alla vecchia, cioè come accadeva una volta quando i discografici ti facevano crescere demo dopo demo. Lui è la più bella notizia di quest’anno perché sento che gioca per la mia squadra”.

Mabel è il nome nuovo, proveniente da quella fucina sempre attiva che è Londra, da tenere d’occhio. L’avete vista a X Factor?

Piccola guida (con le sue parole) per conoscere Mabel

È arrivata a X Factor Italia e lì abbiamo vedere chi è sul palco, quanta energia ci mette, quanto sa essere trascinante. Cosa che si capisce del resto già dal disco di debutto, “High expectations”. Lei è Mabel, figlia del produttore Cameron McVey (ha lavorato tra gli altri con i Massive Attack) e di Neneh Cherry (ricordate “Buffalo stance”?), nipote di Eagle-Eye Cherry (ricordate “Save tonight”?).

Apri il sito del Guardian e vedi che Mabel viene indicata, tra gli emergenti di successo, come la prossima Dua Lipa, con un sound che ricorda Rihanna e Beyoncè: questa delle etichette è una maniera veloce per inquadrare i nuovi artisti e far capire chi sono e cosa fanno (r’n’b, in questo caso), e i paragoni sono lusinghieri. Ma Mabel è una nuova realtà con una personalità che la rende differente dalle altre, dotata di innegabile talento, di una voce di velluto, di idee chiare. Essere “figlia di” non c’entra niente. A 23 anni conta più di 1 miliardo di streaming nel mondo.

Mabel racconta la sua musica

Il messaggio di base che Mabel porta con la sua musica “È positivo, voglio incoraggiare il pubblico che mi segue. Le aspettative alte del titolo sono quelle che mi metto addosso da sola: realizzando questo disco ho acquistato tanta fiducia, la musica è il mio modo di trovare sicurezza. Per questo mi piacciono artiste e artisti forti e indipendenti, come Rihanna, Beyoncè e Justin Timberlake”. Spiega ancora Mabel che “Raccontare le mie storie nelle canzoni permette alle persone di riconoscersi, e questo è molto importante”, e che per lei sia scrivere e registrare sia esibirsi sul palco sono aspetti divertenti della sua vita e del suo lavoro.

Per quanto riguarda la parte creativa del suo essere autrice, Mabel prende appunti sul cellulare “Quando a me capita qualcosa, o quando un amico mi racconta qualche vicenda che lo riguarda. Non sempre però le canzoni partono dai miei appunti, succede che nascano da alcuni accordi al piano. In sostanza, le canzoni nascono da sole”. Si ricorda la prima che ha scritto, “A 5 anni. Chiaramente era una canzone commisurata all’età! Però già allora tenevo un diario, dove buttavo giù quello che sentivo. Ce l’ho ancora, è divertente sfogliarlo: ero così piccola…”.

Mabel sottolinea un altro concetto che le sta a cuore, quello della vita perfetta della pop star: “Non è così. È un’idea sbagliata quella che siano perfette e angeliche: siamo tutti umani, abbiamo ansia, tanti pensieri in testa, i problemi di tutti, con giorni buoni e giorni no. Sento la responsabilità nei confronti del mio pubblico di dire che è così”.

Mabel sarà in concerto il 24 febbraio 2020 ai Magazzini Generali di Milano.

Mabel: guarda il video di “Bad behaviour”

“La bella musica” è il nuovo disco di Vegas Jones, che segue i successi di “Bellaria” e la versione repack “Bellaria: Gran Turismo”

"La bella musica" come la intende Vegas Jones

Nel nuovo disco tornano i temi che gli sono cari, il riscatto, la voglia di emergere, il rapporto con i fan. La musica come mezzo per crescere e sognare, quindi, che ti permette di viaggiare con la mente e che ti trasporta in luoghi vicini e lontani. “Sono un ragazzo di periferia che non aveva niente e oggi sono qua, cosa di cui ringrazio il cielo. Sono unico, mi riconosco nella mia unicità e la difendo”.

Traspare anche un certo orgoglio (giustificato) di Vegas Jones per questo album: “Dal nostro punto di vita (di noi che abbiamo lavorato al disco) – che è molto critico – “La bella musica” è qualcosa di fresco; abbiamo risolto molti problemi nel corso del lavoro e siamo soddisfatti del risultato. Il sogno e l’obiettivo è vendere tanto e avere un pubblico numeroso che mi segue nei live perché si riconosce in quello che canto”.

Vegas Jones torna con 13 brani e con un unico featuring – normalmente nel rap le collaborazioni sono numerose – con Fabri Fibra in “Presidenziale”. Il disco segna anche il passaggio in Sony, dopo Honiro: “In me non è cambiato niente, la mia musica è come un diario e racconta la mia vita. In “Bellaria” c’era solo un Vegas meno maturo, in questo lavoro devi crescere in fretta perché sei messo ogni giorno a confronto con te stesso. In questo disco mi sento cresciuto, questo capitolo della mia vita parla abbastanza chiaro”.

Su Fibra, “C’è solo lui perché questo album è molto personale. Quando è arrivata “Presidenziale” spontaneamente ho pensato a lui, quando sento questa canzone penso sia molto mia nonostante ci sia il suo featuring”.

C’è poi una riflessione su “DM” e sul messaggio di realizzazione personale che porta: “Io non rispondo mai sui social, sono concentrato sul mio percorso. Io so che sono la voce del mio quartiere perché ci vivo. Io sono sempre a Cinisello, cerco di fare la vita più normale possibile. Con questo disco mi sento molto vicino alla gente e voglio che la gente sappia che mi è di ispirazione, non ci sono veli tra me e i miei fan. Io voglio che le persone siano motivate ascoltandomi, che pensino che le cose sono fattibili se le ho fatte io. Ho sempre detto di inseguire i sogni”.

Chiudiamo con il senso del titolo: “Come tutto il disco il titolo non è stato molto ragionato. L’accostamento di parole suona bene. Non ho detto il bel rap perché il rap è musica. Il rap fatto bene è la base che un rapper dovrebbe avere: se io devo fare bella musica principalmente devo fare bene il rap, darlo per scontato. Poi il rap fa parte della musica. La bella musica si può fare; la cosa di certo è soggettiva, può non essere il tuo genere e può non piacerti: è sacrosanto”.

Infine, un pensiero importante: “Io sono musicista e voglio che la gente ascolti la mia musica prima che mi guardi in faccia e mi riconosca come personaggio”.

[Se ve lo state chiedendo, il tatuaggio che Vegas Jones mostra nella foto riproduce il cap di Cinisello Balsamo].

“Picnic all’inferno” è il nuovo brano di Piero Pelù, un’esplosione travolgente di energia. In pausa dai Litfiba, Pelù si è messo al lavoro su una canzone che riguarda la questione ambientale

Piero Pelù il "verde" ci porta a fare un "Picnic all'inferno"
Piero Pelù. Foto: © Riccardo Bagnoli

“Sono sempre stato attento a queste tematiche, raccolgo istintivamente cose lasciate in giro sui sentieri di montagna e sulle spiagge, mi piacerebbe lasciare un luogo in condizioni migliori di come l’ho trovato. Non sono un talebano né dell’ambientalismo né del veganesimo, però è necessario avere un buon rapporto con madre terra”.

Pelù fa anche un discorso di consapevolezza che a volte manca: “A Sumatra l’anno scorso con Raz Degan abbiamo girato un documentario. La presenza della plastica si sentiva anche lì, tra le tribù locali; abbiamo cercato di far capire che buttarla nel fiume danneggia anche loro, che non sono ancora consapevoli del problema dell’inquinamento”.

In questo brano, “Picnic all’inferno”, compare un estratto del discorso di Greta Thunberg fatto a Katowice nel 2018: “Di lei ammiro la determinazione. Questo suo discorso mi frullava in testa, grazie a lei si è aperta una porta importante. Il brano è nato prima dell’estate, sentivo un certo ritmo e una certa musicalità nelle sue parole. All’inizio l’estratto del suo discorso inserito nella canzone era molto più lungo, poi abbiamo estrapolato solo le frasi fondamentali”.

Sul Nobel a Greta Piero ci pensa un attimo: “Non so se glielo darei, se dipendesse da me. Non sono un accademico di Svezia… forse magari tra qualche anno. Lei non è uno scienziato ma avvalora i suoi discorsi dicendo di fare riferimento alla maggior parte degli scienziati; è anche vero che i cambiamenti climatici ci sono sempre stati sulla terra. Certo, la velocità con cui accadono negli ultimi 100 anni è una cosa che deve farci pensare. Il messaggio di rispetto per la terra però coinvolge tutti ed è positivo”.

Non solo “Picnic all’inferno”

Pelù non è nuovo alla realizzazione di brani verdi: “Mai fatti su commissione ma per necessità. Spero che abbiano portato a chi ascolta la musica mia e dei Litfiba ad avvicinarsi alla sensibilità e ai temi dell’ecologia. Mi sento sereno rispetto a eventuali accuse di opportunismo con questo nuovo brano proprio perché sono verde da sempre”.

A novembre, infine, arriveranno alcuni live con una serie di ospiti in quello che è il “Benvenuto al mondo tour” (prima data a Roma, il 13). “La scaletta è mozzafiato, lo show sarà particolare. Ho chiesto alle sale in cui suonerò di usare meno plastica possibile ma siamo un po’ indietro su questo. Però noi siamo come la goccia cinese, chiediamo. È il momento di farlo”.

Sono passati 4 anni dal loro ultimo album. I Modà sono tornati con “Testa o croce”, un disco che anticipa il tour in partenza il 2 dicembre

Modà, "Testa o croce" è nato nei bar
Modà. Foto: © Roberto Chierici & Doublevision

“Per scrivere bisogna vivere”, spiega Kekko Silvestre, che è l’autore dei testi delle canzoni del gruppo: da un pensiero tanto semplice e al tempo stesso ricco è nato il nuovo disco “Testa o croce”. Sono passati quattro anni dal lavoro precedente dei Modà. Da allora sono trascorsi anche due anni di vita in pigiama, per Kekko, che però a un certo punto ha sentito l’esigenza che le storie incontrate lungo la sua strada diventassero musica.

Spiega proprio Kekko che “Nel disco ci sono storie vere. “Quel sorriso in volto” mi è stata ispirata da due persone che vedevo fuori da una clinica, da lì è partito il viaggio di “Testa o croce”. Lui cantava una canzone malinconica e lei si rasserenava, le tornava il sorriso. Questa è una canzone a cui sono estremamente affezionato, tanto che lo spettacolo del tour sarà costruito anche sulla storia di questi due personaggi, raccontata con un cortometraggio spezzato in pillole che parte da dove finisce il videoclip del brano. Non andrete al cinema, canterò in ogni caso”, specifica ridendo.

Nel disco c’è un brano che porta proprio il titolo “Testa o croce”, ed è nato in maniera diversa da “Quel sorriso in volto”: “L’ho abbandonato, mi sono messo a scrivere il romanzo “Cash. Storia di un campione”. Ho poi ripreso la canzone per scrivere qualcosa di dedicato proprio al personaggio di Cash, che è un tipo impulsivo. Un po’ sono così anche io, ma alla fine non sono cattivo”.

Invece “Quelli come me” è il simbolo di questo disco dal punto di vista dell’ispirazione, cioè è nato in un bar. “Io esco poco”, racconta sempre Kekko, “La mia vita tranquilla mi piace ma a un certo punto ho avuto voglia di storie nuove che ho trovato frequentando di notte i locali milanesi. C’è stato uno scambio con le persone normali, non con il pubblico dei Modà che ti fa sentire importante, diverso. Ci siamo raccontati delle storie, qualcuno non sapeva neanche chi fossi. In generale questo disco è nato nei bar, mentre altre canzoni sono state scritte in seguito a vicende che mi hanno raccontato”.

“…Puoi leggerlo solo di sera”, invece, è stata scritta “Dopo essere tornato a casa da una serata in un bar. Era il 15 febbraio da due ore e mi ero dimenticato di San Valentino. Finii subito questo brano e lo lasciai a Laura (la moglie di Kekko, nda) perché lo ascoltasse. Le altre presenti nell’album non sono storie mie, questa sì, è la mia storia con mia moglie, che dura da vent’anni”.

“Guarda le luci di questa città” chiude il disco: “È un omaggio alla bellissima Milano. Era il 27 marzo, avevo un problema che mi tormentava che quel giorno però si era risolto. Ero uscito con la melodia nelle orecchie e, su un quadernetto, ho scritto chiedendo a Milano se mi avesse visto in questi anni. Non mi ha risposto, ma sono sicuro che mi abbia ascoltato”.

Il tour dei Modà partirà il 2 dicembre dall’Unipol Arena di Bologna.

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